L'ABATE DI TOMIZZA E L'AMANTE FUGGITA

L'ABATE DI TOMIZZA E L'AMANTE FUGGITA L'ABATE DI TOMIZZA E L'AMANTE FUGGITA Una storia del Cinquecento magica e blasfema SEMPRE più dedito a un tipo di romanzo storico nel quale la parte dell'invenzione si restringe al massimo a favore del documento, e piuttosto alla considerazione morale si rivolge lo scrittore, al commento, alla sentenza, Fulvio Tomizza, ne L'abate Roys e il fatto innominabile, ha scelto un evento minimo della storia locale della zona di Portogruaro, accaduto sullo lo aiutarono, in vita, a diventare indegnamente abate, come il papa Pio V, pure fatto santo. Ma tale conclusione finisce ad apparire, con la sua tragicità cristiana, alquanto sproporzionata rispetto alla vicenda rievocata dai suoi documenti, così come «il fatto innominabile» non è, in ultima analisi, molto più di un pettegolezzo di prostitute. E allora ecco che si avverte il limite della narrazione storica di Tomizza: troppo esigua ne è l'occasione, perché vicende e personaggi riescano a proporsi come esemplari del disagio ovvero dell'abiezione morale di un ambiente, di una società, di un periodo storico, soprattutto di una Chiesa, sia al centro, sia alla periferia, infinitamente lontana da quello che ne dovrebbe essere il dovere di comportamento, ma soprattutto sorda alle ragioni della vera fede di Cristo, tutta perduta dietro i beni materiali o i problemi di potere. L'abate Roys e il vescovo Querini, che pure conserva qualche dignità, almeno sotto il rispetto mondano, con tutti gli altri testimoni, e perfino il canonico Maro, che è il registratore della vicenda e mostra qualche migliore preoccupazione etica e religiosa, non sopportano la responsabilità di essere figure tipiche del male e della degradazione della storia della Chiesa dopo il concilio tridentino. A loro non si addice l'indignazione. Sono personaggi troppo mediocri; e loro comporterebbe piuttosto l'ironia che l'ira. / , rcne COlYie /; allora inganni, di oscure minacce e allusioni, un'anima oscura, fondamentalmente abietta. Ma neppure il vescovo Queruli si batte per la nobile causa della religione e della giustizia. Più in lui agisce il livore rancoroso nei confronti del Roys, che gli ha sempre rifiutato omaggi e onori. E i personaggi minori, i testimoni, se accumulano notizie poco onorevoli e giudizi negativi sull'abate, non sono mossi da intenti morali, tanto è vero che i loro sono più pettegolezzi che testimonianze utili alla definizione del processo; e soltanto Cecilia appare guidata almeno dalla volontà di difendere la tranquillità di vita che ha raggiunto col suo medico che l'ha tolta dal bordello e dalla convivenza abietta con il Roys, col quale non vuole assolutamente più ritornare. Gli incartamenti del processo, a un certo punto, scompaiono, per ricomparire poco dopo, misteriosamente. Ma non si conclude nulla. L'inquisizione veneta li manda a Roma. E tutto finisce lì, onde l'abate può vivere abbastanza tranquillo la sua vecchiaia, lasciando passare senza obbedirvi anche le ingiunzioni del vescovo di Parenzo, inviato in visita a Summaga, di restaurare l'abbazia e la chiesa, ormai quasi in rovina. Tomizza chiude il racconto con domanda sulla morte del una Roys: se, cioè, abbia visto attuate tutte le sue speranze di essere sepolto a Venezia, nel convento delle monache di Santa Maria degli Angeli, e di avere la pace dell'anima con il pentimento e i lasciti caritatevoli e le messe, oppure se la giustizia di Dio lo abbia colpito nell'aldilà, e con lui anche coloro che in quanto questi pretende una completa autonomia dall'autorità episcolare a causa della propria nomina, avvenuta direttamente a opera del Papa, per istitutire non il processo a Cecilia, ma all'abate, prima con la giustificazione di dover verificare la fondatezza dell'accusa, poi sempre più chiaramente con l'intento di mettere in luce e condannare i comportamenti invero poco commendabili del scorcio del Cinquecento: il , r > • • / , processo in cui incappa l'a- Un occasione troppo esigua percne bate di Summaga, un'abba- r ..' r stanza florida abbazia della JOltl e figure ri£SCOJlO a pwporSl COlYie diocesi di Concordia, in se- / //• i i» i • • / ;• /; guito alla denuncia che la- modelli Mi abiBZlOìW, morak (il allora bate stesso ha fatto nei confronti dell'amante Cecilia dei Facchi, che l'ha abbandonato per un medico. L'oggetto dell'accusa è la pratica fra il magico e il blasfemo che la ragazza, che esercita la prostituzione, avrebbe voluto insegnare a una sua compagna per ottenere migliori prestazioni amorose: l'unzione degli organi sessuali con l'olio santo, accompagnata dalla recita di formule liturgiche. Roys, sfruttatore feroce dei contadini delle terre dell'abbazia, del tutto negligente nella cura degli edifici e nella liturgia, tanto da non celebrare mai la messa, dopo che le prime volte si erano risolte in uno spettacolo penoso e disgustoso, dedito a pratiche erotiche con Cecilia nel bordello di Venezia e in casa propria, anzi subornatore della ragazza a prostituirsi anche davanti l d dmedicodalla cRoys, ctamentmenti dto, scopoco dnon si zione vtutto fivere abhi Roys, sfruttatore feroce dei contadini delle terre dell'abbazia, del tutto negligente nella cura degli edifici e nella liturgia, tanto da non celebrare mai la messa, dopo che le prime volte si erano risolte in uno spettacolo penoso e disgustoso, dedito a pratiche erotiche con Cecilia nel bordello di Venezia e in casa propria, anzi subornatore della ragazza a prostituirsi anche davanti a lui e a dargli il denaro guadagnato. Ma l'abate, se pure ha, insieme, paura e odio per il vescovo, tuttavia ha una sua astuzia contorta, una sua lenta strategia di rinvii, di indugi, di mezze menzogne, di buoni rapporti, da uomo faceto e piacevole, con i nobili di Concordia e con gli altri prelati del vescovado, anche se nessuno ha per lui né stima né rispetto. Così, l'indagine e il processo vanno per le lunghe, anche se le molte testimonianze raccolte dal vescovo disegnano tutte l'immagine di un uomo avido, maligno-, pieno di sotterfugi, di L'abate, che si chiama Alessandro Roys, è di origine spagnola ed è stato nominato titolare dell'abbazia di Summaga per la raccomandazione, presso Pio V, di un suo fratello prelato della curia romana, e malgrado fosse vedovo con tre figli e con precedenti non proprio edificanti, vuole, in realtà, insistendo presso il vescovo di Concordia, Pietro Queruli, perché faccia indagini su quanto Cecilia avrebbe commesso di così gravemente sacrilego, costringere la ragazza col ricatto a ritornare da lui. Ma l'occasione è colta dal Queruli, che ha una profonda antipatia per l'abate

Persone citate: Alessandro Roys, Facchi, Fulvio Tomizza, L'abate, Pio V, Tomizza

Luoghi citati: Parenzo, Portogruaro, Roma, Venezia