Il «Prudenziano» del Colle
Il «Prudenziano» del Colle Il «Prudenziano» del Colle Gifuni, Vuomo-ombra che crede nei cavilli E ROMA poi ci sarebbe quel signore alto, con gli occhiali e i capelli lisci, che le telecamere inquadrano sempre alle spalle del politico di turno appena uscito dall'incontro con il presidente Scalfaro. Tipica presenza televisiva di contorno, silenziosa e quasi mimetizzata nel grigio scuro degli abiti delle consultazioni. Quando queste ultime riprenderanno, lunedì pomeriggio, varrà la pena di osservarla meglio. Quelle mani in grembo, quell'aria d'indefinibile distacco. A vederlo così compostamente neutrale, indifferente, imparziale, non si direbbe mai che Gaetano Gifuni, segretario generale della Presidenza della Repubblica, è in realtà l'uomo, meglio, il mago che può fermare la corsa folle di Berlusconi verso il voto anticipato. In altre parole: se si farà un governo, e soprattutto se tale governo si qualificherà secondo una qualche formula immaginificamente «istituzionale» e ancor più all'interno di procedure tanto efficaci quanto complicate, ecco, questa sarà il grande capolavoro di Gifuni. L'unico - forse anche l'ultimo grand commis in grado di impantanare gli scatti e le semplificazioni emotive della Seconda Repubblica nella palude dei cavilli regolamentari, dei risvolti insospettabili e degli eterni escamotages della vecchia politica. Il tutto, possibilmente, rimanendo fedele all'eloquente soprannome «Prudenziano»: con enorme cautela, perciò, all'ombra di Scalfaro, in punta di piedi e senza dare nell'occhio. Amen. Pugliese di Lucerà, ma finto napoletano, come Arbore. Personaggio a suo modo balzachiano. D'estrazione liberale, in quanto figlio di Giovan Battista Gifuni, grande studioso di Salandra. Di devozione mariana, con tanto di pellegrinaggio annuale al santuario della Madonna dell'Incoronata, vicino Foggia. E, se non bastasse quest'insolito contrasto culturale, pure d'invincibile superstizione, come si dedurrebbe dal cornino rosso appeso all'orologio da tasca, peraltro dono dell'ex ministro dei Trasporti Formica, pugliese anche lui. Chissà a quale dei tre filoni, diciamo, antropologici avrà fatto riferimento per impegnarsi nella crisi più caotica del dopoguerra. Fatto sta che tutti i politici saliti sul Colle se lo sono ritrovato, compunto e per lo più silenzioso, prima fra gli arazzi della sala del Bronzino e poi, sistematicamente, nello studio «alla vetrata» quasi fosse un elemento del paesaggio presidenziale. Solo il missino Maceratini ha notato che prendeva appunti (il segretario generale, oltre a essere il primo consigliere del presidente, svolge infatti anche la funzione del testimone) e ne ha poi parlato nei seguenti termini: «Non dà certo l'idea del convitato di pietra». E tuttavia, benché pochissimo conosciuto dal grande pubblico - o forse proprio per questo -, Gifuni incarna senz'altro una dimensione rarefatta, ma assai specialistica e scientifica del potere. Non ha bisogno né di articoli, né di interviste, né di fotografie. Ma intelligente com'è, abbastanza colto, ottimo navigatore e yesmen eccellentissimo, nell'arco della sua esistenza piena di soddisfazioni ha sempre messo al servizio dei suoi numerosi referenti politici la tecnica necessaria e soprattutto una non comune capacità di «ribaltare» autorevolmente le cose. Di suo dicono che è un conservatore, neanche troppo illu¬ minato. Il nuovo lo infastidisce, infatti, e forse lo spaventa anche. Il risultato, dicono ancora, è che grazie a quei doni di stregoneria giuridica e procedurale applicate Gifuni riesca ad invecchiarlo quanto prima, il nuovo. In questo senso la sua provenienza dai ranghi della burocrazia del Senato, di cui è stato segretario generale dal 1975 al 1992 al fianco di Fanfani, Spagnolli, Morlino, Vittorino Colombo, Malagodi, Cossiga e Spadolini, aiuta a comprendere la naturale diffidenza verso le nuove, rumorose e spettacolari forme della politica. Il Senato, al quale - come si racconta - il giovane Gifuni s'iscrisse piuttosto giovane alla segreteria generale, è d'altra parte quello in cui ancora s'avvertiva, per dirla con le parole di Guglielmo Negri nel suo Testimone di mezzo secolo, «l'indefinibile e impalpabile atmosfera di Festa dello Statuto, Coro dei Lombardi, libro Cuore, Incontro di Teano, Ricordi di Massimo D'Azeglio». Luogo di virtù quasi risorgimentali e palestra di selezioni burocratiche spietate attraverso le quali, come già accaduto ai suoi predecessori Nicola Picella e Franco Bezzi, da segretario generale Gifuni è successivamente approdato al Quirinale. L'incontro con Scalfaro, specie di colpo di fulmine, non è però così remoto, risalendo alla primavera del 1987, quando i due si ritrovarono provvisoriamente ministri - l'attuale presidente all'Interno, il suo segretario generale ai Rapporti con il Parlamento - del quinto governo Fanfani. Dicastero qualificato «elettorale», nato quindi moribondo, sia pure con qualche fatica a morire (il psi voleva farlo sopravvivere per non rinviare i referendum e nuocere alla de). Un governo che in qualche misura potrebbe rappresentare un modello per questo che si dovrebbe costituire nei prossimi giorni. Di quell'esperienza Gifuni ricorda in prima persona ogni minimo passaggio. Certo oggi la politica sta facendo saltare protocolli, formalità e precedenti. Però c'è sempre bisogno di qualcuno che, come in una partita a scacchi, sappia vedere al di là della quinta mossa dell'avversario. Filippo Ceccareili Il segretario generale del Presidente è stato ministro con Fanfani Lo statista risorgimentale Massimo d'Azeglio
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