Tre colpi per il padrino di Cesare Martinetti

Il libro di Cesare Martinetti sulla nuova mafia russa e la sua irresistibile scalata al potere Il libro di Cesare Martinetti sulla nuova mafia russa e la sua irresistibile scalata al potere Tre colpi per il padrino A Mosca la morte arriva come un soffio w IA morte è arrivata come un 1 soffio. Ffffssst. Otari aveva 1 un gomito appoggiato alla I I porta aperta della sua jgj Bmw. Il motore era acceso. «Cos'è?». Tenendosi con la mano sinistra s'è chinato all'indietro. «La marmitta?». E la sua testa sembrava rovesciarsi innaturalmente. «Una gomma?». A fatica, Otari s'è rialzato, s'è guardato la spalla. «No, è qualcosa a me come se mi avesse punto». Oganessian ha sgranato gli occhi; poi s'è voltato verso Arnold, che non capiva, ha cercato il viso di Andrej Slushaev, campione di catch, che stava due metri più in là. Ffffsssst. E di nuovo. Ffffsssst. Otari è caduto all'indietro. In quel momento una Moskvich bianca è scivolata via sull'altro lato della strada, senza che nessuno abbia potuto vedere chi c'era a bordo. Arnold l'ha preso tra le braccia: «L'hanno colpito». (...) Otari Vitalievich Kvantrishvili era il padrino di Mosca. L'hanno ammazzato il 5 aprile 1994 sul marciapiede di fronte ai bagni Krasnopresnenskie. Gli hanno sparato con una carabina di precisione, puntata dall'abbaino sul tetto del palazzo di fronte. Tre colpi. Tutti a segno: alla spalla, alla nuca, sul collo. Il suo faccione, con il naso storto e l'espressione triste, è rimasto intatto. Aveva quarantasei anni. Pochi per essere un vecchio, troppi per essere un uomo nuovo. Era stato in galera una sola volta, trentanni prima. L'avevano accusato di «stupro di gruppo». Se l'era cavata fingendosi pazzo. Aveva già abbastanza pelo sullo stomaco da riuscire a comprarsi una perizia medica con la diagnosi di schizo- frenia. Era finito in ospedale psichiatrico. S'era risparmiato il carcere, scuola di vita e di iniziazione della vecchia mafia sovietica. Ma aveva provato il manicomio, molto peggio della galera - diceva perché là «esistono delle regole. Tra i matti, no. Per sopravvivere non devi ribellarti mai, sorridere, far finta di non capire, stare zitto». Otari era nato in Georgia, a Zestafoni, ma fin da bambino aveva vissuto a Mosca. Il padre, Vitalij, era ferroviere, macchinista di treni. Durante la guerra aveva guidato i convogli sul fronte, aveva rischiato la vita, s'era guadagnato delle medaglie. «Guarda un po' - diceva Otari -, avevo un nonno menscevico, un padre bolscevico e io sono un senza partito». Del nonno raccontava spesso che era fratellastro di Sergò Orzhonikidze, commissario del popolo per l'industria pesante, amico di Stalin, e che negli anni delle repressioni, quando già sentiva sul collo l'alito dell'Nkvd, era stato proprio lui a salvarlo dalla fucilazione. Era cresciuto nel rione Krasnaja Presnja, quello che finisce sulle rive della Moscova, dove adesso c'è la Casa Bianca. Nel suo territorio c'era il cinùtero Vagan'kovskoe, il primo di Mosca dopo l'esclusivissimo Novodievicij, la sauna, l'ippodromo sulla uliza Begovaja, l'ospedale Botkin, il caffè-ristorante Krustahiij, all'inizio del Kutuzovskij prospekt. Allora non c'era quella che poi avremmo chiamato «mafia». Il massimo del brivido di illegalità era dato dall'incontro con gli spekulantes, quelli che osavano con il mercato nero. A suo modo circolava per il mondo di ombre del quartiere un'elite, anche intellettuale: i pugili si mescolavano agli scienziati. (...) La contagiosa atmosfera