IL DERVISCIO DEL BOSFORO

L' L' INGRESSO trionfale da Einaudi? Oppure un'assunzione di grande reponsabilità nel gruppo Rizzoli, come dire dominus in un progetto di rilancio molto profondo di una testata gloriosa? Due le strade rimaste aperte, forse soltanto ancora per poche ore, nella Repetti-novela arrivata alla svolta finale. Non senza parecchio stress da parte del barbuto transfuga di Theoria fatto segno a tentativi di seduzione, contratti avvolgenti con cheques alla mano, da parte di mezza editoria italiana, e la mezza che conta davvero. Non si era mai vista, da noi, una simile divizzazione per un uomo da libri, pur bravissimo. 0 bisogna andare indietro ai vecchi padroni del vapore, per dire Mondadori e Rizzoli, ma quelle erano storie soprattutto «di vita», di scalata esistenziale prima ancora che editoriale, simboli di una società, nel bene e nel male, piena di fermenti, in moto. Repetti è invece il frutto anomalo, tra i migliori grazie a Dio, di una società parossisticamente immobile sotto l'apparenza del continuo mutamento, schiava di se stessa, replicante. Il vero problema per lui non sembrerebbe quindi tanto se trasformarsi, da romano, in torinese o milanese e con che appannaggio. Ma di capire dove minore è il rischio di diventare una stella fissa. Un Donzelli di «centro» Dicono: nasce un «Donzelli di centro». Ma che vuol dire? Staremo a vedere. Perché Limina, la nuova editrice fondata ad Arezzo con propaggine a Milano dall'industriale dell'oro Enrico Mattesini, si annuncia fuori da ogni schieramento. «Vogliamo essere presenti sui problemi veri del Paese, riempire vuoti editoriali ben visibili»: inchieste sull'oggi per una collana dedicata alle tematiche di fine millennio e affidata a Gianni Barbacetto, la testa pensante di Milano, che curerà anche la scelta di pagine poco note o ormai introvabili da Gobetti a Simmel a Heidegger per una collanina piccola, destinata a lettori forti con spazi di lettura o rilettura stretti. Quanto all'editore, ex socio «silenzioso» di Donzelli, parla e annuncia il terzo filone, primo in ordine di realizzazione, del suo palinsesto e che curerà personalmente, almeno per ora: «storie e miti» collettivi raccontati attraverso la letteratura sportiva. A esordire, il 13 novembre, un Nando Dalla Chiesa assolutamente imprevedibile (ma chi lo conosce sa del suo tifo per l'Inter e della sua passione per la chitarra), autore di una story che da Gigi Meroni, il calciatore del Torino ucciso da un'auto nel '67 e subito assunto tra gli immortali, spazia nell'olimpo degli eroi, da Marilyn al Che. Un libro di centro o che, semplicemente, farà centro? Sperling: 100 mila ponti Con / ponti di Madison County la Sperling ha raggiunto le 100 mila copie, adesso ne sforna altre 50 mila in contemporanea al film con la coppia Eastwood-Streep. Ottimo bilancio, ma ora se ne annuncia un altro non meno fruttuoso per uno di quei «casi» editoriali che solo gli americani sanno costruire: il primo romanzo del cinquantenne Irving Benig, sino a ieri pubblicitario, dove si racconta di un tranquillo professore universitario che, da una lettera lasciatagli dal padre archeologo prima di morire, apprende «la vicenda delle tre tavole del Messia, rinvenute in Terra Santa negli Anni 50 e poi perdute, sulle quali sarebbe incisa la data esatta dell'Apocalisse». Sicché gli tocca mettersi alla loro ricerca... La Random House se ne è aggiudicata i diritti con un anticipo ai 500 mila dollari. Le tavole del miracolo, eredi dei Predatori dell'arca perduta e della Profezia di Celestino, usciranno in tutto il mondo a fine ottobre, 30 mila copie da noi per cominciare. Se il millenarismo non perdona, che serva almeno a fare un po' di soldi. Mirella Appiotti IL DERVISCIO DEL BOSFORO Una pallida Bovary turca e il suo santone dalla barba nera tra lussuria e