Berlino, asilo della morte per figli dell'Aids

Berlino, asilo della morte per figli dell'Aids GERMANIA Giochi e recite per prepararsi alla fine. Una maestra: «I vicini li insultano e li scacciano» Berlino, asilo della morte per figli dell'Aids Ai bimbi sieropositivi viene detto che non possono sopravvivere BONN NOSTRO SERVIZIO L'asilo dell'Aids è in una piccola piazza del quartiere di Moabit a Berlino. Il primo asilo in Germania riservato esclusivamente a bambini sieropositivi, il sintomo di una realtà che non si può più ignorare. Sono bambini dai tre ai sei anni, che hanno già conosciuto la morte, di un fratellino o di un genitore. In tutta la Germania sono più di mille i bimbi contagiati dal virus: un terzo proprio a Berlino. Bambini che per la maggior parte sono figli di tossicodipendenti, condannati già nel ventre materno. Negli asili «normali» vengono guardati con diffidenza e con paura dagli altri genitori. Sono bambini che vivono una vita sregolata con una madre malata o in procinto di ammalarsi che comunque non avrebbe la forza di sentire gli altri genitori par¬ lare delle piccole malattie, dei piccoli problemi della quotidianità. La morte per i bambini di Moabit non è un mistero. «Sanno che moriranno presto», dice la maestra Sonja Stuekle. E per prepararli all'improvvisa scomparsa di un compagno si mettono in scena piccole recite. La storia del piccolo bassotto, che muore per un incidente. Gli altri animali sono tristi, ma poi si ricordano tutte le belle cose che hanno imparato dall'amico, la ranocchia ha imparato a pattinare, la volpe a fare il nodo della cravatta. Charlie, Michael, Lisa, Denni o Moodi sono bambini piccolissimi. Eppure sanno quello che succederà. «Non siamo come gli altri asili - dice la maestra -, non li possiamo preparare alla vita futura: la loro vita è adesso». E per rendere il presente più felice, l'Aids Forum di Berlino ha preso la decisione. Non per emarginare i bambini, come dicono i critici, ma per farli sentire uguali agli altri. I vicini del quartiere non hanno preso bene la cosa. Una volta c'è stata una bomba incendiaria e prima che venissero chiamati i pompieri è passato molto tempo. Un bimbo di cinque anni voleva accarezzare un cane, racconta la maestra al settimanale «Stern», ma il padrone lo ha mandato via: «So che hai l'Aids, non toccare il mio cane». Altre volte i vicini tirano vasi di fiori dalla finestra quando passano i bambini. Per molti dei bambini dell'asilo dell'Aids a Moabit è la prima volta che vivono una vita regolare. Charlie con i suoi fratellini non aveva quasi mai messo il piede fuori casa. La madre lavora come prostituta la notte e di giorno dorme. Jana, la più debole del gruppo, è già malata di Aids. Ha tre anni, ma ne dimostra uno e mezzo, va solo a gattoni e non parla. E' figlia di Ute, ventisettenne che a quattordici anni ha iniziato la sua carriera di eroinomane. Moodi è sieropositivo, suo fratello Denni invece è più fortunato, dalla madre malata ha ereditato solo gli anticorpi, ma non il virus stesso. Un pulmino li va a prendere a casa e li riporta la sera, perché la maggior parte delle madri non sarebbe in grado di accompagnarli. I bambini più grandicelli vanno a vedere i pony. Possono salire sugli animali, aiutare ad accudirli. Se uno di loro si fa male non piange. «Sono bambini abituati agli ospedali e al dolore - dice la maestra -, se esce del sangue sanno che nessun altro deve toccarlo: il loro sangue è veleno». Francesca Predazzi

Persone citate: Denni, Francesca Predazzi, Sonja Stuekle, Stern

Luoghi citati: Berlino, Germania