BOWLES un leone nel Sahara

Nell'epistolario vita e passioni del grande «eremita» Nell'epistolario vita e passioni del grande «eremita» BOWLES un leone nel Sahara F LONDRA U un assurdista prima di Ionesco, un esistenprima di zialista Sartre, un beatnik prima di Kerouac, un hippy prima del Flower Power, ma soprattutto si portò sempre dentro, ovunque, il deserto, il suo Sahara. Le lettere rivelano i calcinati paesaggi intimi di Paul Bowles, il grande eremita di Tangeri, più di quanto avrebbe potuto qualunque diario. «Bill Burroughs ha insistito per anni che io tenessi un giornale di bordo - confida lo scrittore -, Ma è come farsi le boccacce allo specchio». A cominciare da Gertrude Stein, l'improbabile Baedeker che nel 1931 diede a Bowles l'idea di andare a Tangeri, l'epistolario che esce a Londra da Harper Collins è una processione di destinatari famosi: dallo stesso Burroughs a Gore Vidal, da Tennessee Williams ad Alien Ginsberg, da Aaron Copland alla moglie Jane. Il talento di Paul per la parola scritta era già manifesto all'età di quattro anni: «Cara signorina Anna, grazie per la gru recita il suo primo esemplare infantile di corrispondenza -. L'ho usata per costruire delle lettere di metallo». Dalle lettere di metallo alle lettere d'inchiostro e quindi al pentagramma il passo fu precoce e a vent'anni Bowles era già nelle grazie di tutta l'intelligencija europea. Gertrude Stein, alla quale aveva scritto più volte per chiederle di collaborare alla rivista di un amico, accolse con una fragorosa risata quel ragazzino ossuto ed ellittico come il suo stile. «Dalle tue lettere, credevo che tu fossi un signore di 75 anni», gli disse facendolo accomodare in salotto. «Un vecchio signore altamente eccentrico», aggiunse Alice Toklas. Proprio una lettera gli tagliò socialmente le gambe a Parigi: Bowles carburò a champagne al termine di un pomeriggio concettoso con Ezra Pound e indirizzò una caterva di insulti al direttore della rivista marxista The Left, in cui definiva il periodico «un gesto alla moda, un ballo di beneficenza in onore di 15 milioni di subnormali». Quell'attacco, purtroppo per l'autore, fu pubblicato e gli fece terra bruciata intorno. Dopo il soggiorno berlinese in cui conobbe Spender e Isherwood, il mercuriale Paul andò a esplorare il Marocco in compagnia di Aaron Copland. Voleva ancora fare il compositore, tant'è che più tardi avrebbe scritto umilmente a un amico: «Non sono mica nato romanziere». Finite le vacanze, Copland tornò in America, ma Bowles restò e dal Nord Africa continuò a bombardare il suo protettore di lettere filiali, insolenti e talvolta querule. «Perché non mi scrivi mai e non mi dici che cosa potrei fare se rientrassi? Non puoi occuparti di me? Certamente nessun altro al di fuori di te lo farà mai». E ancora: «Quanto all'amore, spero di trovarne un po'. Finora è stato più che altro un comperare e un vendere. Divertente, comunque. Suppongo che l'amore sia una delle ricompense della vecchiaia, quando non ci si può più guardare allo specchio». E dal Massachusetts: «Tu esageri quando dici che il sesso è qui. Dove mai in questo Paese posso avere 35 o 40 persone la settimana, e non rischiare mai di doverle rive¬ dere? In Algeria, questa era la media. Pensi che ciò non sia quello che voglio? Lo è, invece». Infaticabile («Il sonno non fa bene. Cocteau è pazzo a difenderlo»), capace di improvvisi candori («Cara Gertrude, mia mamma mi chiede di te in ogni sua lettera e le ha fatto piacere di ricevere un biglietto da te riguardo alle ricette», scriveva alla Stein) e di pura malizia («La signorina Toklas - spettegolava con Copland - va dicendo a tutti che ha paura di me: quelle vacheì Sa benissimo, invece, che tutti hanno paura soprattutto di lei»), Bowles aveva scelto in cuor suo il deserto ben prima di sposare Jane Auer. Negli Anni Trenta lo magnificava così: «Il Sahara non è ciò che tutti si immaginano che sia. Sono le astrazioni incarnate del tardo Picasso o i paesaggi di Miro, insieme con Ernst? Il Sahara ha la sua dialettica, dura come artigli, e cinquanta volte più acuta e bella di qualunque altra cosa». Nel 1938, Bowles mise su casa con la saffica Jane. Restava convinto di una cosa: «Quanto sarebbe pericoloso amare le ragazze nel modo in cui uno ama i ragazzi: molti al giorno! Sarei già in prigione da qualche parte!». Fu l'inizio di un rapporto libero e stimolante con una donna fiera che faceva il suo stesso mestiere. «Lei non è capace