misticismo, tra occidentalizzazione e radici NIGHJAR è una creatura saggia, amante della tranquillità. Sa di essere bella, le piace essere amata. Quanto ad amare... Si direbbe che non faccia per lei: tutto sommato, ama solo se stessa». Ma un giorno, forse perché c'è «nascosta in ogni donna la crisalide di una cortigiana, in attesa dell'occasione propizia per nascere», a Nighjar - la bella turca avvolta nel candore che solo l'indifferenza può dare, che consuma una dopo l'altra sigarette che si perdono in fumo nell'ampia prospettiva del Bosforo, al riparo della villa di famiglia sulla riva asiatica, immemore del marito lontano e dei due figli bambini la vita si presenta sotto forma di un vortice non solo imprevedibile, ma anche insensato. Agli occhi degli istambulioti ricchi e sensibili ai costumi e alle suggestioni della modernità occidentale il misticismo religioso della tradizione non è che una confusa superstizione, e il bektashismo praticato nelle sette che discendono, a partire dal XIII e XIV secolo, dal fondatore Bektash rappresenta una forma «di panteismo rozzo e primitivo». Ma Nighjar s'innamora eh Nur Babà, maestro di luce, un derviscio trasandato dalla veste bianca, dallo sguardo languido e furbo che estende il suo potere su una confraternita bektashi per lo più formata da donne di mezza età vogliose d'amore, e da uomini dediti al bere: l'uomo dalla barba nera, che le sta accanto come un rapace fin dalla sera della sua iniziazione, nel volgere di poco tempOj «l'attira in un'ondata melmosa di lussuria, la soffoca, l'incatena in silenzio». La storia di questo soffocamento, della melma e della lussuria, la racconta un breve romanzo pubblicato in Turchia (nel 1923), dove ebbe polemica fortuna, e ripreso ora da Adelphi a cura di Giampiero Bellingeri, con una postfazione di Elémire Zolla. Il titolo è Nur Babà, l'autore Yakup Kadri Karaosmanoglu, era un deputato di Mustafa Remai, già legato ai Giovani Turchi, che condivideva pienamente il programma di Atatùrk, nazionalismo e laicizzazione, e lo sosteneva anche letterariamente con opere militanti. La storia d'amore tra Nighjar e Nur Babà doveva essere probabilmente una di queste, con il proposito, scrive Zolla, di denunciare e di dare una spallata definitiva agli ordini sufi, che Mustafa Kemal voleva sopprimere per ehminare con loro tutto ciò che recavano della vecchia Turchia. Ma il libro gli sfuggì di ma¬ no, o forse come la sua protagonista fu irretito dalla melma bektashi, dal raki, dal tanfo delle pelli sacre su cui ci si abbandona allo stordimento e alla preghiera, dai canti rituali, e come lei contagiato non dalla sordida decadenza del convento, ma dall'antico incanto che quell'isola di umani avvinti da strani vincoli che tendono a un niente altrimenti inspiegabile sprigiona, nel suo torpore degradato e finale. Un capolavoro della narrativa d'amore, dice Zolla, una Madame Bovary sul Bosforo, suggerisce il risvolto di copertina. E certo è così in qualche modo, anzi in un modo suggestivo e gratificante: dell'amore in Nur Babà non resta che lo scheletro passionale o la deriva irresistibile senza che alcun realismo psicologico s'industri a darne ragione, non resta insomma che la luminosa irragionevolezza amorosa, così come la Bovary turca non è che la occidentaioso della na confusa tashismo languido e suo potere bektashi a donne di moi al , Oj sua essenza rovinosa, un destino femminile ultimo, il desiderio salvato dal peso della verosimiglianza quotidiana. (Non senza un po' di rammarico: al lettore odierno piacerebbe che Yakup Kadri avesse concesso un po' più di spazio alla vita nella villa sulla riva del Bosforo, dove nelle notti di luna al passaggio delle barche l'acqua si riempie «di suoni e armonie in una interminabile festa» e i veli delle signore assumono «riflessi di colore