FUORI DALLA NICCHIA «Piccolo è bello» non è più di moda, anzi è un rischio. Ma come e quando crescere?

FUORI DALLA NICCHIA FUORI DALLA NICCHIA Piccolo è bello» non è ai più di moda, anzi è un rischio. Ma come e quanto crescere? i P«i VANNO, vengono, ogni tanto si fermano...: son come le nuvole di Fabrizio De André, i piccoli editori. Il loro è da sempre un cielo capriccioso. Adesso, un paio di fulmini (il divorzio di Paolo Repetti da Theoria, l'uscita da Anabasi di Maria Giulia Castagnoni e Sandro D'Alessandro), tanto basta perché si torni a temere la burrasca (appena è passata quella del '93). Giuliano Vigini, il nostro maitre à compier, già nel Rapporto 94 sulla piccola editoria aveva intravisto una «parabola discendente», ora dubita che a dicembre, quando si faranno i conti, molti rischino di «chiudere baracca e burattini». Esagerato? Dall'osservatorio di Belgioioso - dove un centinaio di micro, piccoli e medi editori si riuniranno oggi e domani per mostrare e vendere le loro novità, alla settima edizione di «Parole nel tempo» - Guido Spaini consiglia di aprire l'ombrello senza spaventarsi: «La crisi non è di per sé negativa. Chi ha mezzi e intelligenza sopravvive c se no pazienza. Peggio per chi ha peccato di snobismo, chi ha scovato un bel titolo e non è stato capace di venderlo. Stampare un libro è la cosa più semplice, è appena l'inizio: poi devi cercarti i lettori, ben oltre la libreria». Qui, è naturale, il brioso Spaini, 39 anni, manager bibliofilo, nipote del germanista Alberto traduttore di Kafka, porta farina al suo Castello, dall'88 florido modellino di fiere-mercato. Nel contempo lancia una sfida oggettiva: «Non è sufficiente coltivare nicchie: quanto più si rivelano appetibili, arrivano i grandi editori e se le spazzano, gli incrociatori sbaragliano i vascelli. Piccoli si nasce, ma poi si deve volere, e sapere, crescere. Urge una cultura d'impresa». Insomma, basta con il complesso di Peter Pan, il «piccolo è bello» degli Anni 80. Facile a dirsi. Il problema sta proprio nel quanto e nel come crescere. Cominciamo dal quanto. Il caso Anabasi (ufficialmente «continuerà in forma ridotta», ma tanti vociferano di una inevitabile chiusura) sta lì a dimostrare gli eccessi dell'ambizione. Ammette Maria Giuba Castagnoni: «Non siamo stati abbastanza oculati e prudenti, non abbiamo calibrato i mezzi con i desideri. Volevamo essere subito medi editori, conquistare d'impeto un nostro visibile spazio. Di qui gli oltre 60 titoli del '94». Troppo veloce la corsa, inevitabile lo sbandamento. L'esatto contrario di quel che ha fatto il pur ricco e giovane torinese anglomane Gianni Borgo alla guida di Instar, 7 titoli in tre anni, tirature medie di 5-6000 copie (il doppio per il minibestseller Merlino), 400 milioni di fatturato: «Consapevole gradualità, nessuna tentazione megalomane, inventare e curare titolo per titolo fino all'ultimo partico- me, i soldmercato mo andaFranz voCastelvec'93 -. Antanti, un e mezzo d'impresarifare in un lavoropartito cofatturo 50Mi è andmale. Chisoldi, favole: i liBot. Le muoionomi. Non compiaccun genio,monieri che han fdi là dei nostra edti, Spagnventato gpatrimontori dispque vada me, i soldi e le idee, si legano. «Il mercato non perdona e dobbiamo andare tutti a lezione da Franz von Tato - incalza Alberto Castelvecchi, 33 anni, editore dal '93 -. Anabasi i soldi li aveva e tanti, un capitale di un miliardo e mezzo bruciato in un progetto d'impresa sbagliato, la pretesa di rifare in un anno la Feltrinelli, un lavoro di quarant'anni. Io son partito con 30 milioni, adesso ne fatturo 500 e punto al raddoppio. Mi è andata bene. Può andarmi male. Chiuderò. Se fosse solo per soldi, fare l'editore è irragionevole: i libri rendono meno dei Bot. Le imprese nascono e muoiono. Non facciamo drammi. Non piango per Theoria, mi compiaccio per l'amico Repetti, un genio, uno dei rari giovani timonieri con la stoffa di quelli che han fatto trasversalmente, al di là dei marchi, la storia della nostra editoria: un nome per tutti, Spagnol. Adesso Repetti è diventato grande, un capo, con un patrimonio di credibilità e di autori disposti a seguirlo. Dovunque vada, si riaprono i giochi. Sopra, (!. Sjmini otgcinizzalorc di Belgioioso. Sotto, (la sinistra Paolo lìcpetti rMario (inamidi Ogni crisi è dinamismo». Castelvecchi ha coniato per la propria casa editrice lo slogan «laboratorio dell'evoluzione»; auscultare i microsegnab, individuare alla stato nascente «le innovazioni, tecnologie e stili di vita, identità sessuali e subculture antagoniste». Anticiparle e lasciarle appena per gli altri diventino una moda (vedi i cyborg): «Oggi il consumatore è più che mai volubile, le generazioni cambiano a minuti, il fiuto è il nostro conto in banca». Dunque, tutti «fuori dalla nicchia»? «Calma e gesso», ribatte Marco Zapparoli. La sua Marcos y Marcos non «sventola la bandiera della specializzazione, cerca di costruire un catalogo vivo, una piccola famiglia, un contratto di fedeltà tra lettori e autori (Fante, Vian, Bichsel). Restare a galla è possibile, anche se nessuno trabocca salute. Se non cresci sparisci, se ti allarghi troppo scoppi di rese». Uscire dalla nicchia è ancor più difficile per chi lavora al Sud, come dall '85 Piero Manni insieme alla moglie Anna Grazia D'Oria: le distanze, non solo geografiche, raddoppiano costi e fatica. Il bilancio di famiglia si fa quadrare con due stipendi da insegnanti, lei al mattino, lui al pomeriggio nel carcere minorile di Lecce; per quello della casa editrice non è bastato l'appoggio di nomi illustri da Fortini e Volponi a Maria Corti e Balestrini. Ora si spera nell'accordo commerciale con Lupetti, si punta sul pamphlet {Il processo Andreotti di Carmine Fotia e Giovanni Pellegrino). Alla nicchia del cinema si aggrappano Le Mani di Carlo Alberto Bonadies, affiliata a una ditta di arti grafiche, la MicroArt's: «Progetto e costi artigianali, 20 titoli dal '93, qualche soddisfazione e molta fatica per conquistare spazio in libreria, per rendersi riconoscibili, quasi impossibile concedersi il lusso di amori narrativi, com'è stato per noi Bove». Anche Pratiche, passata dal gruppo Elemond al Saggiatore, corre bene su due soli binari, il cinema, la biblioteca del medioevo: «Ma da solo il marchio non ti garantisce più - ammette Susanna Bosclu -, non arrivi oltre chi già ti conosce. La battaglia si fa ormai titolo per titolo». Cosi Iperborea ha allargato i confini, scendendo dai monti scandinavi alle piane olandesi e giù alle spiagge del Belgio. E le edizioni e/o non vivono più di solo Est: «Si procede a vista - conferma Sandro Ferri -, ogni libro è una scommessa, non ci sono formule sicure. Non ho mai creduto ai pochi libri per poche persone. E' indispensabile cercare nuovi sentieri, agire in piccolo ma pensare in grande. Certo è dura far quadrare il progetto e i conti, in momenti come questo di grandi concentrazioni imprenditoriali». A meno di collaborarci, con «i grandi». Ci sta provando Mario Guaraldi, un contratto di scouting (e un accordo di distribuzione) con Mondadori, avvio sperimentale di una «necessaria sinergia» tra creatività e impresa: «Da sempre considero la piccolezza una grazia, e una vocazione. Fu così nel '68, pur con tutte le illusioni di onnipotenza di quell'epoca. E' così oggi, nel mezzo di una crisi radicale di valori, prospettive, ruoli. Il piccolo editore rimane per definizione uno che cerca. Un'antenna esterna preziosa per i grandi. Specie se come me vive in periferia, e viene a contatto con persone e realtà ai margini, perché ignorate dai circuiti culturali o volutamente nascostesi, preferendo il fuori gioco alle regole del gioco. Terreno fertilissimo, per grandi e piccoli, ricco di fermenti come cercheremo di dimostrare al convegno di giovani scrittori a Colorno il 30 settembre, che domani presentiamo proprio a Beigioioso» Un incora che sarebbe piaciuto y. chi di -icoutSisg astata insostitul(ft; maestra, Grazia Chcrchl, t)ÈW5»piocau editori preziosa, anche se aspra, eompeg***. t_ di strada. A Belgioioso non mancava mai. Ed è un peccato che il suo concittadino Spaini non abbia pensato di dedicare qualche «parola nel tempo» proprio a Grazia. Una che non nicchiava. Luciano Gerita lare, anche, soprattutto, grafico. Pensare un catalogo piccolo ma a 360 gradi, senza specialismi: libri intelligenti per un pubblico ampio, nel solco della alta "divulgazione" di scuola inglese. Autori e titoli contemporanei, non mi interessa ripescare ciucche, ripulire fondi di cassetto. Molto meglio aprire ogni volta finestre nuove (ora ad esempio guardo al Giappone); essere agili, veloci; avere personalità, mentre l'editoria dei grandi diventa anonima, roba da funzionari». E qui veniamo al come crescere. Paolo Repetti ha lasciato solo a Theoria Beniamino Vignola proprio per «incompatibilità di futuro». Lui pensava a una fucina di talenti letterari. Vignola gli riconosce meriti e belle intenzio¬ ni (l'amicizia è più che salva), si accolla il ruolo del ragioniere cattivo: «Fare bene i conti comportava una ridefinizione del progetto. Preferisco questo rischio alla certezza dei debiti». Smentisce di voler «chiudere la narrativa e buttarsi sull'informatica», rivendica per sé la scoperta di Lodoli, l'idea di costruirgli intorno una collana, il «taglio einaudiano» fin dalle origini. Vuole sondare e approfondire tematiche emergenti - volontariato, immigrazione, religiosità e misticismo - e qui cogliere nuovi segmenti di mercato. Per diventare più donzelliano? «Non ci ho pensato. Comunque, preferirei accompagnarmi ad autori e lettori piii giovani, meno noiosetti» Come si vede, il quanto e il co- Curcio, Sgarbi e tante collane

Luoghi citati: Belgio, Colorno, Giappone, Lecce