Se Diego dribbla anche la Storia di Gian Paolo Ormezzano

Se Diego dribbla anche la Storia Se Diego dribbla anche la Storia MARADONA ci crede o ci marcia? Ieri è arrivato a Madrid da Cuba, dove aveva fatto fine anno con la famiglia e con zio Fidel, scalo all'aeroporto, recupero della suocera arrivata da Buenos Aires, tutti insieme - lei lui la moglie le figlie - a Parigi, subito Eurodisney per le due bimbe scortate dalla nonna, lui a riposare in un grande albergo, anche perché la sera era in programma il Crazy Horse. Dall'Avana alla Ville Lumière, da Castro alle «filles nues». Oggi probabilmente, ricevendo da «France Football» una sorta di Oscar, Diego annuncerà la sua prossima missione: la fondazione di un'Internazionale dei calciatori, lui presidente onorario, presidente effettivo Gullit. Il personaggio continua nei suoi gol, nei suoi dribbling, soprattutto nelle sue finte, anche se non può scendere in campo: la squalifica per il doping mondiale finirà in autunno. Castro è attualmente il suo supergarante, per andare da lui le al Crazy Horse) Diego ha persino aggirato - con il permesso, pare, di una giudicessa benevola - il divieto di lasciare l'Argentina, dove è pur sempre un condannato a quattro anni per fucilate ai giornalisti, oltre che un ex (speriamo, auguri) tossicodipendente impegnato nel recupero psicofisico. Castro ufficialmente ignora questi problemucci, a meno che li ritenga frutto di complotti contro il suo amico. Castro gli aveva già regalato un suo museale berretto guerriero verdeoliva, gliene ha dato un altro, ricevendo in cambio una maglia della Nazionale argentina: il lutto con dediche ottime ed abbondanti, da leader a leader, ed elogi reciproci. Uno scambio: fra navigatori o fra naufraghi? I filocubani giurassici o nuovi, i neo o veteroguevaristi - il Che era argentino, Maradona lo porta sul cuore e sulla maglietta da spiaggia - devono essere contenti o preoccupati? Il sodalizio fra il rivoluzionario e il vitello d'oro del pallone può risultare imbarazzante, anche se nasce da amicizia ed entusiasmo sinceri. Maradona dice che darebbe la vita per un uomo come Castro, a Cuba c'è chi dà la vita per scappare al castrismo. Pare comunque che non ci siano risvolti o piani politici in Diego, che all'alba del 1995 ha trovato un illustre compagno di amori: Pelè, persino neoministro brasiliano dello sport, ha detto che gli atleti del suo Paese devono ispirarsi al modello cubano. Cuba, grandissima nello sport e fierissima nelle sue sofferenze, forse non merita attenzioni e imitazioni di questo tipo: il suo sport è una cosa drammaticamente seria, per molti dei suoi figli è ormai una regola per sopravvivere, dopo tanti anni di gare e di vittorie per Fidel e per un'idea adesso laggiù siamo alle gare e alle vittorie per mangiare. Lo diciamo con rispetto profondo per la volontà, la bravura, i sacrifici e i successi di quella grandissima gente degli stadi. D'altronde, se per Pele si può pensare all'esigenza di frustare subito lo sport molle del suo Paese, dove il calcio è «bailado», dove i programmi atletici sono cantati e danzati più che eseguiti, per Maradona non si trova, anche scavando, una motivazione che non sia quella dell'entusiasmo e casomai di un anticonformismo duro e naif, adesso che persino a Cuba c'è chi scarica Castro. Vero che Maradona fa da sempre delle finte, ma la sua forza è che in esse crede sempre: così che spesso gli riescono. Gian Paolo Ormezzano

Persone citate: Castro, Gullit, Maradona, Pele, Pelè

Luoghi citati: Argentina, Avana, Buenos Aires, Cuba, Madrid, Parigi