Quel feeling tra e il «microfono» il Presidente eli Pannella

Quel feeling tra e il «microfono» Quel feeling tra e il «microfono» il Presidente eli Pannella VA IN ONDA DI TUTTO E DI PIÙ' VROMA ILIPENDIO, vilipendio... E pensare che ogni Natale il deputato - e generosissimo sostenitore - Oscar Luigi Scalfaro riceveva da Radio Radicale un gradito cofanetto di sue registrazioni parlamentari. E che la notte di Capodanno del 1991, pochi mesi prima di essere eletto Capo dello Stato, scelse di passarla proprio ai microfoni di questa emittente al di là del bene e del male, tra fumi sospetti e barbudos con code di cavallo, al quinto piano del grigio palazzone di via Principe Amedeo, sopra lo studio del benemerito dottor Punzo («Ragadi, fistole, veneree ed emorroidi») e un carabiniere che allora era single e oggi ha messo su famiglia. Perché Radio radicale s'è impiantata ed ormai è cresciuta ai margini della casbah della stazione Termini, e di quella Roma assortita e selvaggia - il teatro dell'Opera a due passi dai bagni pubblici «Cobianchi» - riflette e da sempre spedisce nell'etere tutta l'imprevedibile promiscuità. Scalfaro, perciò, e Lino Jannuzzi, il futuro portavoce di Andreotti, Andreani, e quella specie di kamikaze radiofonico, Gaetano Dentamaro, che per via delle sue straordinarie, ribalde «Interviste per strada» è andato incontro a ceffoni, spintoni, sequestri di cassette quando ancora il vice-Gabibbn era parecchio di là da venire. Insomma, tutto e il contrario di tutto. Il che, rispetto alle smancerie del «di tutto, di più» della Rai, suona quantomeno alternativo, e magari anche più nobile e onesto. I rantoli di Tortora, perciò, e le scampanellate della Jotti, una lezione d'esperanto e Maria Teresa Di Lascia che rispondeva alle tentazioni del digiunatore («Senti, che dici, posso sostituire i due cappuccini con un brodino?»). Un Pannella d'annata e una messa da requiem, un editoriale sulla Bosnia e un'irruzione della Digos in diretta, un pentito della Camorra, un obiettore di coscienza belga, un improbabile interprete dallo slavo, un ascoltatore chiaramente pazzo, un conduttore estenuato e un Andreotti convalescente che, al congresso de, sostiene di aver potuto seguire il dibattito grazie alla «Divina Provvidenza», manifestatasi, appunto, attraverso le onde di Radio radicale. Tutto, davvero. Tutti i congressi, tutte le manifestazioni, tutti i convegni: di tutti. In nome di questa totalità stralunata e abbagliante, in nome di questa globalità tanto irreale quanto onnicomprensiva, in vent'anni, ormai, i radicali hanno prenotato, strappato e poi portato a casa, sempre a spizzichi e bocconi, i miliardi che assicurano la sopravvivenza di uno dei più rassicuranti fenomeni della comunicazione contemporanea. Un «vero» servizio pubblico, dicono loro, anche se poi articolato all'interno con criteri pressoché schiavistici, dal momento che i circa 12 redattori - bravi e anche corretti - non sono, né vengono pagati come giornalisti. Eppure le rassegne stampa genere oggi in voga, ma nato con Gianluigi Melega proprio a via Principe Amedeo - raggiungono, con Massimo Bordin, Laura Cesaretti e Gabriele Paci, bacini d'utenza che a volte sfiorano il milione. Eppure l'informazione politica affidata a Roberto Jezzi, che poveraccio si sbroccolerà dieci interviste al giorno, è quasi sempre obiettiva, completa, di prim'ordine. Eppure l'archivio fonico, organizzato da Guido Mesiti con furia collezionisticomaniacale, è un gigantesco patrimonio di atmosfere e di me¬ moria a disposizione di tutti. Eppure... Quella di Radio radicale, in realtà, più che una storia sembra un'avventura. Ricordata per sommi capi, l'emittente nasce nel 1976 per strenuo sacrificio di Paolo Vigevano. Cresce con il caso D'Urso (lettura di comunicati delle Br), ma sta sempre per «morire». Nell'agosto del 1986, direttore il giovanissimo Giancarlo Loquenzi, simula la chiusura e apre scandalosamente le segreterie telefoniche e quindi i microfoni agli appelli, alle mostruosità e alle preghiere di un'Italia sconosciuta. Si becca dei soldi in qualche modo pubblici e si rilancia con Tortora. Rista per «morire». Si scaraventa all'estero nella stagione «trans-nazionale» e intanto richiede senza tregua quattrini agli ascoltatori. S'aggancia, attraverso bislacche convenzioni e stranianti trasmissioni, al consiglio regionale del Lazio e a quello comunale di Catania. Nel 1989 ottiene 20 miliardi e l'ambiguo riconoscimento di «organo radiofonico di partito», ma anche «d'interesse pubblico». Vivacchia quindi con incredibili sprazzi d'intensità, alternando vere e proprie caienne giornalistiche a sbrachi che prevedono addirittura la messa in onda della rassegna stampa di Taradash da parte della signora Franca, eroica donna delle pulizie. All'inizio degli Anni Novanta ingaggia una guerra di frequenze con la Radio Vaticana con l'adesione ossessiva dei più bizzarri aficionados (tra cui Tony da Roma, che ce l'ha sempre su con gli sfratti e poi venne a prendere Rita Bernardini con una Rolls-Royce). L'altr'anno riapre i microfoni alle violente solitudini di un Paese sempre più nevrotico. Dietro a tutto questo - va da sé - c'è il genio mediologico di Pannella. Egli organizza le campagne di sopravvivenza, inventa i programmi, individua gli in- tervistandi, stabilisce le musiche, dà il nulla osta agli spot, pretende che non vengano tagliati i rumori e ordina: «Voglio sangue, lacrime e applausi!». Dalla tribù di cronisti e tecnici viene soprannominato, con qualche ragione, «l'Ascoltatore Unico», maiuscolo. Lo si ritiene, cioè, sempre temibilmente in ascolto. A volte lo è sul serio, e allora capita che telefoni furibondo, anche in diretta, richiamando le sue ardenti e mansue- te vittime su quella strada di impossibile perfezione giornalistica che continua a rendere Radio radicale uno strumento cosi indispensabile da diventare un vizio, una malattia. Tremendo, certo, per noia, l'elenco dei tavoli. Defatigante, per ripetitivo fanatismo, la questua. Addirittura dolorosa la litania dei preannunci d'iscrizione e delle dichiarazioni di voto. E tuttavia, basta accendere Radio radicale per sorprendersi ancora. Voci conosciute e non, voci di tutti, voci che non saranno spente da un anonimo vilipendio. Filippo Ceccarelli Considerata «d'interesse pubblico», ha un'utenza che sfiora il milione Finanziata con 20 miliardi, vi lavorano redattori non pagati Uno storico manifesto di Radio Radicale A lato, Marco Taradash e Enzo Tortora, che fu deputato con Pannella Sopra, la scrittrice Maria Teresa Di Lascia Andreotti. Sopra Valeria Ferro, Paolo Vigevano e Marco Pannella

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