QUESTA MENTE FATTA A STRATI di Tiziano Terzani

MAL D'ASIA MAL D'ASIA Terzani, i viaggi di un grande innamorato in una terra che si suicida giocosamente Tiziano Terzani. grande ir/rifilo speciale. nell'Est asiatico infatti, è l'idea (non il «pretesto» o, peggio, «la trovata»). Moravia, scrittore-viaggiatore immenso, mi spiegò, un giorno, sotto i portici del Caffè Italia di Sabaudia, l'abissale differenza tra l'idea, il pretesto, la trovata. Il pretesto è l'ombra, la trovata il buio, l'idea la luce. Ed è veramente una luce pulita, la luce medianica del Laos immacolato, la luce di Mandalay tra una pioggia e l'altra, la luce del Sikkim, la luce della speranza, la luce millenaria del deserto che custodisce Palmyra, la luce ostinata della fede nell'uomo (se vogliamo) a illuminare questo libro-viaggio di Terzani. La bellezza dei cimiteri Un percorso inedito attraverso la gioia e il dolore, l'intelligenza e la cretinità, attraverso la bellezza dei cimiteri che parlano sereni a chi sa ascoltarne le voci, attraverso la gloria dei bambini e dei vecchi, casti custodi di una celeste innocenza, attraverso la Terra. Anche se martoriata, come la terra del Vietnam centrale: «Non una sola costruzione dell'epoca coloniale, non una pagoda, non un villaggio è rimasto in piedi. Tutto è stato spazzato via dal costante terremoto delle bombe americane. La natura stessa ha perso la sua fisionomia. La foresta è diven- QUESTAMENTE FATTA A STRATI UN criterio che si è spesso dimostrato utile per affrontare lo studio del comportamento umano, incluso il pensiero, suggerisce di partire dai comportamenti disturbati, non normali, in qualche modo considerati patologici. Il vantaggio di questo approccio è che in un comportamento disturbato, o anche decisamente patologico - fatta salva la scelta d'ognuno di vedere nella patologia un disturbo grave, o nel disturbo una leggera patologia - molte componenti emergono con particolare evidenza. In questa prospettiva il comportamento non normale appare semplicemente come una esagerazione della normalità, un suo esasperato prolungamento, in cui vari caratteri di questa, di solito non facilmente osservabili, diventano maggiormente visibili. Forse non era questo il suo intento originario, ma l'intera opera del cileno Ignacio Matte Bianco, scomparso ottantasettenne pochi mesi fa a Roma, dove per lunghi anni ha svolto la professione di psicoanalista, appare convergere precisamente in tale direzione. Le sue radici affondano nella pratica psicoanalitica, il severo confronto quotidiano con individui in conflitto con sé e con il mondo (o, se si vuole, con individui che hanno scelto di portare i propri conflitti con sé e con il mondo dallo psicoanalista I. Il tronco è un raffinato quanto poderoso sforzo di teorizzazione dell'inconscio, che ha avuto forse il punto culminante in L'inconscio come insiemi infiniti, apparso giusto vent'anni fa. Infine teoria e pratica clinica si ricongiungono esplicitamente in Pensare, sentire, essere, un libro scritto al vertice d'una lunghissima carriera (l'originale inglese è del 1988) che affina su vari punti la prima ma ricorre ad abbondanti esempi della seconda sia per illustrare quella con rara efficacia, sia per indicare la strada che porta in direzione d'una teoria generale del pensiero. Secondo il modello costruito da Matte Bianco, la mente è fatta a strati Ogni strato si distingue per la diversa combinazione di due tipi di logiche, sempre presenti nel linguaggio, nel ragionamento, nel sogno, come nel complesso di un'azione. Nello strato più vicino alla coscienza predomina la logica classica, razionalistica, fondata sul principio di non contraddizione: se A contiene B, ovvero se B è una parte di A, non è possibile che B contenga A. Nello strato più vicino all'inconscio si afferma invece una logica fondata sul principio di simmetria, in base al quale tanto la proposizione «A contiene B» quanto la proposizione «B contiene di A» possono apparire al soggetto contemporaneamente vere. Si noti che in questa chiave la seconda è pur senpre una logica in senso stretto, di cui Matte Bianco, partendo dal suo lavoro di psicoterapeuta, ha ricostruito con metodo rigoroso gli elementi e le regole fondamentali. Nessuno degli strati della mente comprende una sola logica. Non esiste comportamento razionale dal quale il principio di simmetria sia totalmente escluso, cosi come non si ritrova alcuna forma di pensiero dominata esclusivamente dal pensiero simmetrico. Perfino nel sogno più scombinato - dal punto di vista della logica classica - la maggior parte degli oggetti appare seguire leggi della fisica e della biologia: i mobili stanno fermi se nessuno li spinge, le persone camminano con i piedi e non con la testa, «Pensare, sentire, essere» la bi-logica del cervello: teoria e pratica clinica, psicoanalisi e biologia negli ultimi scritti del cileno Matte Bianco cani e gatti hanno per