«IN NESSUN CASO PARLEREI DI ME»

«IN NESSUN CASO PARLEREI DI ME» «IN NESSUN CASO PARLEREI DI ME» Trieste, 1 Marzo 1926 1«.|GREGIO Signore (Ferrieri In.d.r.l, sono qui tuttavia r| miracolosamente per l'acI l coglienza ch'Ella mi riservò A^Jdopo di aver viaggiato un po' agitato dalla proposta che tanto m'onora e ch'Ella mi fece. Cominciavo ad adattarmivi e a viverci. Poi qualche espressione sul mio conto che trovai nei ritagli inviatemi dall'Eco della Stampa mi levò per il momento ogni desiderio e il coraggio di apparire in pubblico. Faccio meglio di restare nell'ombra. E non ho il tempo di rifarmi e di dedicarmi all'opera delicata di raccoglimento che dovrebbe preparare una cosa simile. Le propongo perciò di lasciare la cosa in sospeso fino all'inverno prossimo. Fino ad allora o sarò già di nuovo dimenticato o di me si parlerà ancora nel quale ultimo caso potrò presentarmi con tutta serenità, sicuro di trovarmi in famiglia, come Ella disse, e in una famiglia di cui i membri abbiano una grande indulgenza per chi farà del suo meglio ma sa eli non poter far bene. Ancora una volta grazie. Suo devotissimo Ettore Schmitz Trieste, 8 Aprile 1926 Egregio dottor Ferrieri, grazie mille per la cara Sua del 5. La Sua insistenza lusinga il mio amor proprio. Ma proprio non è cosa per me. Non è a 65 anni che si può abituarsi ad affrontare così immediatamente il pubblico. Tanto più che nelle ultime settimane non stetti troppo bene. Proprio non fa per me. Prima di scriverle per rifiutare provai anche . 1 destra Svevo, sotto Joyce Il carteggio Svevo - Ferrieri datato ll)2(>. sarà pubblicalo a ottobre da Lupetti - Marini con il titolo «Faccio meglio di restare, nell'ombra» y a predirmi dinanzi ad uno specchio. Una noia ineffabile cominciò ad incombere su me e sulla mia immagine. Ella gettò un germe che potrebbe svilupparsi. Forse l'inverno prossimo. In nessun caso parlerei di me stesso perché sarebbe un doppio esibizionismo. Se prossimamente avessi da passare per Milano mi permetterei di venir a stringerle la mano. Da mia moglie saluti cordiali. Suo devotissimo Ettore Schmitz Milano, 24 settembre 1926 Caro amico, se Lei persiste nella brutta deliberazione di non voler venire a leggere pagine proprie al «Convegno», perché non viene a parlare di altri? Di Joyce, per esempio, o di Freud? Sarebbe interessantissimo. Vede che io cerco tutti i pretesti per averLa qui. Molto cordialmente Enzo Ferrieri Un dubbio: «E come ci si veste per dire al Marsina? y l'orse prima mi farò convegno: Trieste, 18 ottobre 1926 Caro amico, grazie per la cartolina e grazie anche agli amici che la firmarono. Non di Freud vi parlerò ma di Joyce. Sto raccogliendo documenti sulla sua attività di Trieste. Credo di poter fare una cosa abbastanza interessante. E l'epoca? Bisogna lasciarmi il tempo. In Gennaio, io direi. Mi sono già messo al lavoro ma sono un lavoratore lento. Nelle prossime settimane vedrò meglio quando potrò aver finito e La avviserò... Suo devotissimo Ettore Schmitz Trieste, 9 Febbraio 1926 Carissimo amico, se Lei sapesse quello ch'è una conferenza uscita dalle mie mani! Dapprima sarebbe durata 3 ore. Dicono che i frequentatori delle Sue sale sieno d'indole mite. Ma non c'era da fidarsi. Tagliai ed ora - avendola rifatta tutta - si arriverebbe alla metà di quel tempo. Ma è troppo ancora pur ricordandomi che al Convegno non vidi una sola persona malvagia. Sono dunque occupato a tagliare e rifare. M'informai dagli eroi di questa piazza (Minerva) e mi dissero che lascia un buon ricordo di sé solo quel conferenziere che dopo 45 m. non lo è più. E come faccio? James Joyce e un uomo lungo. E come ci si veste per dire al Convegno? Marsina? Sia tanto buono di dirmelo stabilendo la serata per il mese di Marzo. Forse prima mi farò fare l'operazione di Voronoff di cui dicono che chiarisca la voce. Voglia ricordare me e mia moglie alla gentile Sua Signora. Suo devotissimo Ettore Schmitz LA CONFERENZA Non è pornografia Mi divertì sempre molto l'indignazione del Joyce per le sventure che gli toccarono. Scrive nel modo che tutti sanno ed in inglese, e si meraviglia. Ciò dimostra la sua perfetta buona fede. Da noi le discussioni sull'argomento sono della beata epoca della mia giovinezza ma temo che se si traducesse l'Ulisse rinascerebbero. Non c'è pornografia nel vero senso nel Joyce. Ben altrimenti che nei naturalisti che lo precedettero le descrizioni che si deplorano destano ribrezzo. Il suo biografo Erberto Gorman pensa ch'essendosi il Joyce staccato con immane sforzo da un sistema etico si ribellò nello stesso tempo ai codici e agli usi tradizionali. Ciò può essere tanto più vero quando si ricorda che il Joyce fu costretto dal destino a varie ribellioni per arrivare ad essere lui. Il Larbaud pensa che la sconcertante libertà di parola del Joyce sia dovuta all'influenza dei grandi casuisti gesuiti: Escobar e il padre Sanchez. Gl'inglesi con una smorfia di schifo pensano che molti irlandesi pecchino nello stesso senso: Swift, Moore, Synge. Certo se Y Ulisse fosse nettato da certe parole e da alcuni interi episodi non sarebbe più quello che è. Si deve accettare o respingere intero. [...] Uno di quei noiosi intervistatori come ne allignano specialmente oltre Oceano s'indirizzò al Joyce domandandogli: Perché deste a questo romanzo il titolo del poema d'Omero? Il Joyce rispose: - E' il mio sistema di lavoro. Il Joyce ama d'imporre alla propria ispirazione delle catene. Lui il fantasta e il ribelle è il vero maestro della disciplina, una disciplina fantasta e ribelle. Come da Omero questo romanzo è distribuito in diciotto episodi di cui i primi tre sono la Telemachia, dodici l'Odissea e i tre ultimi il ritorno. Sono coteste delle catene che non stringono abbastanza, e al Joyce infatti non bastarono. Io vidi un piano grafico di questo romanzo, composto da uno scrittore francese, Benvist Méchin, secondo cui ogni episodio sarebbe anche dedicato ad una parte del corpo umano, poi ad un'arte, regolato da una teoria, e sarebbe soffuso anche di un dato colore. Non m'importa di occuparmi di tutto questo ma devo riconoscere che il lettore passando da episodio a episodio sente che il raccontatore in ognuno di essi varia d'umore. Non di fisionomia perché una sola linea di una pagina dell'Ulisse basterebbe a rivelare da quale penna fluì. Il Larbaud avverte che Ulisse è l'eroe che il Joyce amò e conobbe fin dalla sua prima giovinezza e perciò nel periodo della sua maggior forza creativa potè sognare di trapiantare il furbo figlio di Laerte nel mondo moderno. Fu forse immaginata una parodia dapprima. Oggi è un dramma a sé. La parodia si perde in confronto. Restano delle adesioni accompagnate da risate veramente omeriche. Italo Svevo

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