inusitati»). C'è anche un altro aspetto. Sul punto di perdersi nell'onda di Nur, Nighjar parla del mondo in cui sta per entrare a un amico della vita borghese, perbene e occidentalizzato, e mentre lei parla a lui sembra «di ascoltare la lettura di una pagina di Pierre Loti», perché, come tutti i suoi compagni, era abituato «a vedere e amare l'Oriente, la sua vita, i suoi paesaggi solo attraverso lo specchio non sempre fedele e genuino della letteratura occidentale». Forse per convinzione politica, forse per insofferenza personale Yakup Kadri sembra voler fare con Nur Babà un romanzo antiesotico sul proprio Paese, un'opera anti Pierre Loti e il suo estro orientale erotico funerario. Ciò che appare esotico agli ingordi occhi occidentali non è, come la setta di Nur, che inganno o, peggio, degrado, una mistificazione storica e letteraria. Ma il serio kemalista si dà la zappa sui piedi alla fine del racconto di Nighjar, quando la donna, ormai trentasettenne, è diventata irriconoscibile per una serie di vizi capitali che lo scrittore elenca con puntiglio: l'alcol, il fumo, il gridare, l'insonnia, le orge che si prolungavano per ventiquattr'ore, i continui simposi, e, infine, l'amore logorante. All'amico di un tempo che ancora si offre di salvarla dalla rovina e riportarla alle sue abitudini di una volta, a una casa confortevole, ai suoi figli, Nighjar oppone un netto rifiuto; mai e poi mai lascerebbe il suo incantato inferno per ridiventare una ordinata signora del mondo dell'ottusa moderazione. Elisabetta Rasy Yakup Kadri Karaosmanoglu Nur Babà Traduz. di Giampiero Bellingeri Adelphi. pp. 178. L. 24.000 LA SICILIA VISIONARIA DI «SUOR TRAFITTA» N. EL quanto mai diffuso e fortunato genere del romanzo storico, Un inganno dei sensi malizioso di Silvana La Spina rappresenta finalmente una novità abbastanza radicale: la storia c'è tutta, con nomi ed eventi al posto giusto (o quasi: qualche libertà di tempi e luoghi è pur presente, non senza malizia e ammicco da parte dell'autore), ma si è interamente sfumata nel sogno, nella visionarietà, nel gioco delle immaginazioni e della ricerca continua di stupori e meraviglie, e a ragione, perché il tempo della narrazione è lo scorcio del Cinquecento, già tutto pervaso di spiriti barocchi. Tre son i personaggi intorno ai quali si sdipana la vicenda: suor Trafitta, della nobile famiglia siciliana dei La Grua, con uno zio cardinale e una quantità di parenti più o meno importanti, chiusa all'inizio in un convento presso Catania; il nobile sivigliano Consalvo de Aguilar y Cordova, che, per l'incantesimo di una bellissima saracena, di cui si innamora durante una processione, si addormenta di un sonno profondo, vivendo così fuori della vita, assistito e invano curato dal parroco di una piccola chiesa dei possedimenti di Consalvo, don José, fedele, appassionato, devoto fino al sacrificio; il prete catanese don Crocifisso Giaquinta, di umilissime origini (è figlio di una prostituta), con una pericolosissima vocazione all'oratoria, al proselitismo, alla conver¬ sione dei peccatori di cui il mondo rigurgita, al martirio. Suor Trafitta è ossessionata da visioni di eventi futuri. «Vede» l'arrivo dei pirati musulmani che invadono il suo convento e violentano e uccidono le suore; trasferita a Napoli dai superiori per prudenza, qui presente lo scoppio della peste; finita a Praga, ha la visione dell'arrivo di un esercito nemico, che si rivela essere quello turco; infine a Istanbul dove giunge, consegnata come gradita preda in quanto suora, «vede» massacri, malattie, delitti. Suor Trafitta è, insomma, un metapersonaggio, nel senso che rappresenta, nella vicenda del romanzo, la controfigura dell'autore. Il narratore è, appunto, colui che ha visioni, che da profeta si immagina e descrive ciò che accadrà, che è investito del