Andrea Cosso «il duro» Dario Mariani il gregario

Dei sei arrestati, due appartenevano ai Nar (Nuclei armati rivoluzionari) scarcerati da poco Andrea Cosso, «il duro» Dario Mariani, il gregario GLI AMICI DI GIUSVA FIORAVANTI «Ora spara pure anche a me, qui, in testa. Facciamola finita». Un duro, questo Cosso: si era appena arreso, quella mattina del 24 marzo 1985, al casello di Alessandria, eppure non rinunciava al suo ruolo. «Sparami in testa», ripeteva al poliziotto che gli si avvicinava. Quella mattina erano in quattro, a bordo di una 127 bianca intercettata da una volante: Diego Macciò, Enrico Antonio Ferrerò, Raffaella Furiozzi, e il «capo», Andrea Cosso. «Patente e libretto», aveva chiesto l'agente. Ma quelli invece spararono, e alla fine ci furono due morti: Macciò e Ferrerò. La Furiozzi, ferita leggermente, sotto choc, gli occhi chiusi, incapace di parlare. Lui, Cosso, ferito ad un braccio, la pistola con la canna rivolta verso il basso. Aveva alzato le mani, si era lasciato ammanettare. Ma chi erano, quei quattro ragazzi con l'aria pulita, e tre pistole, fucili a canne mozze, bombe a mano, documenti falsi nel bagagliaio? Una telefonata aveva rivendicato la loro azione: «I morti e i due feriti sono soldati dei Nar e di Terza posizione», e ancora: «I camerati caduti marciano nelle file della rivoluzione». Terroristi neri, e ragazzi di buona famiglia, che si erano fatti cucire nella fodera interna del giubbotto le svastiche e le aquile romane. Al processo Cosso aveva spiegato: «Il nostro obiettivo principale era di arruolare un po' di gente, addestrarla, reperire armi e fare un po' di propaganda armata, come sequestrare qualche giornalista, o distruggere una caserma. Niente attentati, comunque, sono cose contrarie ai miei principi». Ma perché quella sparatoria? «Ero convinto che sarei stato ucciso», rispose Cosso. Era il leader di «Vento del Nord»: sede in via Verdi, a due passi dall'Università. Un'organizzazione di estrema destra con tanto di slogan («Disintegra il sistema!») e inno: «Bagnando il mitra in una pozza di sangue, si fece il simbolo della rivoluzione. Siam la razza scelta, noi siamo pronti per vincere o morire. Non conosciamo paura o timore, ma moriremo con rabbia e cuore». Cosso era già stato arrestato nell'82: coinvolto in una storia di «neri», tra cui il rampollo degli industriali Maggiora, che aveva trasformato un castelletto dalle parti di Caselette in un bunker con poligono di tiro. Tra i loro obiettivi: aiutare i camerati in difficoltà ad espatriare in Francia. Ecco, la Francia. Al valico del Monginevro era stato arrestato Dario Mariani, il 4 maggio del 1988. Le foto di allora lo ritraggono in tenuta da podista, travestimento adottato per riuscire a rientrare in Italia: la faccia furibonda, le manette ai polsi, stretto tra due carabinieri che quasi lo abbracciano. Era entrato in clandestinità da alcuni mesi, dopo aver ottenuto gli arresti domiciliari a Roma. Si era nascosto a Briangon, la Gendarmeria francese lo aveva già individuato. Chi erat Mariani? Nel 1980 era stato arrestato per associazione sovversiva e partecipazione a banda armata. Nel 1985 lo si riteneva appartenente al gruppo di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Coinvolto nell'omicidio di Francesco Mangiameli, fascista siciliano ucciso (perché aveva tradito i suoi camerati) in una pineta vicino a Roma. Coinvolto nell'omicidio di Franco Evangelista, poliziotto soprannominato «Serpico», ucciso davanti al liceo Giulio Cesare. Un gregario, non un capo. Però pericoloso. Pietro Fornace, presidente del Tribunale di sorveglianza: «Gli avevamo concesso una semilibertà particolarmente rigida: usciva dal carcere solo per andare a lavorare, e prima di dargliela, avevamo chiesto a polizia e carabinieri di tenerlo sempre sotto stretto controllo». Brunella Giovara Il loro inno: «Siam la razza scelta, pronti a vincere o morire» Andrea Cosso e Dario Mariani (con la barba)

Luoghi citati: Alessandria, Caselette, Francia, Italia, Roma