«Così ho tradito mio fratello Giusva » di Giovanni Bianconi

DA TERRORISTA A PENTITO «Ma lui non c'entra con la strage alla stazione di Bologna» «Così ho tradito mio fratello Giusva » Cristiano Fioravanti: mi costrinsero a mentire DA TERRORISTA A PENTITO MROMA IO fratello con la strage di Bologna non c'entra. Abbiamo fatto del male a tanta gente, ucciso molte persone, ma la bomba no, non l'ha messa lui». Cristiano Fioravanti si alza e si siede in continuazione; le Muratti che accende a ripetizione, una dopo l'altra, tradiscono il nervosismo che l'assale quando parla di suo fratello Valerio, il capo dei Nar seppellito in carcere da una valanga di ergastoli anche a causa delle sue accuse. Insieme, i due fratelli Fioravanti sono stati tra i principali protagonisti della stagione del terrorismo nero, anni terribili che Cristiano s'è lasciato alle spalle grazie al «pentimento»; centinaia di verbali d'interrogatorio contro i «camerati» di un tempo che gli sono valsi l'uscita dalla galera ma anche il marchio di «infame». Anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, veloci e pieni di morti ammazzati, in cui è caduta pure la strage alla stazione di Bologna, 2 agosto 1980, 85 morti e 200 feriti. Per quell'attentato Valerio Fioravanti e sua moglie, Francesca Mambro, sono stati condannati all'ergastolo dopo la solita altalena di condanne e assoluzioni dei processi per strage, che non si è ancora conclusa. Adesso i due aspettano la nuova sentenza della Cassazione e Cristiano Fioravanti - prima complice e poi grande accusatore della coppia - esce da quella specie di limbo in cui vive per dire che no, Valerio e Francesca la bomba alla stazione non l'hanno messa. «Io lo so - racconta -, perché so che il principale testimone dell'accusa mente. Massimo Sparti, il falsario e ricettatore di cui noi ci servivamo, dice che Valerio e Francesca si presentarono a casa sua, a Roma, per chiedergli dei documenti due giorni dopo la strage, e gli dissero: Hai visto che botto abbiamo fatto a Bologna?». «Non è vero, non può essere. Io uscii dal carcere proprio il 2 agosto, e come prima cosa andai a casa di Sparti: non c'era, e non c'era nemmeno il giorno dopo e il giorno dopo ancora. E' un bugiardo, mente in maniera schifosa per tirarsi fuori dai suoi guai». Parla a fatica Cristiano Fioravanti, 35 anni, l'ultimo paio trascorsi da uomo libero nella località segreta dove sta tentando di rifarsi una vita normale. Parla per la prima volta fuori dall'ufficio di un magistrato o da un'aula di giustizia, e accetta di raccontare la storia di una vita bruciata, cominciata in una sezione missina e finita con le sparatorie per strada, la solitudine di una cella, il tradimento degli amici e del fratello: fino al momento dell'arresto per lui si sarebbe fatto ammazzare; da allora, 1981, non hanno più nessun rapporto. «Quel passato voglio solo dimenticarlo - spiega -, è stata una tragedia della quale mi vergogno profondamente. Mi vergogno più di quello che abbiamo fatto che del tradimento, che pure mi è costato molto, di cui non sono certo fiero. Ma sono convinto che era l'unica strada, l'unico modo per rompere con il passato e ricominciare daccapo». Era la metà degli Anni Settanta quando Valerio - ex bambino prodigio della tv - fu spedito a studiare negli Stati Uniti, e Cristiano prese a frequentare la sezione missina del quartiere Monteverde, a Roma. «Furono mia madre e mia sorella a spingermi verso la sezione, perché io ero un tipo chiuso, piuttosto asociale, frequentavo al massimo qualche teppistello di quartiere. Mi mandarono lì per aprirmi un po' agli altri, senza rendersi conto di ciò che significava, in quel periodo, frequentare una sede missina. Dopo i primi giorni ci fu un assalto dei "compagni", poi un altro, e per spirito di solidarietà e di sopravvivenza nacque un gruppetto di persone più agguerrite e preparate allo scontro. Cominciammo ad organizzarci coi martelli e le spranghe, io ero piuttosto bravo sia negli scontri di piazza che nelle aggressioni». Valerio tornò dagli Usa, e decise di stare accanto al fratello. «Lui ricorda Cristiano - all'inizio frequentava un altro giro. Poi cominciò a venire in sezione, e a portare le prime armi. Mi ricordo che la prima volta andammo ad attaccare i manifesti con un fucile a canne mozze caricato a sale. Dopo un po' passammo alle rapine, e ci fu l'assalto all'armeria nel quale morì uno di noi, Franco Anselmi, ucciso dal proprietario del negozio. Fu il punto di non ritorno». Quando morì Anselmi, marzo '78, Cristiano e Valerio Fioravanti avevano già un «compagno» morto sulla coscienza. Poi vennero altri attentati, altri morti, le strade dei due si divisero anche a causa del carcere, in cui finirono prima l'uno e poi l'altro. Ripresero a vedersi dopo l'agosto dell'80, e adesso Cristiano ricorda che fu proprio Valerio ad andarlo a cercare. «Io ero andato in campagna, volevo mettere su un allevamento di polli. Lui mi chiese di