LECCORNIE DEL PIEMONTE Le specialità regionali per i regali di natale

GASTRONOMIA GASTRONOMIA LECCORNIE DEL PIEMONTE Le specialità regionali per i regali di Natale riportiamo la ricetta. Perché non parlare anche di farina? Quella di mais da usare per la polenta? Allora è opportuno fare un salto a Cossano Belbo (Cuneo) da Felice Marino, uno degli ultimi mugniai che aiutato dai figli Ferdinando e Flavio passa ancora frumento e granoturco alla pietra. Il prodotto da macina è coltivato in loco con tecniche biologiche / // cesto di Niil'ale colmo delle Specialità più rare della ausi mi tamia piemontese (tel. 0141/88.129). Sulle carni (bollito e arrosti) passiamo la palla a Torino, al magistrale Pino Curletti di corso Moncalieri che «sa» non soltanto di filetti e lombate. Consigliamo piuttosto un assaggio di salse e condimenti inusuali che esaltano carni bollite o contorni: «bagnet» rossi o verde, a parte, eccoci ad ascoltare la ricetta dell'aceto di mie¬ le (proprio così, di miele) che da qualche mese Dina Brezzo dell'omonima apicultura in frazione Tre Rivi di Monteu Roero (tel. 0173/90109) va sperimentando sulla scorta di antichissima ricetta. Miele con acqua e fermenti opportunamente e pazientemente lavorati danno un aceto di sottile aroma, pochissimo acido (5 per cento), ottimo per condire insalate. Ancora a Monteu Roero c'è Velerio Tabemà, principe delle salse (vedere sotto). E il dessert? Lo fornisce il laboratorio artigianale della famiglia De Bastiani: Ezio con i genitori Elio e Bruna, di Farigliano, frazione Mellea, 15 (tel. 0173/76465). Cosa offre? Squisita torta di nocciole (nocciole, uova, zucchero e niente farina). E paste di meliga, «zolle» che ricordano i nocciolini. Aggiungiamo anche una stecca di torrone «Relanghe» fatto da Cerotto di cui vale la pena scriverne a parte. Infine una grappa e a questo punto e d'obbligo interpellare la famiglia Rovero, di S. Marzanotto d'Asti (tel. 0141/34.916): dieci persone tra genitori, figli, figlia, nuore e cognato coltivatori di viti, produttori apprezzati di barbera, con il pallino dei buoni cibi da gustare a «Il Milin», agrituristico ritrovo di intenditori. E produttori di raffinatissime grappe (ottenute da vinacce distillate a bagnomaria) di cui una dozzina di monovitigno (barbera, grignolino, arneis, ecc..) nelle gamme secche e morbide. Le stravecchie assumono aromi dopo anni di riposo in botticelle di rovere: sono in vendita ora la grappa di nebiolo distillata nell'87 e quella di vinacce miste uscita dagli alambicchi nel 1988. Pier Paolo Benedetto LE BARICE «Barice» sono le acciughe. Così denominate in dialetto per lo strabismo del pesciolino il cui consumo è antico come l'uomo. Tecniche secolari di conservazione ne assicurano la commestibilità e il gradimento. Bene: le «barice» di Torino sono la sinfonia dell'acciuga e il loro Mozart si chiama Oreste Dezzani. Sta dentro alcune stanze a lavorare acciughe in quel di Pancalieri, capitale di erbe officinali e di menta distillata. L'amico Oreste lavora e disserta di cibi, di tome, di politiche che mortificano il lavoro artigianale, di rabbie che poi si smorzano davanti a un buon piatto di cucina locale. Non è personaggio ma protagonista di un genere alimentare che va scomparendo: dopo lui, il deserto. Teniamo dunque strette le «barice». Dezzani le confeziona in barattoli di vetro, produce le salse. Forse esagera quando dice di aver scoperto la ricetta nell'ansa di una scrivania ottocentesca di famiglia. E chi se ne importa! Conta che lui ci sia, padre ottimo di tutte le «barice». Gustatele in olio aromatico impreziosito di gherigli di noce, nocciole, pinoli e segreti pizzichi di essenze; in salsa rossa, che ha sfumature indecifrabili. Le trovate in rari negozi di Torino, a noi le ha segnalate «El formagé» di via Garibaldi. Da Oreste Dezzani, «Nordal», Pancalieri via S. Nicolao, 11 (tel. 011/973.42.82). I PLIN «Plin» in dialetto nostrano è il pizzicotto. Non aspro da tendere i muscoli, ma tenero, un ammicco al tocco. Ben si adatta alla strizzatina di dita necessaria per chiudere la pasta sottile attorno al minuto impasto di un agnolottino non più grande dell'unghia. Il «plin» dev'essere minuto e saporito. Cotto in pochi minuti si serve asciutto con sugo di carni varie. Oppure passato al burro e salvia e inorgoglito da una grattugiata di tartufo (bianco, per favore, bianco). La ricetta è delle tre donne che gestiscono il laboratorio artigianale di pasta fresca a Sommariva Bosco, le due sorelle Bergese e la cognata Maria Pia di braccia solide e di pronta intuizione. Da dieci anni deliziano le tavole dei buongustai. Parlatemi dei «plin». Reticenza più che giustificata. Alla fine la ricetta si palesa (intanto chi riuscirà, in proprio, a ripeterla con uguale perizia?). Il segreto sta nell'impasto: che comprende tritato fine di arrosto di maiale e manzo. Con aggiunta di riso cotto nel sugo di arrosto, integrato da piccole quantità di boraggine e cavolo cotto a parte, poi di formaggio parmigiano e uova; tutto condito da un filo di noce moscata. A fare del «plin» una cosa a sé concorre la sfoglia che dev'essere sottile e sapida, un velo appena. Da «La genuina», via V. Emanuele, 2 Sommariva Bosco (tel. 0172/54.008).