Bruchi Quell'insetto è un Maciste

Quell'insetto è un Maciste Quell'insetto è un Maciste Sposta oggetti 150 volte più pesanti di lui ACCARTOCCIARE una foglia senza romperla sembra la cosa più semplice del mondo. E invece richiede un'incredibile abilità. Una serie di manovre che vanno eseguite in un ordine preciso l'una dopo l'altra,, pena, la rottura della lamina follare." Ci sono alcuni insetti che si sono specializzati in questa delicata operazione e lo fanno per scopi diversi. Spesso per creare una culla sicura e accogliente per le uova, ma anche come riparo dai predatori o come rifugio invernale per gli adulti. Campioni di arrotolamento di foglie sono i Curculionidi, piccoli coleotteri dall'aspetto insignificante che non credereste mai capaci di simili imprese. Li chiamano anche sigarai, a ragione perché gli astucci che ottengono dalle foglie accartocciate sono talmente stretti e longilinei da assomigliare straordinariamente ai sigari. In quegli astucci la femmina depone le uova e le abbandona con la coscienza tranquilla. Quasi sapesse che il tessuto della foglia, gradatamente essiccato, farà da ottimo cibo alle larvette che da quelle uova sgusceranno. In genere ogni curculionide è legato ad un'unica specie di albero. C'è chi predilige il pioppo, chi la quercia, chi il nocciolo e così via. La tecnica usata dal curculionide, con qualche variante da specie a specie, si basa essenzialmente su una serie di piccole incisioni praticate sul tessuto superficiale e sulle nervature della foglia, incisioni che per reazione fanno accartocciare la foglia su se stessa facendole assumere la struttura voluta. In altre parole l'insetto non esercita nessuna forza di trazione-per ottenere l'accartocciamento. Lascia che la foglia faccia tutto da sé, in risposta ai taglietti che il curculionide pratica con atavica saggezza nei punti strategici. Ma c'è anche chi ottiene risultati analoghi con una tecnica completamente differente. Sono i bruchi di certe farfalle, i quali hanno un punto di vantaggio sui curculionidi. Dispongono di una filiera che fabbrica seta a tempo pieno. Ed è proprio con i sottili ma resistentissimi fili di seta che il bmco lega assieme i margini delle foglie per ottenerne magnifiche «casette». Le costruzioni sono così solide che resistono nel tempo assai più a lungo dei piccoli architetti dalla vita breve. Qui però il discorso è diverso. Il bruco deve lavorare duro per ottenere il risultato che si prefigge. Gli ci vuole molta forza per riuscire a piegare foglie immensamente più grandi di lui. La curiosità, la leva dei naturalisti, ha indotto uno studioso, il biologo Terence D. Fitzgerald della State University di New York, a indagare su un argomento finora mai affrontato. Il biologo americano trasporta in laboratorio bruchi della specie Caloptilia serotinella, insieme con foglie di ciliegio, le foglie che rappresentano per queste ingegnose larvette la materia prima con cui costruire solidissimi ripari. Servendosi di adeguati mezzi tecnici, riesce così a stabilire che il bruco in questione, quando lavora una foglia di ciliegio, manipola una struttura centocinquanta volte più pesante di lui. Volendo rapportare questo dato in scala umana, sarebbe come se un uomo alto un metro e ottanta, pesante 75 chili, lavorasse un oggetto lungo trenta metri del peso di quasi undici tonnellate. Ci vuole davvero una forza erculea da parte del minuscolo bruco. E occorre naturalmente una notevole quantità di tempo per compiere una simile impresa: occorre infatti un tempo variabile dalle quattro alle dieci ore. Quando il bruco della Caloptilia serotinella incomincia la sua opera, per prima cosa indebolisce la foglia di ciliegio scavando tanti forellini nella nervatura centrale. In questo modo la foglia si arrotola formando un cilindro. Dopo di che il bruco provvede a suggellare con la seta le due estremità del tubo. Viene a trovarsi così segregato in un riparo dove si