Delacroix vulcano a Tangeri

Delacroix vulcano a Tangeri A Parigi una mostra rilancia il paladino romantico «ucciso dal sublime» Delacroix vulcano a Tangeri Profumi e veleni nei taccuini di viaggio rt] PARIGI L' OLTANTO un poeta pote% va definirlo così fulrnineaij mente: «Lo si direbbe un -Mj cratere di vulcano, artisticamente nascosto da bouquets di fiori». Il poeta si chiamava Baudelaire, il pittore descritto Eugène Delacroix. Quando Delacroix sbarca in Marocco, nel 1832, ha 34 anni. A Tangeri è arrivato al seguito del conte di Mornay, che deve condurre a termine una delicata missione diplomatica presso il sultano Moulay Abd al Rahman, portando un dispaccio di Luigi Filippo: sono anni difficili, Algeri è infiammata, in attesa di divenire colonia, i confini sono in subbuglio, bisogna tenersi buono l'imperatore del Marocco. Delacroix segue la delegazione, ma un poco in disparte: il suo nome non compare quasi mai nelle carte ufficiali. E' una vecchia abitudine della diplomazia quella di portarsi appresso un cantore ufficiale, un po' come capita oggi con i fotografi autorizzati: anche il pastellista svizzero Liotard era partito nel '700 per un'analoga missione «orientalista». Delacroix beneficia soltanto del «passaggio gratuito», da Tolone a Tangeri, sulla nave Lo Perle: il resto è a suo carico. Anche i pasti a bordo, non ha diritto nemmeno a sedere fra i secondi. E' una sorta di «domestico» con incombenze artistiche. Anche perché è in viaggio con una compagnia colta: tra Parigi e Tolone si sono fermati a Fontainebleau per giudicare i restauri in corso degli affreschi di Niccolò dell'Abate. Ma proprio confuso con i servi, quando toccano la costa africana, scende per la prima volta, mascherato, a scoprire quel mondo esotico, «altro» che ha tanto sognato. Bisogna prendere delle precauzioni: il popolo berbero non è così innocuo e soprattutto non ama farsi rubare l'anima da un ritrattista. Sia pure rapido e subdolo come lui. H primo impatto è folgorante: diverso anche da quel mondo di tramonti paonazzi e di esotismo un poco da paccottiglia, cui la pittura orientalista, da Fromentin a Gros, ha ormai abituato la Francia. Scrive ad un amico: «Sono un uomo che sogna e che guarda le cose, temendo che scompaiano, che fuggano». Come i suoi cavalli nevriti. All'inizio è il pittoresco a colpirlo, un termine che torna insistente anche nel suo diario: «Il pittoresco abbonda qui, ad ogni passo si vedono dei quadri già pronti, che farebbero la fortuna di venti generazioni di pittori». Ma poi quest'aspetto un po' teatrale, agghindato, lascia spazio ad un'altra ammira- zione: quella del «naturale». L'interesse della mostra parigina, all'Istituto del Mondo Arabo, che tocca il tema del Viaggio in Marocco di Delacroix dopo anni di distrazione (per lo meno dal 1933 di una mostra analoga all'Orangerie) è proprio quello di studiare - attraverso opere, schizzi che vengono dai musei di tutto il mondo e soprattutto il facsimile dei suoi taccuini di viaggio, gremiti di appunti e notazioni -, approfondire il curioso atteggiamento di un paladino del Romanticismo immerso in una realtà completamente diversa e stordente. Un profumo forte e quasi velenoso, che lo costringerà a mutare visione del mondo e che influenzerà definitivamente la sua poetica d'artista. Perché il francese, con la sua curiosità prensile e vulnerabile, scopre in queste colorate contrade non soltanto l'eversiva luce mediterranea che ferirà anche Klee in Tunisia e Macke e poi Matisse, cui si avvicinano impressionantemente molti di questi schizzi, ma soprattutto ritrova romanticamente radici primordiali di un Naturale incontaminato. «I Greci e i Romani sono di là dalla mia porta. Io che ridevo dei Romani di David!». Ed in una lettera ad un ammiratore: «Provate ad immaginare, amico, che cosa sia vedere qui il tramonto passeggiando per strade in cui t'imbatti in dei saggi, dei personaggi consolari, dei Catone o dei Bruti ai quali non manca nemmeno l'aria sdegnosa che do- vevano avere quei padroni del mondo». La naturalezza classica ed un sole che brucia la ragione. All'amico Villot: «Se avete qualche mese da spendere, venire in Barberìe, vi vedrete il naturale che compare senza