lo più quattro zampe. Tutto il comportamento e il pensiero umano risultano così biòere ùitrinsecamente bi-logici, anche se la logica classica predomina nel pensiero e nell'azione cosciente, mentre l'inconscio è piuttosto il regno della logica che identifica la parte e il tutto e nega il principio di non contraddizione. D'altra parte proprio questa era già, in sintesi, la concezione dell'inconscio di Freud, alla quale Matte Bianco dichiara di continuo di volersi collegare. Simile modello d'una mente stratificata, in funzione del particolare intreccio dei due tipi di logica che è dato osservare in essa, ha importanti implicazioni sia per la terapia, sia per lo sviluppo d'urna epistemologia naturalistica. Sul piano terapeutico lo scopo diventa quello di equilibrare la presenza delle due logiche nelia mente del soggetto, piuttosto che reprimere l'una o l'altra. Una mente dominata esclusivamente dalla logica razionalistica è una mente squilibrata, così come lo è, per opposte ragioni, una mente in cui prevale la logica alternativa. Sul piano epistemologico, più precisa- Malle li/anco, scomparso pochi mesi fa a Roma a STanni. Ita scolto a lungo la professione di psicoana/isla mente sul piano dello studio empirico o naturalistico dei processi cognitivi, l'opera di Matte Bianco rafforza la posizione di coloro che vedono nel ragionamento scientifico quello reale che si osserva al lavoro nei laboratori, non quello ricostruito dai manuali - una combinazione controllata di pensiero logico e di immaginazione archetipica. Il primo non è atto, da solo, a produrre conoscenza più di quanto lo sia la seconda; la quale non è quindi ostacolo da rimuovere, come sosteneva Bachelard (in La formazione dello spirito scientifico, di cui abbiamo parlato in queste stesse pagine poche settimane fa), bensì un complemento necessario. L'ulteriore affinamento della teoria dell'inconscio e con esso della mente in generale, con le ricadute terapeutiche ma anche culturali che si diceva, non sono il solo elemento d'interesse di questo libro. Avvincenti sono la trentina di esempi che l'autore porta dalla sua attività quotidiana - e semisecolare - di psicoanalista, facendo seguire ciascuno da una breve analisi dell'intreccio di bi-logica che lo caratterizza. Sono comportamenti verbali e non verbali, sogni, frammenti di storie di vita, talmente coloriti e intricati, così immaginosamente creativi, da far riflettere sulla singolare qualità umana dei pazienti di Matte Bianco, non meno che sulla eccezionale capacità di questi di far emergere la loro umanità. Un segno di come la terapia, al pari della conoscenza, sia anzitutto una forma di dialogo. Luciano Gallino Ignacio Matte Bianco Pensare, sentire, essere Einaudi pp. 398. L 65.000. tata uno sterpaio e ancora oggi è rarissimo sentire il grido di un uccello». Il lettore avrà capito come e quanto questo libro mi abbia folgorato sulla via del mio inesausto viaggiare alla ricerca dell'uomo (nel suo giusto spazio). Sarà anche perché Terzani viaggia Paesi che io stesso ho viaggiato (ed amato), ognuno dei quali mi ha lasciato dentro una cicatrice non cattiva; sarà quel che sarà ma un fatto è certo: giudico Un indovino mi disse un libro che sfiora la poesia raccontando una, due, trentasette vite e le case e le strade, e i porti, e gli indovini (uno per ogni luogo visitato o rivisitato) e i sogni e il silenzio del mondo. Un libro che le (troppe) scuole di giornalismo dovrebbero adottare (insieme col Manuale di Alberto Papuzzi) come testo d'obbligo. Qualcuno a proposito di Tiziano Terzani ha parlato di Hemingway, di Bruce Chatwin, io ho osato scomodare addirittura Heine e Goethe. Ma se parlassimo semplicemente di «inviato alla Terzani»? Al quale Terzani vorrei muovere un (sommesso) appunto e porgere un aneddoto (consolatorio). L'appunto: l'uso smodato, direi provinciale, del punto esclamativo che, presumo, gli venga dallo scrivere (anche) in tedesco. L'aneddoto. Ad un certo momento del suo fluviale libro bellissimo, turbato dai guasti che il progresso arreca alla sua Asia, Terzani scrive che «modernizzazione vuol dire occidentalizzazione e con questo l'Asia perde ora definitivamente la coscienza di sé. C'è per me qualcosa di tragico in questo continente che così giocosamente (?) si suicida». André Gide a Taormina Quarantotto anni fa, al bar dell'Hotel Timeo di Taormina, André Gide disse al giovanissimo sottoscritto: «Mi accora il suicidio imbecille della Sicilia. Mi indigna vedere che stanno uccidendo Taormina: adesso, merde, anche il telefono si è messo a funzionare». (Testuale). Sono passati a momenti dieci lustri e Taormina è sempre lì, più bella che mai a dispetto della lebbra del cemento armato e del traffico. E' vero, caro Terzani, che l'aria condizionata ha omologato Singapore a un obitorio per vivi epperò finché esisterà un filo d'erba (e un indovino intelligente) l'uomo potrà salvarsi. Dovunque. Igor