crea per effetto serra un microclima più caldo e umido dell'ambiente circostante, che favorisce il suo rapido sviluppo. La seta del bruco ha la facoltà di «supercontrarsi», come la seta di alcuni ragni. L'umidità in¬ fatti rigonfia il diametro dei fili di seta, ma questi si contraggono quasi immediatamente, riducendosi notevolmente di lunghezza. I fili di seta del bruco di Caloptilia si contraggono di un terzo della loro lunghezza iniziale. La supercontrazione agevola indubbiamente il processo di costruzione del riparo foliaceb. Eppure questo fenomeno non basta a spiegare come facciano i bruchi ad arrotolare foglie tanto più grandi di loro. Ci dev'essere in gioco un altro fattore. Fitzgerald e la sua équipe pensano di averlo scoperto. Per fissare un cordone di seta tra due punti di una foglia, il bruco incomincia con il far aderire la filiera alla foglia stessa, in modo che l'involucro vischioso delle fibre vi resti incollato. Dopo di che si allontana tirandosi dietro un filo lungo e continuo che perde rapidamente acqua. Asciugandosi diventa elastico. E' la sua elasticità che consente al bruco di trasferirvi la propria energia, tendendolo al massimo prima di fissarlo all'altro punto della foglia. Così ogni fascio di fibre di seta esercita una minuscola forza contrattile lungo il suo asse. E le contrazioni cumulative di tanti fasci di fili sericei consentono al bruco di portare a termine con successo la sua opera di arrotolamento. Un bruco di Caloptilia, nei suoi blitz di filatura non stop che durano in media sette mi¬ nuti ciascuno, fabbrica cento fasci di fibre al minuto, producendo quasi novanta centimetri di seta. Ogni cordone contiene migliaia di fili. Per tenderli tutti quanti simultaneamente, il bruco impiega una forza incredibile, sproporzionata alle sue dimensioni. E' come se una persona di peso medio esercitasse una forza di circa trecento tonnellate. Dopo aver osservato per quattro estati consecutive i bruchi del ciliegio al lavoro, Fitzgerald si domanda come diavolo faccia una così piccola creatura a tradurre in un'azione che sembra intelligente le istruzioni immagazzinate nel suo minuscolo sistema nervoso. Si tratta di un comportamento istintivo oppure c'è in questa bestiolina almeno una scintilla di consapevolezza? E' il solito vecchio dilemma, tuttora irrisolto. Isabella Lattes Coi! tnann L'efietto negativo del rumore dell'ambiente in cui viviamo varia secondo la sensibilità individuale: i fattori psicologici giocano infatti una non piccola parte, accanto a quelli puramente fisiologici, nel determinarne gli effetti. Ma emerge sempre più chiaramente, ed è stato riferito ai recenti «Incontri di audiologia» di Torino, come l'intensità e la durata dell'esposizione al rumore dell'ambiente di vita e soprattutto di lavoro possano aggravare disturbi organici di varia natura, nonché danneggiare funzioni estremamente delicate come il sonno. Per quanto riguarda il rumore ambientale, analizzando quanto è stato fatto negli ultimi vent'anni, vediamo che molti Paesi europei hanno dedicato tempo e risorse a studiarne e valutarne l'entità e gli effetti che esso produce. In Italia questo problema non è mai stato affrontato con interesse particolarmente orientato alla sua risoluzione, anche se le indagini eseguite hanno portato alla definizione del livello massimo di tollerabilità del rumore urbano. La lotta contro il rumore ambientale incontra ostacoli di natura economica, spesso insormontabili. Ridurre la produzione del rumore e mantenere intatta l'efficacia del mezzo che lo produce è problema la cui risoluzione deve spesso superare problemi economici non indifferenti. Le indicazioni ricavate servono dunque, almeno per il momento, più cbe a sanare si tuazioni esistenti, a progettare meglio quelle future. I cambiamenti nel modo di vita, che quasi sempre comportano un aumento nella produzione di ru '.timore, vengono in '^'genere considerati NERVO DELIA