QUEI FRATELLI DE REGE PIEGARONO IN DUE L'ITALIA di Oreste Del Buono

Amici Maestri Amici Maestri QUEI FRATELLI DE REGE PIEGARONO IN DUE L'ITALIA La coppia delVavanspettacolo che ci faceva morir dal ridere AL funerale, dall'autobus che portava i parenti al cimitero io guardavo giù e vedevo tutti quei volti di quegli attori, di quei giocolieri, di quei saltatori, di quei comici dell'Avanspettacolo» racconta Carlo Dapporto ne ti maliardo (Rusconi, 1977). «In mezzo, c'era Gino Franzi, il grande diseur, commosso, con un'espressione che non dimenticherò. E intorno tutti quei volti duri, tesi a guardare il loro amico al quale era morto il fratello. La coppia era spezzata. Non riuscii a frenare le lacrime. Arrivammo al cimitero. Mentre il povero Guido veniva sepolto dalle palate di terra dei becchini, Ciccio e io gettavamo fiori sulla bara che andava scomparendo. Poi ce n'andammo, per ritornare in centro. E allora, giuro, sembrerà un paradosso, ci mettemmo a raccontare barzellette, a scambiarci battute. Era forse una reazione al grande dolore. Io facevo della filosofia spicciola, dicevo a Ciccio: "Cosa vuoi, siamo di passaggio. Tuo fratello non ha fatto che precederti. Aveva una malattia da cui si guarisce solo morendo..."». La coppia che si era spezzata era quella dei Fratelli De Rege Guido e Giorgio (o, meglio, Bebé e Ciccio). Alla ribalta era arrivato prima Guido che, del resto, era anche nato prima, nel 1891 a Caserta e era riuscito a imporsi nella rivista, come ricorda ne «Il dramma» numero 65, del 1948 Guido di Napoli che, per l'esattezza, non si chiamava affatto così, ma Giulio Trevisani, che preferiva usare un nome d'arte, essendo, oltre che avvocato, scrittore di copioni di riviste, un antifascista militante. Nel periodo fascista l'avvocato Giulio Trevisani dirigeva la società Sesim che era a capo di un'agenzia con tanti scaffali pieni di sketch di tutti gli autori italiani. Se un autore italiano scriveva uno sketch lo portava all'avvocato Giulio Trevisani che lo catalogava e lo archiviava. Una riserva enorme di esche e velleità di riso. C'erano tante compagnie di avanspettacolo in giro allora e, quando volevano metter su uno spettacolino, ricorrevano immancabilmente alla Sesim. Sceglievano gli sketch che potessero andar meglio per il loro comico. Alla Sesim c'erano sketch per comici napoletani, sketch per comici bolognesi, per comici di tutte le regioni e dialetti e così via. L'avvocato Giulio Trevisani faceva il proprio lavoro con divertimento pari alla competenza. Appena riceveva gli sketch, decideva quale andasse bene per il tale o per il talaltro comico. E così era anche in grado di capire esattamente quanto contasse o non contasse un attore. Piazzava, quindi, sketch e interpreti. «Guido lo conobbi ch'era un genericuccio della Compagnia Testa, magrino e striminzito, con una moglie, una madre, un grosso cane (Piti) e un pistolone forse scarico ma che, in ogni modo, mai conobbe colpo; nel genericuccio c'era un comico di prim'ordine e dal "Teatro della Girandola" alla "Poker d'Assi" Guido salì nelle riviste, agli onori della vedetta...». Giorgio, nato pure lui a Caserta ma nel 1899, arrivò dopo un poco. «Faceva l'autista, lo conobbi più tardi; a Genova lo chiamavano "Cicerin" perché era stato, appunto, autista del ministro sovietico. Il fratello volle che lo scritturassi come attrezzista», continua con la sua dolce affabilità Giulio Trevisani. «Un attrezzista, si sa, è obbligato talvolta a dei "passaggi" in palcoscenico. Da quei "passaggi" nacque un altro comico. Guido disse, anzi, poco dopo, che il comico non era lui, ma Giorgio: e che di Giorgio lui doveva