IL CAMBIAIDEE di Franca D'agostini

IL CAMRIAIDEE IL CAMRIAIDEE La riscoperta di Schelling: un pensiero in continuo sviluppo porto unico re, unico essere infinito, / tutto ciò che nella tua immensità non hai: / i difetti, i rimpianti, i mah e l'ignoranza". / Ma in più avrebbe potuto aggiungere: la Speranza». Il dialogo con Voltaire, certo il principale, non è l'unico attribuito in questo volume a Orazio. Un altro vede il poeta a colloquio con il servo Davo, che si presenta un po' come la voce della sua coscienza. Sicché Orazio, stimolato, ha accenti di acuta critica per se stesso: «Io credo davvero di avere liberato l'eros, secondo natura o meno, dai tormenti, dalla morbosità, dalla dismisura, dal gusto dell'oscenità. Credo, invece, di non aver vinto, con tutte le mie meditazioni e tutti i miei sforzi, la malattia che spesso si mescola alle gioie dell'eros e che, anzi, insidia tutta la vita: cioè una certa ipersensibilità per il tempo come logoramento di tutto, come inarrestabile decadenza». Ma le note più originali, ci sembra, sono toccate nel più inatteso dei colloqui, quello con Giovanni Pascoli: un colloquio che Pascoli ha in sogno, mentre fantastica sulla letteratura latina a lui tanto cara. Orazio gli dice: «O poeta della nuova stagione, perché ti paralizzi così? Vivi prigioniero di sogni incantati, e ne esci solo per piombare in questi incubi... Tutto il tuo atteggiamento verso la vita non è diverso: passi dai sogni dell'alba a quelli del crepuscolo e agli incubi della notte. Non conosci, non vivi il giorno: la tua malattia è la paura di vivere». E Pascoli, a malincuore, gli dà ragione: «Mi affiderò al tuo microscopio, se non al tuo bisturi». Sabatino Moscati Antonio La Penna Dialogo di Orazio e Voltaire e altri dialoghi teatrali oraziani Rizzoli Bur.pp. 194. L. 16.000 del nostro tempo dovrebbe essere ricostruita a partire da questa constatazione, non dall'impegno di contrastare un esito che è già accaduto. Da buoni cyborg, siamo tutti dei nodi di reti a geometria variabile, intersezioni cu rapporti sociali, economici, ludici, erotici, tecnologici che ci attraversano in ogni direzione. Invisibili come onde radio, essi si lasciano dietro, dopo averci attraversati, una flebile concrezione di processi comunicativi, un fugace ispessimento d'onda, che soltanto con molta buona volontà è ancora possibile chiamare un sé, un soggetto individuale autonomo. E poiché ciascuno di noi funge da nodo permeabile di un numero indefinito di reti, nessuno può dire dove passano i confini delle persone e dei sistemi politici, di te o di me o di quell'altro. Ciò che è accaduto una volta per tutte non si può combattere. Ma si può cercare di ribaltarlo per quanto possibile a proprio favore. Se il nostro io è stato dìffratto dalla tecnologia in una molteplicità di io che si conoscono appena e comunicano tra loro a fatica, possiamo decidere di far emergere di volta in volta quello tra di essi che meglio ci aiuta a sopravvivere, materialmente o simbolicamente, vista la situazione. Se la tecnoscienza con la sua epistemologia riduzionista appiattisce corpi e menti in un unico testo codificato, una striscia di 0 e di 1 come quelle che la macchina astratta di Turing provò essere perfettamente computabili anche se infinite, possiamo impuntarci nel controproporle epistemologie parziali, contraddittorie, legate almeno per un momento ad un luogo, ad una posizione sociale. Se i confini del Sé come di Alter sono perennemente mobili, possiamo provare a spostarli, a ridefinirli in via provvisoria allo scopo di inclinare diversamente l'asse delle previsioni e cambiare il destino. «Antropologi di sé possibili, noi siamo tecnici