MA BOGIE NON AMAVA INGRID Il dopo Casablanca di Bruzzone
MA BOGIE NON AMAVA INGRID MA BOGIE NON AMAVA INGRID Il dopo Casablanca diBruzzone NATALINO Bruzzone fin dalla prima poppata ha respirato l'aria d'Albenga come se fosse profumo di paradiso. Quarantaquattro anni di mare, orti e pace. Un amore viscerale che gli ha impedito anche il più innocente dei tradimenti: una patente che potesse in qualche modo portarlo lontano. Ansioso, cocciuto, scapolo appiedato e pendolare: l'unico capriccio che si concede è Genova, il Secolo XIX. Critico cinematografico e letterario. Andata, treno alle 10,20 (cambio a Principe per Brignole), ritorno: rapido delle 21. Puntuale come le tasse: «In 20 anni ne ho persi solo cinque». Due padri putativi: Alfred Hitchcock e John Le Carré. E una strana ossessione: prendere storie note e inventare a personaggi celebri un passato e un futuro che non esiste. Ha cominciato con Harvey Lee Oswald ne II quarto sparo e ha proseguito con Ciablanca (Liber, pp. 153, L. 26.000) costruendo una prosecuzione fantastica del film destinata finalmente a liberarci da un incubo: ma a Bogart si è davvero spezzato il cuore all'aeroporto di Casablanca? La risposta è no. La realtà è che il cuore di Rick ha sempre battuto per Mitzi-primo amore. E che la Bergman è stata un irripetibile momento di follia. Quando infatti i due - nella seconda puntata bruzzoniana - si rincontreranno a Washington, troveremo un'Usa, perennemente e noiosamente sposata a Laszlo ancora disponibile. Ma non Rick che, tornato a dirigire la banca avita (altro filone imprevedibile), si destreggia con vigore negli infidi meandri di una Cia in fasce che il sordido J. Edgard Hoover, in un coktail di cinismo e pederastia, cerca di soffocare fin dal primo vagito. Il tutto, come annunciava la stentorea voce del bianco e nero, «in un vortice incredibile di odio, amore e passione». Natalino Bruzzone, scrittore Ira cinema e. spionaggio Un nuovo filone. «Ne ho abbastanza di legai e psico trhiller. E' necessario inventare qualcosa. Questa è l'idea: perché non giocare con il melo thriller?». Washington è perfetta: ma il pedone Bruzzone non l'ha mai passeggiata. «Già. L'aereo mi terrorizza. E il mal di mare anche. Non andrò mai in America. Ma questo non mi impedisce di conoscerla alla perfezione. Libri e film: per uno ossessionato come me è facile. Ho letto tutto quello che c'era da leggere e visto tutto quello che c'era da vedere. Truman, Agleton, Dulles, Hoover, Wiesenthal: so tutto di loro, della Guerra Fredda e degli ebrei. Il trucco è di usare personaggi veri che fanno cose vere e possibilmente sconosciute ai più e di mescolarli agli eroi finti di «Casablanca» e di fornire loro una vita virtuale talmente finta da sembrare vera». Ha parlato di ossessioni. «Non sono altro che le cose che amo. Sono pigro e non ho né il coraggio né la forza per vivere avventure come quelle degli altri. Lo spionaggio è la metafora del mondo e io guardo dalla finestra. Non per curiosità: non aprirei mai una lettera di un altro. Ma per sapere. Non vivo in un Blob e non vivo la realtà come una finzione. Faccio un esempio: di ossessione ne ho un'altra: la Juve. Non c'è un oceano tra Albenga e Torino, però non la seguo mai. Mi basta leggerla, conoscere gli anfratti della sua vicenda, la partita è forse la cosa meno importante: è il fatto che si ripete, ma la morale viene solo dalla sua storia». E Bruzzone lo scapolo? «Amo le donne, ma non ho ancora incontrato Mitzi». Rimpianti? «Le rispondo come un duro chandleriano: nessuno, amico, troppo lusso per uno come me». Piero Soria C. PARIGI W EST tout» (P.O.L. */ editore). E' tutto. Marguerite Duras dice basta così mettendo a nudo la paura e lo strazio di vedersi morire. «Credo che sia giunto il termine. Che con la vita ho chiuso. Non sono più nulla. Sono diventata assolutamente spaventosa... Non ho più la bocca, né il volto»: sono le ultime parole che chiudono, il 1° agosto, una sorta di diario iniziato il 20 novembre 1994. Lo apre un dialogo con Yann-Andréa Steiner, il compagno da più di vent'anni che ha pressappoco l'età di suo figlio, il quale comincia a chiedere come per un libro-intervista: «Che direbbe di se stessa?... Ha paura della morte?... Come si definirebbe?...». Le risposte arrivano laconiche, amare: «Sono vuota... senza identità... Non so rispondere... non so che scrivere... farò un libro. Vorrei, ma non è sicuro che lo scriva». La conversazione lentamente si spegne per cedere a una sorta di lamento, o di «passione» musicale affidata ad appunti e biglietti, sussurri e grida scanditi dagli spazi bianchi della pagina e dall'indicazione Silenzio, e poi: «... Non ho più fiato. Debbo smettere di parlare... Vorrei continuare a divagare come mi
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