MONTALE & PENNA segreti e malizia

MOKE MOKE IL grande nemico è Ungaretti. Il grande amico Saba. Ma la vera amicizia, riservata, da tenere nascosta agli altri, è quella fra Montale e Sandro Penna: fiorita attraverso rari incontri, e molte lettere, negli Anni 30, allentata già alla fine del decennio, e riemersa solo oggi, per un ritrovamento fortunoso, che scopre una pagina sconosciuta di quella lontana, importante stagione. Montale e Penna si incontrarono per la prima volta nel novembre 1932 a Firenze, dove il giovane perugino era venuto con le raccomandazioni, e il denaro per il viaggio, di Umberto Saba. Montale, trentaseienne, lavorava al Gabinetto Vieusseux; l'autore degli Ossi di seppia era guardato già allora come un crocevia nella società letteraria, che di Firenze aveva fatto la sua capitale. Penna era un ventiseienne inedito, cercava faticosamente il suo spazio nella letteratura e non riusciva a trovarlo nella vita, che menava assai grama, come avrebbe fatto poi sempre, con piccoli gagnepain. La corrispondenza durò sei anni, ma non doveva esserne al corrente nessuno, e il poeta perugino tenne la consegna del segreto: serbando per sé le lettere che Montale gli mandava da Firenze, insieme con le minute delle proprie risposte. Le ha ritrovate, dopo la morte del poeta, il fedele Elio Pecora, suo erede e biografo. Non erano fra gli altri manoscritti disseminati da Penna nella povera casa romana, erano nascoste dietro il cassettone di noce, contro il muro, in un involto legato con lo spago. Chiaramente Sandro Penna, così geloso dei propri sentimenti, non voleva intrusioni esterne in quel rapporto, per lui tanto importante quanto, nella memoria, doloroso. Il carteggio, dopo parziali anticipazioni giornalistiche negli anni passati, si può leggere ora integralmente in un volumetto a cura di Roberto Deidier, con una introduzione dello stesso Pecora, per le edizioni di Rosellina Archinto (Eugenio Montale - Sandro Penna, Lettere e minute, pp. 101, L. 22.000). Ed è una lettura, per molti aspetti, sorprendente, che getta una luce trasversale nel fermentante mondo letterario italiano degli Anni 30, diviso da passioni e da rivalità quali oggi non è più possibile conoscere. L'epistolario si apre con una richiesta di affetto, da parte del povero poeta perugino: «Vorrei quasi chiederti se mi permetti di essere affettuoso!», scrive tornato a Roma, dopo il primo incontro. E la risposta deve essergli andata dritta al cuore: ((Attendevo tutti i giorni la tua lettera - gli scrive, a giro di posta, Montale -. Se ti permetto di essere affettuoso? Magari!!!», firmando, con trasparente rammarico, «il tuo, ahimè, non scopritore Eusebius». L'allusione è a Saba, che Montale invidiava un po' per quella scoperta. Eusebius avrebbe cercato di recuperare negli anni sue cessivi, mentre il giovane perugino si metteva sempre più sotto la sua ala, abbandonando progressivamente il maestro di Trieste: «Caro Saba! Che non mi vuole più bene (Ma forse ha ragione)», avrebbe scritto due anni dopo al nuovo maestro di Firenze. L'affetto è una nota che corre lungo tutto il carteggio, anche se, da parte di Montale, con progressivo raffreddamento. Ma le prime espressioni non lasciano ombre «Ho riletto spesso le tue poesie con Un carteggio medito degli Awii Trenta: l'amico è Saba, il grande nemico è Ungaretti, che legittima la censura delle poesie di Pavese

Luoghi citati: Firenze, Roma, Trieste