privilegio, sublime, quanto odiato e perseguitato e temuto, di chi sa come andranno le cose, e lo rivela, senza risparmiare la descrizione di tutti gli orrori della storia e della vita che dovranno cadere sugli uomini ignari e che tali vorrebbero restare. Alla fine, infatti, ritroviamo suor Trafitta nel suo convento, insieme con tutte le altre suore tranquille e intatte. Tutto il romanzo non è stalo che una lunga visione di visioni, forse: o, forse, è la rivelazione per allegoria di quella che è l'infinita confusione della storia e della vita, che genera continuamente mostri. D'altra parte, il sonno di Consalvo è un'allegoria anch'esso: quella della ben barocca vita che è sogno, e in sogno, cioè nel sonno, sempre giovane e bel¬ lo, Consalvo attraversa gli anni e arriva fino a essere nominato, così com'è dormiente, ambasciatore a Praga presso l'imperatore, cioè ad avere carriera e potere, lui che ne è, in realtà, fuori. Il romanzo, allora, ha come oggetto soprattutto l'arte, il significato, il valore, il potere della parola narrante. Ma questo scopo è attuato con un vorticoso intreccio di casi, di personaggi, di viaggi attraverso l'Europa fino al Bosforo, è sostenuto da un linguaggio saporoso, grandiosamente fantastico, misto di inflessioni dialettali e dell'uso di termini dotti, è condotto fra conventi, regge, tuguri, bordelli, palazzi nobiliari, a Siviglia e Palermo, Catania e Roma, Napoli e Praga, fino a Istanbul. L'infimo e il sublime si alternano di continuo, così come oscenità e sfarzo, potere e miserie di corpi che si disfanno, malattie orrende e non meno atroci carneficine, tutte nell'atmosfera di una magia che domina e affascina tutti, plebei e re, e si introduce anche nella religione, qui ora accettata con terrore ora esorcizzata con l'inquisizione. Ci sono momenti di particolare intensità, come la morte di Filippo II, la processione di Siviglia, la descrizione della famiglia di suor Trafitta, consumata dalle malattie e dall'avido vizio, l'evocazione della corte magica e sospettosa di Rodolfo II, quella del labirinto dei vicoli di Istanbul dove don Crocifisso vive da schiavo, e tanti altri episodi ancora. Alla fine proprio a Istanbul tutti i personaggi principali si incontrano: Consalvo si risveglia per il miracolo di don Crocifisso, suor Trafitta decide di non rivelare il contenuto dell'ultima visione profetica al sultano, don Crocifisso si crocifigge da solo poiché nessuno vuole accontentare la sua sete di martirio. Ma questi sono soltanto alcuni dei molti momenti del romanzo: che ha significato e valore proprio nella ricchezza fastosa e grandiosa degli episodi, nell'enorme schiera dei personaggi, tutti fissati icasticamente in un tratto, in una battuta, soprattutto nel male che ne corrode il corpo e l'anima (e questo è un carattere perfettamente barocco della narrazione). Il romanzo di Silvana La Spina finisce a essere la narrazione della non storia, pur con tutti i nomi e le situazioni storiche che vi sono dentro (come, fra gli altri, il processo e il rogo di Giordano Bruno): delle infinite vicende che si possono sognare o «vedere» per privilegio di veggente accanto e intorno a quanto effettivamente è accaduto. E' la rivincita dell'invenzione della letteratura, grandiosa, universale, capace di coinvolgere vita e morte, tragedia e farsa, contro la storia tanto più muta e povera. Il risultato è, allora, fra i più alti di questi tempi (e non soltanto di questi). Giorgio Bàrberi Squarotti Silvana La Spina Un inganno dei sensi malizioso Mondadori, pp. 281. L. 29.000 LE DUE CITTA' Varsavia '43: ghetto e amore nel romanzo di Frediano Sessi CHE cosa vale un uomo che tace, che non sa dare un nome alle cose, come potrà rendere giustizia?». Dopo II ragazzo celeste e Ritorno a Berlino, il nuovo romanzo di Frediano Sessi, L'ultimo giorno, appena edito