«I dossier su Di Pietro? Li ho trovati fra la posta»
«I dossier su Di Pietro? Li ho trovati fra la posta» LA DIFESA DI PAOLO BERLUSCONI «I dossier su Di Pietro? Li ho trovati fra la posta» FBRESCIA A mettere a verbale Paolo Berlusconi: «I dossier su Di Pietro mi sono arrivati per posta, in busta anonima. A me come a molti giornali». E in due righe, davanti ai magistrati bresciani, cerca di sfilarsi da quell'accusa che respinge con forza. Scandisce il fratello dell'ex presidente del Consiglio: «Sono totalmente estraneo a qualsiasi manovra legata alle dimissioni di Antonio Di Pietro». Paolo Berlusconi lo aveva detto a luglio, nel primo interrogatorio davanti a Salamone e Bonfigli. E lo ha ripetuto anche ieri, secondo faccia a faccia (4 ore) per cercare di uscire da questa brutta vicenda su cui i magistrati giurano di avere adesso le idee molto più chiare. Almeno da quando è comparsa quella borsa zeppa di documenti, con le carte segrete della Fininvest e con i dossier contro l'ex magistrato simbolo. Dossier già finiti sul tavolo degli ispettori romani e all'origine di questa faccenda approdata a Brescia. «E' una ignobile montatura, è una squallida vicenda», sostiene Berlusconi jr., con le telecamere addosso e il fido Luciano, l'autista, che è andato a prendere un caffè, lasciando il principale in balia di cronisti e curiosi. Paolo Berlusconi racconta a modo suo la storia di quella borsa affidata alla prima moglie, perché la custodisse. «A me venne offerta lo scorso luglio dalla stessa persona che cercò di venderla poi alla Lega (Luciano Panciroli, ndr). Non accettai per non sottostare a un ricatto e - soprattutto - perché tra quelle carte non c'era nulla di interessante», giura lui. Che ha pure una spiegazione, senza complotti, sul perché Di Pietro abbandonò la toga. Spie- ga: «Già nell'estate del '94 Di Pietro voleva lasciare la magistratura. Ne aveva parlato a più persone, a più amici. Sapeva di essere diventato il magistrato più importante d'Italia, riteneva chiusa la sua esperienza e coltivava altre ambizioni. Già allora si parlava di un suo impegno in politica. Come oggi...». Paolo Berlusconi dice di essere stato ben informato molti mesi prima delle clamorose dimissioni, quando al termine della sua requisitoria al processo Eniinont, 6 novembre '94, Antonio Di Pietro spense il computer, slacciò il bavaglino e si tolse (per sempre) la toga. «Mi disse tutto un amico comune», confida Berlusconi. Si capisce che il riferimento è all'ex ministro Previti, che incontrò Di Pietro prima dell'estate e che adesso si trova pure lui in questa storia ingarbugliata fatta di dossier, corvi, borse di pelle e accuse pesantissime. «Sapevano tutti di quelle dimissioni. Nell'ultimo libro di Bruno Vespa c'è scritto che anche il gip di Mani pulite Italo Ghitti, adesso al Csm, conosceva le intenzioni di Di Pietro», dice con forza Berlusconi jr. smontando punto per punto la tesi di una manovra studiata a tavolino per togliere di mezzo lo scomodo magistrato. Questo non spiega forse l'intervento di Giancarlo Gorrini della Maa che prima di andare dagli ispettori a lanciare le sue accuse contro Di Pietro decise di confidarsi proprio con Paolo Berlusconi. Che replica: «Ma il mio, anche in quel caso, è stato un comportamento lineare». Lineare o no, se non c'era la storia di questa borsa piena zeppa di documenti comparsa all'improvviso la vicenda non avrebbe avuto un'accelerazione improvvisa, tanto da far pensare che sia prossima una definizione di questo troncone di inchiesta da parte di Salamone e Bonfigli. Anche se Panciroli dice di aver avuto ciucile carte che poi ha tentato di offrire alla Lega nell'inverno '93, mentre Paolo Bertlusconi sostiene di averle viste solo 6 mesi dopo. Dna differenza non da poco, visto che Berlusconi jr. rigetta ogni accusa. Per sé, e pure per suo fratello. Accusa tutta politica, stavolta. Dice Berlusconi jr.: «Non mi sembra che Silvio attacchi i magistrati. Casomai si difende». [f. poi.] A sinistra, il pubblico ministero di Brescia Fabio Salamone. A destra, Paolo Berlusconi
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