tornare con loro. Disse che potevamo aiutarci, che aveva bisogno di me, che ero il più bravo, che se non ci davamo da fare rischiavamo di finire in galera per sempre. A casa ero stato sempre considerato il figlio scemo, e per la prima volta Valerio mi fece sentire importante. Per questo lo seguii». Ci furono altre azioni, altri morti, tra cui l'omicidio del neofascista siciliano Francesco Mangiameli («Io sparai il primo colpo, poi spa- rarono Valerio e Giorgio Vale; ma sulle motivazioni di quel delitto io continuo ad avere dei dubbi», dice Cristiano), fino all'arresto di Valerio (febbraio '81, con la morte di due carabinieri) e infine di Cristiano, due mesi più tardi. «L'arresto ricorda il più piccolo dei fratelli Fioravanti - fu la fine di un incubo. Io non ce la facevo più con quella vita, feci l'ultima rapina con la speranza di uno scontro a fuoco e di rimanere ucciso. Pensavo anche di ammazzarmi, mi sentivo perso. Ma non avrei parlato, lo dicevo anche a tutti quelli che incontravo nei corridoi della questura. Poi mi contestarono alcune rivelazioni fatte da Sparti, e mi crollò il mondo addosso. Cominciai a parlare anch'io, e fu un atto di liberazione; mi sentii risollevato, leggero. La mia speranza era che parlasse anche'Valerio, e invece...». Invece Valerio non parlò, e Cristiano fu considerato un traditore, anche in famiglia: «Mia madre diceva che preferiva avere un altro figlio ergastolano piuttosto che un infame in casa». Finì nel carcere dei «pentiti», quello di Paliano, dove incontrò Angelo Izzo, neofascista anche lui, uno dei massacratori del Circeo che con le sue rivelazioni ha tentato in tutti i modi di scrollarsi l'ergastolo di dosso. «Izzo cominciò a tormentarmi, instillandomi giorno dopo giorno i dubbi su mio fratello. Diceva che era coinvolto nella strage di Bologna e in altri affari sporchi, e io ho finito per credergli. Mi ha convinto, ed è stato per questo che ho fatto anche delle dichiarazioni un po' forzate: volevo mettere Valerio con le spalle al muro, farlo uscire allo scoperto. Ma era il modo più sbagliato, e poco dopo capii che a Izzo non interessava niente di noi; lui parlava solo per fare i suoi interessi e per farsi benvolere dai giudici di Bologna. Una volta mi disse: "Devo sentire prima Mancuso (il pm dell'inchiesta sulla strage, ndr), perché è lui che deve togliermi l'ergastolo". Ero sotto una pressione tremenda. Se collaboravo e non confermavo gli altri pentiti, rischiavo di perdere credibilità. Una volta arrivai a dire ai giudici: "Io firmo un verbale in bianco e voi scriveteci sopra quello che volete". Per fortuna non l'hanno fatto». Quando parla di «dichiarazioni forzate», Cristiano si riferisce a quello che ha detto ai giudici sui delitti Pecorelli e Mattarella, e sulla stessa strage di Bologna. Su Pecorelli raccontò che Alibrandi gli aveva detto che l'aveva ucciso Valerio; su Mattarella disse che Valerio voleva uccidere anche la moglie e la figlia di Manciameli perché sapevano troppe cose; e su Bologna manifestò dei dubbi che finirono per accreditare il «teorema» dei giudici. Adesso altri pentiti, di mafia e della malavita organizzata romana, hanno scagionato Valerio Fioravanti per gli omicidi di Pecorelli e di Mattarella. «Se è così reagisce Cristiano - io sono solo contento. Sinceramente adesso mi è difficile ricordare tutto e distinguere tra quello che ho detto perché lo sapevo davvero e quello che è riuscito ad inculcarmi Izzo. Ma *r,i fa piacere sapere che lui in quelle due storie non c'entra. Quanto a Bologna, non ho dubbi: non solo perché so che Sparti mente, ma anche perché noi non abbiamo mai avuto né usato esplosivo, perché siamo sempre stati contrari alle stragi, perché Valerio è uno che non prende ordini da nessuno». E adesso? Che sentimenti prova Cristiano verso Valerio? «Valerio è e sarà sempre mio fratello - risponde Cristiano - una persona eccezionale che ho amato e tradito. Per anni ho vissuto nella disperazione di averlo perso, ma adesso ho accettato questo fatto. Io non sono più quello di una volta, in fondo siamo stati più complici che altro, e ora le nostre strade si sono separate definitivamente. Il rimorso di averlo tradito ce l'ho e ce l'avrò sempre, ma sono anche convinto di aver fatto la scelta giusta. E penso che sia davvero un'ingiustizia che lui e Francesca non abbiano nemmeno un giorno di permesso perché sono accusati della strage, un'accusa falsa. Riallacciare un rapporto con Valerio significherebbe tornare al passato, e io non lo voglio. Però...». Cristiano si ferma, la voce si incrina: «Però non su che darei per poterlo riabbracciare: ma ho paura, ho paura del passato. Che cosa gli direi? Niente, lui sa già tutto». Giovanni Bianconi «Insieme abbiamo ucciso tante persone Lui resta in cella e io vivo protetto con un marchio di infamia» Giusva Fioravanti e Francesca Mambro il giorno delle nozze e a destra durante un processo Sotto un'immagine della strage alla stazione di Bologna