essere la "spalla". E creò il "numero". Il numero di due fratelli bassini e col cappello a bombetta che litigavano in scena e si adoravano fuori scena. E mai due fratelli al mondo si adorarono tanto. Buoni e miti: non li ho mai sentiti reclamare per un "camerino"; per "uscire" prima o dopo; non li ho mai visti alle prove con cinque minuti di ritardo...». Giulio Trevisani ci commuove con dettagli di un'amicizia fraterna che supera ogni limite; il fratello maggiore, più conosciuto e smaliziato, ruolo che impone al fratello minore, attrezzista con qualche passaggio riuscito, la promozione a «comico» e il fratello minore, che solennemente accetta la promozione a «comico» e la collaborazione del fratello maggiore come «spalla». Un gioco straordinario, sempre sull'onda del rischio. Dipendendo assolutamente dagli umori del pubblico, e gli umori del pubblico essendo sempre variabili. Tra le cianfrusaglie che ospito nella confusione della mia mente, ci sono due immagini diverse di spettacoli dei Fratelli De Rege. Uno traboccante di gioia all'appio di Roma, in cui la gente aveva cominciato a ridere addirittura prima che loro due aprissero la bocca per l'immancabile, feroce duetto: Bebé che si dannava davanti all'idiozia di Ciccio sino a perder scaglie dalla faccia consumata, consumandola ancora, quasi a sparire e Ciccio che ponzava sotto la raffica delle domande, degli insulti, delle intimidazioni covando l'esplosione del non senso. A un certo punto la gente rideva tanto che Bebé aveva toccato Ciccio indicandogli l'uscita come se temesse che l'esplosione potesse essere troppo forte. «Noi ce ne andiamo via». «Se si è sottolineata la bravura circense di Ciccio De Rege comico splendido marno dal naso di cartone», scrive Bernardino Zapponi nel saggio «Vieni avanti, cretino» pubblicato in Sentimental, il teatro di rivista italiano, a cura di Rita Cirio e Pietro Favari (Almanacco Bompiani, 1975), «pochi hanno rilevato i meriti eccezionali del fratello spalla, Bebé, che era sempre tuffato nella parte e si arrabbiava davvero, si rodeva il fegato perché ima spalla più si adira e più fa ridere. Meraviglioso e assurdo il matrimonio comico-spalla; simile a quello dell'Augusto e il Clown Bianco nel circo. Non c'è una ragione al mondo perché quei due temperamenti debbano convivere dato che il loro «Qul'ina Ifralelli De. Rege: Bebé e Ciccio ménage è solo fonte di liti, ma questa è la più elementare delle leggi della comicità: la contrapposizione estrema. Il furbo e il trasognato, Sancio Panza e Don Chisciotte: i due hanno anche una misteriosa rassomiglianza; un irragionevole amore li unisce...». La seconda immagine, invece, è trasudante di malumore al Plinius di Milano. Si sarebbe detta addirittura un agguato, la riunione di tutti quelli che non capivano o non volevano capire. Ogni tanto qua o là si sollevava un denigratore, invocando brutalmente l'immediata cessazione dello spettacolo e lo sgombero del locale, la proiezione del film. I fratelli De Rege insistevano, stupiti, offesi dall'inaspettata rivolta. Ma non potevano continuare e, allora, di colpo la spalla Bebé smise di rimproverare il comico Ciccio, fraternamente gli circondò le spalle, spin- «Quella volta al Plinius di Milano: l'inaspettata rivolta del pubblico...» gendolo verso il fondo. Il clamore aumentò, la soddisfazione della massa dei vigliacchi che riesce a sopraffare i più deboli. «Noi andiamo via», disse quietamente Bebé. Anche nelle circostanze più avverse l'amore fraterno non perdeva colpi. «L'uno, quello che strillava, che rimproverava, che si disperava per l'idiozia dell'altro, del quale, chissà perché, era come il