CHIOCCIOLA p'.tim'^'g a, n TROMBA DI EUSTACHIO CONDOTTO UDITIVO (ORECCHIO ESTERNO) NERVO DELIA HIOCCIOLA ndice di progresso civile. Ma non è così. Tutti i rumori, da quello della discoteca a quello prodotto dalle auto sulle strade, stanno creando nuove categorie di malessere. Nessuno può sfuggire. Il rapporto tra l'uomo e il rumore è infatti determinato dall'esistenza di un organo l'orecchio - e di un sistema di centri nervosi che hanno limiti precisi. Negli ultimi anni il microscopio elettronico ad alta definizione ha permesso di interpretare meglio i meccanismi della trasformazione dell'energia meccanica vibratoria - il suono - in energia bioelettrica, che il nervo acustico trasferisce Foi alla corteccia cerebrale, ove informazione viene riconosciuta e interpretata. E' comunque ben difficile trovare condizioni ambientali che consentano un completo ricupero psicofisico, dopo il quotidiano «bagno» nel rumore. La tecnica però oggi ci viene incontro. Seguendo inconsapevolmente il consiglio che già 400 anni prima di Cristo Ippocrate dava a coloro che sentivano ronzii nelle orecchie - cioè neutralizzare un suono con un controsuono - si è pensato di trasformare il rumore prodotto dai mezzi di trasporto per crearne un altro con caratteristiche fisiche opposte. Un antagonismo utilissimo per ridurre l'inquinamento acustico nelle cabine di guida dei camion o nelle fabbriche. Un altro filone di studi riguarda il ripristino delle cellule acustiche distrutte dall'esposizione al rumore. Esse non posso essere sostituite da altri elementi dello stesso tipo. Ma recenti ricerche sugli uccelli hanno dimostrato che cellule distrutte da traumi sonori, dalla somministrazione di antibiotici ototossici o dal naturale invecchiamento, possono essere sostituite da cellule acustiche derivate da quelle che hanno resistito alla causa nociva. Questa possibilità sembra però essere remota per i mammiferi - e tutt'ora impensabile per l'uomo, il cui apparato acustico è estremamente complesso. La fisiologia dunque ci fa intravedere un percorso colmo di difficoltà. Non resta che percorrere la strada della tecnologia e della ridefinizione dei limiti del benessere della società, cercando di raggiungere un equilibrio tra opposti interessi. Dobbiamo essere disposti a sacrifici anche non indifferenti: il progresso in termini di salute avrà inevitabilmente costi alti e dovrà essere pagato almeno in parte in termini di quello che noi consideriamo progresso. Ma questi sacrifici sono un requisito ineliminabile per la nostra soprawi TROMBA DI venza. EUSTACHIO Giovanni Rossi Università di Torino NEL 1984 Marshall e Warren segnalarono sulla rivista britannica The Lancet l'associazione fra una gastrite o un'ulcera e la presenza nell'antro gastrico, in prossimità del piloro, d'un batterio di forma elicoidale, molto mobile (Unidentified curved bacilli in the stomach of patients with gastritis and peptic ulceration), in seguito identificato come Helicobacter pylori. Ricerche recentissime fatte a Torino (Divisione di gastroenterologia dell'Ospedale Molinette, équipe coordinata da Antonio Ponzetto) e pubblicate anche queste su The Lancet, indicano una connessione tra questo batterio e l'infarto del miocardio. Non basta. Altri studi tuttora in corso alla Juntendo University di Tokyo confermano un legame tra l'Helicobacter pylori e il tumore dello stomaco, con una correlazione del 90 per cento (il tumore allo stomaco colpisce ogni anno centomila giapponesi). Dopo dieci anni di ricerche svolte in tutto il mondo proviamo a fare il punto delle conoscenze su questo batterio e sui suoi rapporti con vari tipi di patologia. L'Helicobacter pylori possiede un patrimonio di enzimi HELICOBACTER PYLORI

Persone citate: Antonio Ponzetto, Eustachio Condotto Uditivo, Eustachio Giovanni Rossi, Fitzgerald, Isabella Lattes, Nervo Delia, Orecchio Esterno, Terence D. Fitzgerald

Luoghi citati: Italia, New York, Tokyo, Torino