«Polacchi non pagate le tasse ordine del presidente Walesa»

Disobbedienza fiscale per battere il governo neocomunista Disobbedienza fiscale per battere il governo neocomunista «Polacchi, non pagate le tasse ordine del presidente Walesa» IL RITORNO DEL TRIBUNO CARI concittadini polacchi, fate come me. Non pagate gli aumenti delle tasse decisi dal governo, sono ingiusti, parola del presidente della Repubblica»: lo sciopero fiscale a Varsavia ha un passato secolare, 10 praticavano con micidiale efficacia turbolenti baroni che preferivano una medioevale anarchia alle briglie del sovrano. Ma per la prima volta a suggerirlo, anzi ordinarlo, è addirittura la suprema carica dello Stato. Lech Walesa è tornato quello di un tempo, di quando, con tribunizia energia, orchestrava gli scioperi nei cantieri navali di Danzica, mettendo i brividi ai proconsoli del Cremlino. L'ex sindacalista sembrava un po' imborghesito: carico di onorificenze e di gloria, con in bacheca 11 premio Nobel, vistosamente appesantito, navigava verso una tranquilla pensione da notabile. In questo placido autunno degli eroi era peraltro in compagnia di amici e avversari: Urban, ex portavoce di Jaruzelsky adesso rastrella miliardi facendo l'editore; Geremek, cervello di Soli- darnosc, è di nuovo alle prese con il mestiere di storico. Ma è bastato che a Varsavia, nel settembre del '93, tornassero a sventolare le bandiere rosse (anzi rosa) dell'Alleanza della sinistra democratica, postcomunisti che hanno vinto le elezioni, perché riaffiorasse l'antica ringhiosa passione. Senza dimenti¬ care che il '95 è anno di presidenziali, e il vecchio sindacalista ha annusato di nuovo odore di polvere e di battaglia. Così è iniziata la guerra, uno scontro senza esclusione di colpi, fitto di imboscate parlamentari, veti reciproci e dispetti protocollari. Il guanto di sfida l'ha gettato il presidente quando ha rifiutato di prestare il suo Tupolev al premier e ai detestati ministri rossi per viaggi e missioni all'estero. Appiedati e furenti i componenti dell'esecutivo hanno risposto comprando (tre milioni di dollari, un salasso non indifferente per le esauste casse di uno Stato che ha l'inflazione al 30%) un altro Tupolev nuovo fiammante e ancor più accessoriato. Lo hanno parcheggiato provocatoriamente a fianco di quello presidenziale. Semplici punture di spillo se confrontate alle bordate sparate da Walesa. Prima una dichiarazione di guerra: «Si può cooperare con i comunisti soltanto quando sono deboli, appena tornano forti riprendono i vecchi, pericolosi metodi». Poi, per la stoccata, ha scelto l'arena più esplosiva nella cattolicissima Polonia: l'aborto. Ha infatti messo il veto a un progetto di legge che chiedeva di liberalizzare l'interruzione della gravidanza finora limitata a pochi casi, e ha annunciato che si sarebbe dimesso se la legge veniva approvata. Successo completo: in Parlamento molti deputati del partito contadino, alleato con i comunisti, hanno votato con lui affondando la proposta. Poi implacabile è passato al colpo del ko. Ha annunciato che non firmerà il bilancio dello Stato perché vi intravede i satanici spettri dello statalismo comunista: privatizzazioni al rallentatore, controllo dei prezzi, ruolo guida dello Stato in economia, pensioni ai contadini, alto prelievo fiscale. E ha indossato la corazza del crociato antitasse. E sullo scudo ha scritto i risultati di un sondaggio: già il sessantasette per cento dei polacchi non ha più fiducia nel governo «rosso». Domenico Quirìco

Persone citate: Domenico Quirìco, Geremek, Jaruzelsky, Lech Walesa, Polacchi, Urban, Walesa

Luoghi citati: Danzica, Polonia, Varsavia