tutore, sparì una sera poco prima della Liberazione, IfDBe ege Sopra: Carlo Dapporto, «spalla» di Ciccio De Rege diavura mico arto nel pubo di Cirio omato i palnelo, si palla ravi co'Auirco. ondo deb loro dscpMILl ano: o...» col pretesto d'una polmonite, e fece "vuoto di scena". L'altro, l'idiota dal naso enonne e dai baffi spioventi (quello che restava impassibile sotto l'uragano dei rimproveri e delle minacce, sinché, incalzato e fustigato dagli interrogativi spietati, non scaricava la risposta scema e paradossale a cui rispondeva l'esplosione di riso) si avanzò solo, alla ribalta quella sera senza accorgersi del "vuoto di scena" del compagno; e, quando se ne accorse, rientrò nelle quinte, a testa bassa come un bue mite. Ritornò poi in scena con un altro, un estraneo, che tentò di fargli il vocione; poi con un altro, poi con un altro ancora, ma nessuna voce lo dominava più, la citazione è sempre da Giulio Trevisani. «Il suo primo tutore e padrone con cappello a bombetta e bastoncino di bambù lo aggrediva, un tempo, ogni sera, con tanti perché... - Perché questo? - Perché quello Perché quell'altro? - E lui, dopo una lunga pausa, in cui trepidava l'ansia ilare della folla, col testone immobile e le braccia spalancate, rispondeva lentamente: «Non si sa». Ed ora egli avrebbe voluto che, una sera, il nuovo tutore e padrone gli domandasse: perché l'altro è sparito? Egli avrebbe voluto poter rispondere, dopo una lunga pausa, lentamente: "Non si sa"...». L'agonia al terzo piano di una pensione di piazza Duomo della spalla dei De Rege, Bebé, il più vecchio, quello che aveva investito del ruolo di comico l'altro, era stata straziante. Preferisco rifarmi ancora alla testimonianza di Carlo Dapporto: molto vicino a Ciccio, il più giovane, per così dire. «Ricordo che andavo su in camera a trovare i De Rege e vedevo il malato seduto sul letto di morte gli ultimi giorni, e l'altro lì, con le sue smorfie, cercava di farlo ridere. E poi morì... Ricordo che il prete ritardava a venire a benedire la salma e, malgrado la triste circostanza, Ciccio mi sussurrò: "Sono come le soubrettes. Si fanno aspettare anche loro"... Era il dramma di due comici. Dopo, Ciccio De Rege non si dava pace, non osava più andare in scena. Molti gli avevano fatto la proposta di tornare in palcoscenico. Ma non osava. Era così gentile, così modesto, così buono (quando nacque mio figlio Massimo, disegnò ima vignetta come sapeva disegnarle lui, con un'automobile Augusta - mia moglie si chiama Augusta - il cofano aperto e il pediatra che tirava fuori il I bambino dal motore). Rimase solo. Lo invitai a casa mia L e gli dissi: Senti, ti faccio da l^L spalla io, ma tu devi tornare davanti al pubblico. Un impresario organizzò lo spettacolo: Ba-bibò, in uno dei soliti teatri della periferia milanese, l'Ars. De Rege accettò. Io avevo finito la stagione con Wanda Osiris al Lirico e il pubblico vedeva scritto sui giornali "De Rege-Dapporto", e la gente che andava al Lirico venne in questo teatro di periferia; c'erano file di macchine. Così debuttai come spalla di De Rege. Io facevo un direttore di teatro, c lui era un pianista che non aveva mai dato un concerto, gli parlavo e lui: "sc-sc-sc-sc..." non so era tutta una risata. Mi sono difeso ridendo. La mia prosa non avrebbe fatto ridere vicino a lui, era assurdo che io tentassi di far ridere. Era bravo, fatto di nulla, ti guardava e ridevi; aveva un naso di cartone legato con lo spago. Era irresistibile! Facemmo per una settimana Ba-bi-bò. Io non credo di essere stato pagato, non avevamo nessun contratto. Comunque ridiedi al caro Ciccio il coraggio del teatro. E De Rege