del post-stalinismo e degli Anni Sessanta soffiava sulla Krasnaja Presnja e il giovane Otari, naso grosso e cervello fino, era pronto a raccoglierla. Faceva il lottatore alla Dinamo, la società sportiva della Milizia, giocava a carte, scommetteva e raccoglieva scommesse all'ippodromo, si cimentava nelle prime esplorazioni del business sommerso. Aveva l'orza e talento. Nella kit ta non e mai stato un campione, ina nelle palestre del Leningradskij prospekt aveva carisma come nessun altro. Presto, piti che lottatore è diventato allenatore, un titolo che ha portato orgogliosamente l'ino all'ultimo sul suo cartoncino da visita: «Otari Kvantrishvili, allenatore di merito della Russia». Allenare significava coniugare le sue due grandi passioni: lo sport e l'organizzazione, la cultura fisica e la gestione degli umani. Alla Dinamo aveva allacciato legami con la Milizia, che sarebbero rimasti sempre saldi. Quando negli Anni Settanta dirigeva ormai diverse palestre sparse per Mosca e dintorni, è capitato piu di una volta die i suoi ragazzi abbiano reso servizi ai miliziani compiendo azioni che non sarebbero state possibili alla polizia. Quando ancora era proibito ave va creato a Ljubertsj, sobborgoghetto della capitale, una rete clandestina di palestre, insegnava pugilato, sollevamento pesi e arti marziali. Ma i suoi ragazzi, i Ijuberj, non erano solo culturisti. Con i pantaloni a quadretti che portavano come una divisa, quasi ogni sera sbarcavano alla stazione Kazanskij e puntavano sul vecchio Arbat. Si tenevano sottobraccio e fianco a fianco formavano un cordone largo come la strada e cominciavano a camminar;; lentamente, lungo la vecchia via, da piazza Arbat fino al kal'zò, la circonvallazione interna Tutti quelli che si trovavano in mezzo venivano spazzati, senza pietà. Picchiavano e rasavano i ca pelli a punk, rocker, hippy, e gentaglia antisovietica. Li menavano a sangue, gli strappavano i distintivi. Era la rabbia della sgangherata periferia contro la capitale che scivolava verso l'Occidente, l'urlo del buio contro le prime insegne; luccicanti del centro di Mosca. Il sovietico Kvantrishvili pagava i raid dei Ijuberj e la Milizia - sottovoce - ringraziava. Ma Otari, ultimamente, era anche diventato uomo di grandi business. Pochi giorni prima del delitto (con una coincidenza di tempi che in un Paese come la Russia lascia sempre qualche dubbio), la Novaja Gazeta aveva pubblicato il testo dell'autorizzazione firmata da Eltsin alla creazione del Centro sportivo nazionale sotto forma di una società per azioni. Grazie al sigillo del Cremlino, alla spa erano concesse agevolazioni fantastiche, come per esempio l'esonero dal pagamento delle tasse e delle imposte doganali dal 1993 al 1995. Della spa facevano parte organizzazioni sportive - diceva la Novaja - «create con l'aiuto del consigliere di Elusili per lo sport Shamil Tarpishev e del mecenate Otari Kvantrishvili». E non basta, insieme alle agevolazioni, i regali: alla Fondazione nazionale per lo sport erano state contemporaneamente assegnate quote per l'esportazione di cemento, metalli, nafta, titanio, alluminio. Cesare Martinetti OtariKvantrishvili da mediocre lottatore a re del business sporco Esce da Feltrinelli // padrino di Mosco, reportage sulla mafia rampante della nuova Russia. Lo ha scritto Cesare Martinetti, corrispondente per La Stampa da Mosca fra il '93 e il '94. Ne anticipiamo un brano. Cesare Martinetti Sopra Otari Kvantrishvili con Boris Eltsin nel 1990. Nella foto grande la Piazza Rossa di Mosca