CANTAFIABE «L'usignolo» della Byatt: magie chiuse in bottiglia di Giovanni Tesio

CANTAFIABE CANTAFIABE «L'usignolo» della Byatt: magie chiuse in bottiglia Dopo «Possessione» un sogno che nasce in Turchia e altre storie fantastiche esiste, lo si istituisca al posto di qualcun altro) per la copertina più elegante dell'anno. Qui l'eroina è una narratologa inglese, entusiasta partecipante a convegni internazio¬ er esempo ferito gli spiegtennista nali dove esperti di tutto il mondo scambiano fiabe e commenti sulle medesime. La nostra narratologa è sulla cinquantina ed è appena stata piantata in asso dal marito (con un fax), che è andato a vivere a Maiorca con una venticinquenne; ma abituata a vedere tutto in una luce incantata, non se la prende troppo, e da britannica bene addestrata, conta piuttosto le sue fortune: in un'altra epoca una donna della sua età sarebbe morta o deforme, mentre lei grazie alla tecnologia ha occhi nuovi (laser), denti nuovi (capsule), accettabile salute generale, e per di più è in grado di compiere prodigi la gente nel tempo in cui le è stato dato di vivere vola su ali metalliche, scende sul fondo dei mari, mangia frutti fuori stagione, e insomma è circondata dai portenti. Così dopo avere fatto una scorpacciata di miti alla riunione del momento, che avviene in Turchia, la nostra Gillian Perholt (il cognome richiama uno degli affabulatori più famosi di ogni tempo) è matura per vivere a sua volta una fiaba, quando dalla bottiglia di vetro acquistata nel suk di Istanbul esce il fatidico genio o ginn, pronto a soddisfare tre desideri di colei che ha tolto il tappo. Ben consapevole della possibilità di rovinare tutto con una decisione affrettata, come accaduto in decine di favole a lei note, la nostra Gillian prende tuttavia tempo prima di decidere; e per fortuna trova nel ginn un interlocutore molto intelligente, pieno anche lui di storie da raccontarle, ma anche animato da una piacevole curiosità per il mondo in cui è stato sbalestrato dopo una prigionia secolare. Vi raccomando in par.icolare il suo contatto con la televisione dalla quale il ginn; pensa per un momento di liberare un piccolo prigioniero che vi vede, e che Gillian gli spiega essere invece un tennista a nome Boris Becker (qui ho un dilemma anch'io. L'aggettivo «sandy» è legato a «sand», sabbia, ma quando si tratta di capelli vuol dire rosso. Il campione tedesco è senz'altro rosso di pelo; eppure 10 non mi sento di adoperare la matita blu con i traduttori, che definiscono le sue ciglia «sabbiose». E voi?). Masolino d'Amico Antonia S. Byatt 11 genio nell'occhio d'usignolo trad. Anna Nadotti e Fausto Galuzzi Einaudi, pp. 116, L. 24.000 NALDINI SUL TRENO DELLE MERAVIGLIE TRE lampi, tre veloci ricordi d'infanzia introducono Il treno del buon appetito, il libro di memorie che Nico Naldini ha appena pubblicato da Guanda, rifondendo anche qualche pagina già apparsa altrove. Titolo che prende spunto da uno di questi ricordi proemiali: un treno delle meraviglie (il direttissimo Vienna-Roma) fa sosta alla minuscola stazione friulana di Casarsa. La magnifica carrozza del wagon-restaurant squaderna tutto il suo lustro di «specchi e suppellettili scintillanti». Il bambino Naldini grida eccitato il buon appetito ai fortunati passeggeri. Quasi un rito che si ripete. Ma una sera accade l'imprevedibile. Un cuoco «tutto vestito di bianco», come l'angelo della Risurrezione manzoniana, salta giù dal convoglio, scavalcando i binari e porta a lui - proprio a lui - «un tesoro di dolciumi mai visti prima». Nell'episodio c'è tutta la magia di un fatto emblematico. La visione di un mondo mirabile e distante, lo sguardo estatico che lo contempla, la sorpresa fulminea e stupefatta e infine l'attesa che quanto è accaduto possa di nuovo accadere. E' la metafora della vita stessa e di questo libro che cerca di catturarne il senso intimo e segreto, raccontando in prima persona (un io che scrive non lontano dall'io che vive) i tanti sussulti o «stringimenti» del cuore, i moti e le ansie della seduzione omosessuale, gli amori diversi e diversamente attraenti, i segni minuziosi e minimi della bellezza che si rivela: gli sguardi che struggono, un indumento che balena, una maglia bellissima, una piega dei muscoli e della pelle, altrettanti segnali di epifanie annunciate e che «solo certi nervi» sanno percepire. Nomi di amori, tratti furtivi e silhouettes erranti di ragazzi con cui si ripetono il sogno e la nostalgia di un'innocenza impossibile, la lepre della vita che è sempre in fuga e che non concede cattura se non illusoria. Vito, Gianni, Attilio, Ferruccio, Sergio, Beniamino, certi soldati della Wehrmacht che si fanno inseguire con gli occhi vincendo ogni vergogna, ciò che è stato e ciò che non è stato lasciando di sé una scia luminosa e, forse, qualche rimpianto. Franca e a volte aspra confessione autobiografica, che non va in cerca di perifrasi, pur dichiarandosi lontana sia dal vittimismo sia dall'orgoglio omosessuale. Naldini disegna con mano felice tutta una galleria di ritratti o schizzi di persone viste nelle sue migrazioni da Casarsa a Trieste a Roma a Milano o magari al borgo pavese di Magherno dove per un po' di tempo gli è accaduto di prender casa. In pagine certo non incommosse e in qualche tratto non prive di polemica, primo fra tutti il cugino Pier Paolo Pasolini, di cui l'autore ha raccolto esemplarmente l'epistolario e si è fatto poi biografo. Ma anche Comisso e anche Parise, ambedue ripresi - al di là della crepa o desolazione ultima -, nel loro desiderio inesauribile di vita. Accanto a questi, tutto un fruscio di flash dedicati a Fellini e alla povertà dei suoi stimoli sessuali, a Moravia, a Biagio Marin, a Giotti, a Cattafi, a Sereni, a Gadda, a Penna, e quel suo mantenersi sempre «gaio e maligno, pigro e nevrastenico, un po' mendicante, un po' signore decaduto». Non degli «a parte» che decorano la pagina con qualche tocco di sublimità mondana e intellettuale, ma brani, squarci, lampi ancora una volta di vite altrui che s'innestano perfettamente in questo discorso quasi continuo sulla propria. Giunto al passaggio dei sessantacinque anni, Naldini continua a dire della sua vita, ancora e nonostante tutto imprevedibile, ciò che la vita direbbe prevedibilmente di sé. Che i suoi finali sono mille e che «solo la noia di aggiungere altri particolari può decidere della loro interruzione». Il treno del buon appetito continua dunque a correre sui suoi binari. Resta da vedere se potrà fermarsi ancora una volta. Se quel cuoco (o un altro) potrà rifare lo stesso balzo e offrire gli stessi dolciumi. Giovanni Tesio Nico Naldini Il treno del buon appetito Guanda pp. 141.L 19.000 LAURA RANGONI

Luoghi citati: Istanbul, Magherno, Maiorca, Milano, Roma, Trieste, Turchia, Vienna