mascheratura. Vi avvertirete la più preziosa e rara influenza del sole, che regala a tutte le cose una vita penetrante». E poi, alcune espressioni rivelatrici: «Il bello corre per le strade, è disperante», una bellezza così vera, nuda, che ferisce. «Il sublime che vive e colpi¬ sce... va così per le contrade e ci assassina di realtà». Non potrebbe esserci definizione più innamorata e vera: la realtà che invade ed uccide. Non tutto è facile, per la delegazione, non piovono soltanto doni ed omaggi, su questi occidentali che stupiscono ed inquietano i rissosi marocchini. Durante una delle fosforescenti Fantasie a base di spari, urla ed esibizioni d'animali, un soldato dell'imperatore, non si sa se volontariamente o per caso, tira su Mornay senza colpirlo. Viene graziato, ma sempre più l'atmosfera si fa incandescente. Sono snervanti le attese per le convocazioni imperiali. Passano giorni in attesa dell'udienza di Moulay: per vegliare sugli ospiti i francesi vengono come «cloitrés)) in un serraglio. Ma Delacroix, sempre più irrequieto, si mescola ai cammellieri e viola i labirinti della casbah. Sempre in ritardo sul gruppo, per rapire un dettaglio, come quegli insopportabili turisti di massa che devono scattare l'ultima foto, facendo friggere il torpedone. Gli è presa come una smania di documentare tutto. I costumi, le armi, le cerimonie. I suoi taccuini tradiscono una fretta rapinosa, febbrile. Non c'è nemmeno il tempo di stendere il colore; spesso micro-annotazioni a matita documentano i riferimenti cromatici o le linee interrotte di paesaggio. Delacroix pensa già alla pittura, che realizzerà in studio, rientrando a Parigi. Ma è la luce, quella luce, che non lo abbandonerà più, impastando di prensile reattività la sua pittura sovraeccitata. Quella «magia incandescente» come la chiama Baudelaire, che «marcia verso di voi e vi avviluppa». E' qui che Delacroix sperimenta quella tecnica sospirante e umida che il pittore stesso sintetizza quasi in un motto. «Sbozzare largo, perfino con una scopa, se necessario, per poter concludere con uno spillo». Una sonorità cruda e quasi chiassosa del colore, che anticipa le tacche sbocconcellate degli impressionisti e che su tutte Cézanne predilige. Baudelaire: «In verità, si dispiegò mai più grande coquetterie musicale? Veronese fu più fiabesco di lui?». Féerique. Ma ad un tratto Delacroix sembra nausearsi di tutto questo lussurioso color-fiaba. Disegnare a Meknès diventa rischioso. Lui tenta di salire sulle terrazze, per vedere fiatare l'orizzonte, ma è là che spesso prendono il fresco le donne arabe, i musulmani sono intransigenti, si sa. Una fuga a Cadice, in calesse, una boccata di cultura spagnola, più nostra, a Siviglia. Anche se continua a contrapporre la falsa civiltà francese, («Robespierre da incroci parigini, ridicoli che siete, andate in Barberie ad imparare pazienza e civiltà»), anche se continua a teorizzare: «La Bellezza si unisce a tutto ciò che i marocchini fanno. Noi altri, nei nostri corsetti, nelle nostre scarpe strette, i nostri guanti ridicoli, noi davvero facciamo pietà. La grazia si vendica della scienza», in realtà sempre più avverte il richiamo della stalla. Il vacarme, il chiasso di Meknès spesso gli ricorda il supplizio d'un innocente. Il ritorno sarà lento, tormentato (in Europa corre il colera): soste, ritardi, settimane di quarantena. Nelle more di quei soggiorni in lazzaretto incomincia a stendere i primi acquarelli, per sé, per Mornay, che riverberanno nei futuri olii d'Oriente, presenti anche in mostra. Il viaggio in Marocco rimarrà senza dubbio l'evento più influente di tutta la sua ribelle esistenza, ossessionando la sua pittura «agitata». Se ne rende conto già a Tangeri. «L'aspetto di queste contrade rimarrà sempre nei miei occhi. Gli uomini e le donne di questa forte razza si agiteranno in me fin che vivrò. Nella mia memoria è in loro che ho ritrovato la bellezza antica». L'antiquité vivante. Marco Vali ora «Cotanto pittoresco da far felici venti generazioni di pittori» j | e» ■ wmmum* 1 1 Eugène Delacroix, «Festa di nozze ebraiche in Marocco». Sopra, un autoritratto del pittore Alcuni schizzi dell'artista tratti dai taccuini di viaggio in Marocco