ricominciò a girare. Dopo un anno, al "Reposi" di Torino, morì. Morì di crepacuore, di solitudine, di un dolore intimo suo, va un po' a sapere di cosa è morto...». La storia dei Fratelli De Rege è leggendaria e non può essere messa a confronto con quella di altre coppie celebri del teatro minore italiano. Neppure con la coppia famosa, a esempio, costituita da Billi e Riva ' che ebbe una grande popolarità per il ritmo ineguagliabile su cui il brillante cronista di varietà Mario Casalbore annotava allora: «Il segreto è presto svelato: Billi e Riva sono bravi e sono... in due. L'osservazione vi parrà lapalissiana, ma in sostanza è l'unica che possa condurre alla verità. Sono in due ovvero non esiste un comico e una spalla. Esistono due comici e due spalle. Razione doppia, rispetto alle altre riviste perché il comico è sempre e soltanto uno e son guai se l'attore che gli fa da spalla si permette di rubargli qualche effetto. La "spalla" nello spettacolo teatrale ha la stessa funzione che in artiglieria ha il "servente al pezzo". Deve provvedere alle munizioni per il cannone. E basta. Sono rarissimi i casi in cui il servente riesce a... sparare per suo conto. Solo Totò concedeva via libera spesso a Mario Castellani, eccellente attor comico. Ma Totò ha una tale nozione del proprio effettivo valore che può ben permettersi di indulgere. La comicità di Billi è querula; la comicità di Riva è aggressiva. Si completano. Billi prepara la battuta a Riva, ma mentre Riva lancia la boutade già si affretta a preparare la risata che sgorgherà da una battuta di Billi. I due comici romani si rendono conto perfettamente che è proprio dall'alternativa degli eifetti comici che nasce la loro forza. Il ritmo è calzante e Billi non ha finito di tratteggiare una situazione divertente che già Riva si sovrappone con un altro tema. E viceversa...». Ritmo ossessivo, di una macchina perfetta, ma assenza totale di sentimento. Forse l'unica coppia con cui è possibile per i Fratelli De Rege tentare un avvicinamento è quella costituita da Walter Chiari e da Carlo Campanini proprio a imitazione e perpetuazione di Bebé e Ciccio. E non tanto per le cose copiate pedissequamente quanto per il rapporto umano stabilitosi tra i due attori. Di Walter Chiari scriveva allora Morando Morandini, critico di varietà giovane ma non per questo disposto a complicità come Mario Casalbore amico di tutti i teatranti. Morando Morandini, al contrario, era severissimo: «E' indubbio che, nella cronaca del teatro di rivista di questo dopoguerra, Walter Chiari abbia una sua posizione particolare e importante... I suoi vizi erano di eccesso e si parlò di esuberanza giovanile: "E' questione di temperamento", si diceva, "maturerà". Sono passati gli anni non tanti, ma sono passati - e Walter Chiari non è maturato: è simpatico (fin troppo, e lo sa e se ne compiace), brillante ma - mestiere teatrale a parte - da allora non ha fatto un passo avanti...». Lo stesso Morando Morandini, però, di Carlo Campamni scriveva: «C'è Campanini che si fa più bravo di anno in anno: una "spalla" di eccezione. E' un attore più che un comico: un attore completo, ricco di sfumature, fa senza strafare, è estroso senza darsi l'aria. E sa persino cantare. E' della vecchia guardia...». Messi insieme, Chiari e Campanini, hanno contato il doppio, probabilmente più per merito di Campanini che davanti all'immaturità pari alla bravura del suo compagno si riconfermava di un candore quasi scandaloso, e realizzando con Chiari un'intimità compensatrice, un antagonismo, se non fraterno, paterno. Oreste del Buono

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