da Marsilio, continua il suo dialogo con la tolleranza e l'impegno. Nei romanzi di Sessi, quarantaseienne, curatore di molti libri d'argomento ebraico, dall'edizione italiana definitiva del Diario di Anna Frank al ghetto di Varsavia, c'è sempre una riflessione sul vivere semplicemente civile. I suoi personaggi sono protagonisti di eventi più o meno distanti che ci dicono - senza enfasi qualcosa di molto vicino. La memoria che diventa la chiave di lettura del mondo circostante. L'ultimo giorno è appunto ambientato quasi per intero nel ghetto di Varsavia, tra il febbraio e il marzo del 1943, poco prima che i nazisti ne inizino la liquidazione totale. Nel passaggio continuo del muro che sancisce la netta separazione tra la città ebraica e l'altra città - frontiera vergognosa e inumana - un gruppo di resistenti dà testimonianza di quel coraggio di vivere che vale non solo per la giustizia di un momento. La storia non è propriamente nuova. Né è nuovo il modo di narrarla. Ma il romanzo si regge su una felice sobrietà di situazioni, su una onesta e quasi didattica precisione di figure e di linguaggio, che ne rendono consigliabile la lettura. C'è un'organizzazione ebraica di combattimento, ci sono dei militanti, e tra questi un medico di grande umanità, Janusz Korczak; una ragazza coraggiosa e innamorata, Chaia; un ragazzo forte e intraprendente, Iozef. E poi c'è tutta una serie di personaggi di contorno: un nonno, un capo, una sorella, un amico, tanti bambini da salvare e soprattutto la città sotterranea della rete fognaria, il labirinto dei collegamenti, le mosse le prudenze le paure le astuzie e le sofferenze di un universo in lotta. «Questione privata» (piccola citazione del romanzo di Beppe Fenoglio) e storia pubblica s'intrecciano dentro la vicenda di un amore vissuto più dentro che fuori, appeso all'incontro di una sera, alimentato dalle parole di una lettera scritta con qualche patema, accudito tra gli alti e i bassi di una vita difficile, incerta, braccata. E rimasto inespresso per tante ragioni, ma forse soprattutto perché solo le illusioni forti possono infrangere, insieme con il muro della segregazione, il muro ancora più letale dell'indifferenza. C'è qualcosa di straziante nell'incontro che anche quando potrebbe esserci non c'è. Ma la storia non è meno vitale per questo. Alla fine di un percorso diverso da quello vagheggiato si può imparare che oltre la disperazione c'è il coraggio. Il ritorno di Chaia sui luoghi della memoria più intensa e drammatica diventa allora una rivisitazione necessaria, il giusto epilogo dentro l'unico spazio da cui la vita - rimasta dentro di lei come sospesa - s'indovina che possa finalmente ripartire. Giovanni Tesio Frediano Sessi, L'ultimo giorno Marsilio pp. 178. L. 20.000 SOCIE SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE TORINO L. Giussani Il rischio educativo Come creazione di personalità e di storia Religione, pag 208. ni., L. 21 000 Il volume raccoglie alcuni testi di don Giussani destinati agli educatori e a chi ha responsabilità di qualsiasi genere nei confronti dei giovani. A lare da filo conduttore è un concetto di educazione intesa come introduzione alla realtà totale nella libertà. La proposta di don Giussani è innovativa, centrala com'è su parole quali «ragione», «tradizione», «verifica », « presenza autorevole » che non rimandano unicamente a una dimensione cristiana dell'esistenza ma fondano soprattutto l'uomo «morale», che attribuisce alla propria esistenza un obiettivo ultimo che la carica di significato. LuiSÌGi„sSani 'Attoria Un giovone sfida il mondo e soprattutto se stosso por avere più equilibrio 0 più armonio nelle azioni; por dire a chi lo ama che lo bellezza è conveniente. Un romanzo di idee che, scorre come uno poesia. GENNARO COSTANZO RIPOSTES EDITORE 190 Pag. £ 13.000