Referendum l'ultima sfida

Pannella fa il tifo per la loro ammissibilità, Berlusconi e Fini temono il rinvio delle elezioni anticipate Pannella fa il tifo per la loro ammissibilità, Berlusconi e Fini temono il rinvio delle elezioni anticipate Referendum, l'ultima sfida Corte costituzionale in corsa contro il tempo ROMA. Nella saletta stampa di Montecitorio Pierferdinando Casini ha appena finito la quarta intervista consecutiva ai tg e ora può finalmente parlare sotto voce: «Il referendum? Non farà slittare le elezioni per una ragione molto semplice: da quel che sento dire il referendum sarà dichiarato inammissibile e a quel punto si andrà dritti dritti alle elezioni...». E Casini, sorridendo, spiega: «Oramai chi voleva cassare i referendum ha messo in moto un meccanismo che non riesce più a fermare...». Casini allude al pds che, fino ad oggi è stato il nemico più accanito del referendum voluto da Marco Pannella: quello che abolisce il sistema proporzionale. Ma a giudicare dalla tranquillità di Casini c'è una novità nei due schieramenti, che sembravano inossidabili. Fino ad oggi, da una parte sono stati schierati Pannella, Forza Italia, Fini, il Ccd, tutti a fare il tifo per l'ammissibilità del referendum, considerato un ponte verso il sistema maggioritario anglosassone con due grandi partiti. Dall'altra parte della barricata la Lega, il ppi, Rifondazione e il pds, per dirla con Pannella, «l'ultima casamatta partitocratica» che un sistema all'inglese costringerebbe a sciogliersi in un più ampio contenitore. Ma ora ecco la novità: a Berlusconi e a Fini più di ogni altra cosa - lo ripetono tutti i giorni - stanno a cuore le elezioni subito e se il referendum pannelliano fosse dichiarato ammissibile, c'è un rischio all'orizzonte: visto che per legge i referendum si possono svolgere a partire dal 15 aprile, le elezioni rischierebbero di slittare a chissà quando. E Franco Bassanini, costituzionalista della segreteria del pds, ha buon gioco a ricordare: «Una volta che il "sì" avesse vinto, sarebbe obbligatorio ridisegnare i collegi e a quel punto non bisogna essere uno scienziato per prevedere che eventuali elezioni anticipate slitterebbero in autunno». In casa della maggioranza il campanello d'allarme è squillato qualche giorno fa al Quirinale, quando Oscar Luigi Scalfaro ha ricevuto uno dei tanti comitati promotori e ha spiegato di essere favorevole a far svolgere nello stesso anno referendum ed elezioni. Marco Pannella, l'unico che per lunga coerenza, crede sul serio alla battaglia per il sistema anglosassone, ha subito fatto sapere che il suo «calendario» prevede referendum ad aprile ed elezioni a giugno, anche perché - suggerisce il fido Calderisi - «la commissione per i collegi elettorali potrebbe già iniziare a predisporre uno schema, sia pure come ipotesi di lavoro». E Gianfranco Fini? Per ora si è messo in linea con Pannella: «Attendiamo di vedere se i referendum sono ammessi o meno, dopodiché verificheremo come fare in modo che il loro svolgimento non allontani più del dovuto, in termini costituzionali, lo svolgimento delle elezioni». In linea con Pannella, ma con un filo di preoccupazione per quelle elezioni che potrebbero slittare un po' troppo. E intanto la Corte Costituzionale si prepara all'udienza del 9 gennaio con una curiosa novità: negli ultimi anni non era mai accaduto che i giudici della Consulta riprendessero i propri lavori all'inizio dell'anno così anticipatamente. Il 9 gennaio è una «prima volta» che, raccontano i malevoli, sarebbe legata all'esigenza di mantenere l'attuale «plenum»: il 14 gennaio infatti scade il mandato del giudice Pescatore, grande esperto di diritto amministrativo e nel passato grand commis di area democristiana. E qualche giorno dopo scade il mandato di altri due giudici: quello del presidente della Corte Casavola, nove anni fa nominato dal Parlamento su indicazione della de, allora guidata da Ciriaco De Mita; e quello del giudice Spagnoli, di area pds, anche lui di nomina parlamentare. E la storia dimostra che i referendum elettorali sono quelli che hanno costretto la Consulta a decisioni mozzafiato: in occasione del giudizio di ammissibilità sul referendum Segni del 1993 la votazione segreta tra i 13 giudici presenti finì 7 a 6 per il no e fu il voto del presidente Conso (che vale doppio e vota per ultimo) a far pendere la bilancia a favore del giudizio di ammissibilità, [f. mar.] A destra, il presidente della corte Costituzionale Francesco Paolo Casavola. A sinistra, Franco Bassanini, della segreteria pds

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