Man Tiziano Terzani Un indovino mi disse Longanesi pp. 429. L. 30.000 IL NEGUS PIÙ' DISCUSSO /■V UELLA di Hailé SelasM sié, imperatore d'Etiojflf A pia. e stata la vita di un fl H principe cristianamente ■ machiavellico. Non si I tirò mai indietro di ■ H fronte alle regole del ■B W potere e alle sue durez- « W ze, ma lo fece sempre con un alto senso della Il propria missione storica e politica, il cui saldo nucleo etico e spirituale gli era dato dalla sua sentita coscienza di cristiano copto. Il Negus. Vita e morte dell'unico re dei re di Angelo Del Boca, noto storico della colonizzazione italiana in Africa, è stato tra i più discussi dell'estate. Perché in molte sue pagine, il libro non è solo storia dell'Etiopia, ma anche una «brutta» storia dell'Italia. Tafari Maconnen, colui che, dopo essere stato uno dei ras dell'impero etiopico, ne divenne il sovrano assoluto col nome di Hailé Selassié I, era una grande personalità. La sua via al trono non era stata certo facile. Dovette fare i conti con l'ostilità della moglie di Menelik, Taitù, verso la sua famiglia. Ma il maggiore ostacolo fu l'ascesa al trono del nipote di Menelik, Ligg Jasu, che venne però eliminato dopo un risolutivo scontro politico-militare nel 1916, sotto l'accusa di voler scristianizzare il Paese e renderlo islamico. A questi successe Zaoditù, figlia di Menelik; e Tafari, il cristiano allora gradito alle potenze europee, divenne erede al trono e reggente. Tafari teneva ormai le redini del potere. Iniziò un'opera volta a modernizzare, seppure assai relativamente, il Paese. Lo schiavismo venne bandito; l'esercito fu riorganizzato. Nel 1923 l'Etiopia entrò a far parte della Società delle Nazioni. Nel 1928 un trattato di collaborazione e amicizia legò l'Etiopia all'Italia. Si trattò del coronamento di una sapiente politica internazionale. Finalmente nel 1930 Tafari diventò formalmente imperatore. Nel 193! egli concesse una costituzione, creando un Parlamento non elettivo composto di dignitari chiamati a fargli da consiglieri. L'opera cautamente modernizzatrice venne interrotta nel 1935 dalla guerra voluta da Mussolini che, vanificando il trattato del 1928, aveva sviluppato una vasta opera di sovversione interna all'impero. Del Boca racconta in maniera stringata ma efficace le vicende dell'ultima delle grandi guerre di conquista coloniale; mette in luce la fermezza del Negus che combatté persino di persona; ricorda le atrocità commesse dal fascismo, la vana protesta dell'imperatore alla Società delle nazioni. Al ri¬ torno dell'esilio ad Addis Abeba nel 1941, il Negus invitò i suoi sudditi non si può non ricordarlo - a non esercitare la vendetta verso gli italiani, di cui voleva la collaborazio- 4 ne. Finita la guerra mondiale, Halié Selassié restò al potere ancora per un trentennio. Egli si destreggiò nel mondo diviso dalla guerra fredda, mirando a rafforzare la difficile unità interna del suo Paese. E giunse, con il vertice di Addis Abeba del 1963, ad occupare un posto di grande prestigio tra i leaders africani allora dominati dall'ottimismo circa il futuro del loro continente. Ma proprio in quel periodo il Negus commise - dice Del Boca - «il più grave errore della sua lunga carriera di statista» in relazione alla politica verso l'Eritrea, con cui l'Etiopia nel 1952 aveva stabilito un vincolo federale. Nel 1962 l'imperatore abolì tale vincolo e ridusse l'Eritrea a provincia. Ne doveva derivare una guerra repressiva senza uscita, che corrose in maniera decisiva il potere del vecchio Negus. Della terribile carestia del 1973, che fece centinaia di migliaia di vittime, egli venne reso responsabile. Studenti e militari si unirono contro il trono. E nel settembre del 1974 Hailé Selassié fu detronizzato e quindi assassinato del vertice militare rivoluzionario. Le pagine della biografia del Negus scritta da Del Boca sono attraversate dal problema della valutazione storica. Del Boca conclude che il Negus rimase «sempre in bilico tra riforma e conservazione, senza mai operare una scelta risolutiva». Sennonché, aggiunge quando arrivarono al potere coloro che invece la scelta risolutiva la fecero senza esitazione, e cioè i militari marxisti, il risultato fu nientemeno che la «disintegrazione del Paese». In effetti, ci pare di poter a nostra volta concludere, il dramma dell'Etiopia, prima nella fase moderatamente riformatrice del Negus e poi in quella rivoluzionaria dei militari, è stato il dramma dei Paesi fortemente arretrati i quali, schiacciati dal confronto con il mondo sviluppato, da questo mondo hanno ricavato modelli e obiettivi senza essere in grado di mobilitare risorse materiali e intellettuali adeguate. Così che la modernizzazione moderata è risultata insufficiente e quella accelerata troppo spesso del tutto distruttiva. Massimo L. Salvadorì Angelo Del Boca Il Negus. Vita e morte dell'ultimo re dei re Laterza, pp. 394. L. 35.000. È > )