di futuri realizzabili». E' il pensiero conclusivo del libro, uno dei più poetici. E non per ispirazione casuale dell'autrice. Poesia e tecnologia sono infatti due forme di creazione che il femminismo tecnologico vorrebbe fondere, per farne dono a ogni essere umano - volevo dire, ad ogni cyborg. Luciano Gallino DonnaJ. Haraway Manifesto Cyborg. Donna, tecnologie e biopolitiche del corpo Feltrinelli, pp. 194. L 28.000 ERANO tre studenti di liceo, intelligenti, inquieti e un po' bizzarri. Come gli studenti degli Anni Sessanta di questo secolo, parlavano continuamente di rivoluzione, solo che si trattava della Rivoluzione francese, non di quella cubana, cinese o sovietica. Per un certo periodo condivisero una camera, a Tubinga, e fu una straordinaria convergenza astrale, perché i tre erano Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Friedrich Holderlin, Friedrich Wilhelm Joseph Schelling. Dopo il liceo, in una serie di incontri e grazie a un intenso scambio epistolare (soprattutto tra Hegel e Schelling), concepirono lo scritto anonimo noto con il titolo Primo programma sistematico dell'idealismo tedesco. Il manoscritto era di pugno di Hegel, ma come notò Rosenzweig, che ne fu editore, nel 1913 - le idee erano allora l'ossessione degli altri due: in sintesi, si progettava un «rovesciamento» dell'ortodossia filosofica, da compiersi costituendo la filosofia come una nuova religione, ma una «religione sensibile», basata sulla sperimentazione estetica della verità. La trilogia idealistica di arte, religione e filosofia si affacciava così alla storia del pensiero, ed era proprio la giovane «trinità» Hegel-Schelling-Holderlin ad averla pensata: strane simmetrie, tipiche dell'epoca, da cui Hegel seppe trarre le ben note conseguenze. Il seguito della storia è meno eroico e più noto, con la follia di Holderlin (iniziata nel 1802), il successo di Schelling nei salotti romantici e come antagonista di Fichte, poi la fortuna ineguagliabile di Hegel, l'ultima grande voce della filosofia sistematica. Holderlin fu un poeta, e come tale è restato (almeno fino al recupero promosso da Heidegger) una di quelle incarnazioni della lucida follia di cui è popolata la nostra storia. Hegel fu il mago inquietante che tutti conoscono, l'invincibile teorico del sistema, ma anche del movimento, il sostenitore del potere istituito e del dato di fatto, ma anche il teorico della contraddizione e del negativo. L'immagine di Schelling invece è rimasta a lungo nell'ombra di Hegel, come una figura preparatoria e singolarmente imprecisa, dopo lo stravagante Fichte di cui scolasticamente si sa che levò di mezzo la «cosa in sé» kantiana e risolse tutto il sapere nella dialettica dell'io. Eppure Schelling, che a quindici anni conosceva perfettamente diverse lingue, tra cui l'ebraico, e aveva gusti raffinati (si occupava di sistemi gnostici, di Valentino e degli Ofiti, nella stessa epoca in cui Hegel studiava Aristotele), era il più generoso, geniale, mozartiano dei tre. Ai tempi del Primo programma Hegel si riconosceva «apprendista» alla sua scuola, ed era pronto a sottomettersi alla critica del compagno, più giovane di cinque anni. Ma chi era effettivamente Schelling, e che cosa rappresenta oggi la sua scelta filosofica? La questione non è accessoria: una Schelling-renaissance, all'interno di una più generale rinascita dell'idealismo, è oggi in atto, anche in settori non propriamente legati allo studio della storia della filosofia. In ambito scientifico la «filosofia della natura» è oggi rivalutata e studiata, mentre un sempre più accentuato interesse è rivolto al cosiddetto «secondo Schelling», critico di Hegel e teorico della «filosofia positiva»: vedi il «lancio» promosso recentemente da Andrew Bowie in ambiente anglosassone, con la traduzione dello scritto Sulla storia della filosofia moderna (Cambridge University Press) e il saggio Schelling and Modem European Philosophy (Routle- Filosofo tra natu Filosofo dell'altre tra natura e miti dge). dell'altre ra e miti In Italia una ricca consuetudine di studi schellinghiani, e anche una specie di «ritorno a Schelling» sono stati promossi da Luigi Pareyson e dai suoi allievi, e proprio in quest'ultimo anno sono usciti tre libri dovuti all'ultima generazione di scolari pareysoniani: il dialogo Bruno (1802), in una nuova traduzione curata da Enrico Guglielminetti (Edizioni Scientifiche), e i due saggi Senso e immagine di Tonino Griffero e Kenosis del logos, di Francesco Tomatis. Di Schelling si sa che fu dapprima idealista, anzi forse fu il primo vero idealista (come ha sostenuto, per esempio, Emanuele Severino), e poi il più intransigente avversario dell'idealismo. I tre testi danno un quadro abbastanza completo di questo sviluppo. Il saggio di Griffero esamina la prima fase della filosofia schellinghiana, dagli esordi nella filosofia della natura fino al momento in cui si ufficializza la «svolta», scandita dalla rottura dell'amicizia con Hegel. Il Bruno è un testo di passaggio, in cui il primo Schelling anticipa tematiche che saranno proprie della sua ultima speculazione. Il saggio di Tomatis affronta lo Schelling filosofo della religione, e sostenitore di una «filosofia positiva» alternativa all'idealismo: dalle lezioni di Erlangen (1820-27), fino agli ultimi corsi di Berlino (1841-43) dove, grande avversario del già defunto Hegel, gettò alcune basi della lunga età posthegeliana della filosofia contemporanea (tra i suoi ascoltatori furono allora Kierkegaard, Feuerbach, Engels, Bakunin, Burkhardt). Nonostante la svolta, e nonostante le molte scansioni interne alle due fasi, c'è una linea unitaria, che Griffero e Tomatis riconoscono in modo unanime. Schelling cercò sempre Voltre della filosofia, o meglio cercò uno sbocco del linguaggio filosofico al di fuori dell'astrazione concettuale. Il primo Schelling individuò questo sbocco nella poesia, nella scienza, nel mito, l'ultimo Schelling lo trovò nella religione. Questo fa di lui il «padre» di quel movimento di apertura della filosofia verso Yaltrove dalla filosofia, che riguarda in vario modo quasi tutto il pensiero contemporaneo, da Kierkegaard e Nietzsche a Rosenzweig, dall'esistenzialismo all'ermeneutica e a Derrida. Cogliamo così il centro dell'enigma posto da questo pensatore dal teorizzare febbrile, che da un anno all'altro (specie nella fase giovanile) cambiava categorie, stile e punti di riferimento per riesporre il suo pensiero. Il «rovesciamento» artistico della filosofia come religione del sensibile, o nuova mitologia, prospettato dai tre giovani proto-idealisti, è sostanzialmente l'idea di una apertura del pensiero filosofico: l'arte e la religione sono l'altrove della filosofia, con il quale la filosofia idealistica scopre una profonda parentela. Hegel assoggettò l'arte e la religione alla filosofia, incluse nella filosofia stessa il proprio altro: Schelling, che forse più di Hegel penetrò il segreto del lavoro filosofico, e capì i limiti e il destino del fare filosofia, tentò di conservare l'apertura del pensiero verso l'«a-concettuale», verso le immagini, i miti, le narrazioni, e tutto quel che non è riducibile a concetto, incluso Dio. Franca D'Agostini Tonino Griffero Senso e immagine Guerini pp. 356. L. 38.000 Francesco Tomatis Kenosis del logos Città Nuova pp. 38I.L 40.000

Luoghi citati: Berlino, Italia