Per ridurre il debito pubblico proposte serie e anche poco serie di Mario Salvatorelli

IL PUNTO I IL PUNTO Per ridurre il debito pubblico proposte serie e anche poco serie L '94, che si è aperto in piena . crisi di governo, con la campagna elettorale conclusa davanti alle urne il 27 marzo, e che si chiude con una nuova crisi di governo, non era certo l'anno idoneo per affrontale e avviare a risoluzione il problema numero imo del Paese, il debito pubblico. Eppure, è generale il riconoscimento che «è questo il risultato prioritario per qualsiasi forza politica, nell'interesse del Paese». ILo scrive, oggi, il lettore Marzio Catarzi, di Collegno (Torino) che così continua: «Su tutti i giornali, riviste ecc. si legge del fenomeno "evasione fiscale" che viene quantificata tra i 100 e i 200 mila miliardi ogni anno. Considerando che lo Stato potrebbe rivalersi per i 5 anni passati, si ottiene un importo da capogiro che potrebbe avviare la svolta necessaria per risanare il debito pubblico. Eppure, non ho mai letto una proposta seria e affidabile per ottenere veramente questo risultato. Alcuni paesi della valle di Susa (ultimo in ordine di tempo Rivoli) hanno fatto (o è in corso) un censimento a tappeto dei propri concittadini ai fini tributari. Una simile iniziativa, fatta bene ed estesa a tutti gli oltre ottomila Comuni italiani, incrociata con la banca-dati del ministero delle Finanze, dovrebbe far emergere una grossa fetta degli evasori. In attesa d'una vera riforma fiscale, qual è quella annunciata dal Libro bianco del ministro Tremonti, che spero porterà maggior chiarezza e maggiore scrupolosità nell'attuale giungla di leggi e disposizioni, quanto sopra porterebbe grossi benefici in termini di entrate, di equità fiscale e di pace sociale, con maggiori possibilità d'investimenti e quindi di occupazione». 2Prima di rispondere a questo lettore, vorrei sentire, sull'argomento «debito pubblico», la proposta del signor O. G., di Aosta, che scrive: «Dicono che abbiamo 2 milioni di miliardi di debito. A me pare già una bella cosa perché significa che almeno abbiamo qualcosa! Ma, a parte le battute, lei ricorderà la fine che hanno fatto le monete da 500 lire "colorate d'argento" che erano state messe in circolazione parecchi anni fa. Se ora al governo venisse in mente di mettere in circolazione un milione di miliardi di quelle monete, cosa succederebbe alla nostra economia?». Considero questa lettera-proposta, come ritengo la consideri anche il suo autore, più che altro una provocazione. E' sufficiente riflettere sul fatto che la nostra circolazione (più esattamente, il nostro circolante) di banconote a fine '93 era pari in valore a meno di 94 mila miliardi di lire (di quella monetaria non è neppure il caso di parlare), per rispondere alla domanda. Succederebbe un'inflazione al cui confronto quella sudamericana (al tasso del 100 per cento di aumento del costo della vita in un anno) apparirebbe uno scherzo. Un'iniezione di un milione di miliardi, come quella che auspica (si fa per dire), il lettore di Aosta equivarrebbe, per le conseguenze sull'economia, a un'alluvione, questa volta non regionale, ma nazionale. 3Più seria, ovviamente, è l'iniziativa dei Comuni della Val di Susa, la quale, tra l'altro, andrebbe in un senso opposto a quella del lettore della Val d'Aosta, perché si risolverebbe, se desse i risultati sperati, cioè, di ridurre l'evasione fiscale, anche in un rastrellamento, anziché in un'esplosione, di liquidità. E' anche vero, però, che con l'attuale, eccessiva e, spesso, insensata auto-limitazione dei con sumi, le maggiori entrate dello Stato corrisponderebbero a una minore disponibilità di denaro per i consumatori. Ma, a parte che, se il vento dell'austerità che tira nelle famiglie non cambia direzione, niente e nessuno le indurrà a spendere, quindi, i benefici che da queste iniziative si attende il nostro lettore di Collegno non ci sarebbero. Perché aveva pienamente ragione l'esperto in pubblicità Gavino Sanna nella sua lettera al nostro direttore, pubblicata giovedì su «La Stampa», quando scrive che «il nostro sistema economico si regge — piaccia o no — sui consumi e sul loro flusso». Ma è un rischio che vai la pena di correre: sia perché l'equità fiscale è un risultato che farebbe passare in seconda linea tanti altri problemi, sia perchè meno denaro finisce nei titoli pubblici, più se ne libera per gl'investimenti. 4Ci sarebbe un'altra via per ridurre questo rastrellamento di denaro causato dalla necessità di destinare risorse finanziarie per collocare i titoli del debito pubblico. E' quella che ricordava venerdì scorso su «Il Sole-24 Ore» l'economista Luigi Cappugi: «ia vendita di parte del patrimonio pubblico. Tra l'altro, questo provvedimento, scrive il Cappugi, dimostrerebbe ai sempre più numerosi sostenitori degli interventi di finanza straordinaria sul debito pubblico, che si può ancora risolvere il problema del debito se gli interessi collettivi vengono correttamente individuati e privilegiati». A questo proposito, come talvolta mi è capitato di ricordare ai risparmia tori, lo Stato ha un patrimonio immobiliare, case e terreni, che già alcuni anni fa era valutabile in oltre 2 milioni di miliardi di lire e che, nella sua quasi totalità, è male amministrato. Ma, secondo gli arcaici principi dei proprietari terrieri d'un tempo, è meglio far debiti che cedere la terra. Ai lettori il giudizio su questi stravolgimenti del, pur sacrosanto, diritto di proprietà. Mario Salvatorelli elli |

Persone citate: Cappugi, Gavino Sanna, Luigi Cappugi, Tremonti

Luoghi citati: Aosta, Collegno, Rivoli, Torino, Val D'aosta