di lavorare se anch'io non lavoro nella stanza accanto», avrebbe confidato lui, mai dogmatico in materia di sessualità: «Le nostre inclinazioni, che prendano una direzione o un'altra, non importa: l'importante è costruire una completezza interiore che dia validità all'esistenza». La coppia rientrò in America e comperò una casa a Staten Island, dove Léonard Bernstein piombava per il fine settimana. Ma il richiamo del Marocco fu irresistibile: nel 1947 Bowles ci tornò per scrivere II tè nel deserto e tanto gli bastò per decidere di non voler più cambiare base. La sua casa di Tangeri divenne meta di vagabondi illustri: Orson Welles, Truman Capote, Cecil Beaton. Tennessee Williams arrivava e ripartiva come un turbine nevrotico. Con lui Bowles, che gli aveva scritto la musica per Lo zoo di vetro, accarezzava il progetto di un'opera. «Tu potresti scrivere il libretto, io potrei comporre. Quindi non scegliere Bernstein», lo punzecchiava. Ma non riuscì a persuaderlo a restare in Marocco. «Tenn è partito per l'Italia, violentemente turbato dall'ambiente musulmano - raccontò Paul a un amico - e non è riuscito a svignarsela in fretta come avrebbe voluto. Era così nervoso, praticamente sempre isterico». 0 depresso: nei giorni che precedettero la prima di The milk train doesn't stop here anymore. Bowles dovette sorbirsi i suoi piagnistei creativi. «Diceva cose tipo: avrei dovuto sapere quando smettere di cercare di scrivere». Anche Bowles aveva avuto le sue crisi di noia letteraria, generate più che altro dalla magrezza dei compensi. «Sto cercando di scrivere un libro e lo trovo una barba - scriveva nel 1950 a Gore Vidal dall'India -. Farei qualunque cosa piuttosto che pensare a quei dannati personaggi, che sono automaticamente noiosi perché scrivo di loro. In realtà non ho interesse a scrivere libri se tutto ciò che riesco a ricavare dal mio best-seller sono 337 dollari e 50». Le cose si misero meglio con le traduzioni internazionali di II tè nel deserto. Per gli amici che sono sciamati nella sua vita lo scrittore ha sempre avuto un vero talento. La vita, sentenziava, «consiste nel tentativo sempre frustrato di stabilire un contatto». Come il contatto andato a quel paese quando Vidal, atteso a Ceylon, bidonò Bowles che rimase ad aspettarlo invano per giorni. «Hai perso la ne¬ ve, ma davvero?! Potevi almeno dirmelo», gli tirò le orecchie Paul, per impartirgli però subito il perdono: «Vuoi far saltare in aria Washington? Lo spero vivamente, ma dubito che lo farai». Verso la fine degli Anni Cinquanta Bowles acquistò in blocco l'amicizia dei poeti della beat generation. Alien Ginsberg era il suo favorito: «Ho fatto ascoltare a Tennessee la registrazione di Urlo - gli raccontava - ed è rimasto a bocca aperta, definendolo magnifico. Forse prima pensava che fosse aria fritta!». Da quell'epoca in poi le sue lettere sono dominate dalla malattia della moglie, che osservò tramutarsi in una povera invalida cui i manoscritti volavano fuori dalla finestra. Nel 1967, nei giorni della visita dei Rolling Stones - «Molto "rolling", nel senso che fanno rotolar via un sacco di denaro, e molto "stoned" (drogati, ndr)», commentò Bowles -, gli fu chiaro che Jane non si sarebbe più ripresa. Con lei, accecata e quasi fuori di senno dopo un ictus, lo scrittore era tenero e fraterno. La sua assistenza si estendeva fino ai consigli per la pulitura della parrucca («Compera uno smacchiatore, al gallone»). La sua morte, nel 1973, mise fine a «sedici anni di angoscia». Gli ultimi anni del vecchio leone Bowles, che continua a vivere a Tangeri senza telefono, hanno visto l'omaggio di Bernardo Bertolucci, che lo ha voluto incapsulare nelle riprese di II tè nel deserto. «L'estate è finita e l'autunno non è ancora arrivato, ma Bertolucci sì - scriveva a un amico nel settembre 1989 -. Con i due attori protagonisti (John Malkovich e Debra Winger, ndr) di cui non ho mai sentito parlare». Il Sahara sarà il suo testamento: quel luogo da cui l'umanità è respinta. «E' come se nelle stelle sul deserto fosse scritto: Dio odia l'uomo. E il roseo uomo è un topo». Maria Chiara Bonazzi Nell'epBnErnst? Il Sahartica, dura comquanta volte pqualunque altrNel 1938, Bocon la saffica Jvinto di una cobe pericoloso nel modo in cuzi: molti al giprigione da qul'inizio di un ramolante con unfaceva il suo stnon è capace dch'io non lavorcanto», avrebb Un'immagine di Lawrence d'Arabia. Nel disegno grande, Paul Bowles visto da Levine