LA DOLCE BARBARIE DEI POETI CAROLINGI

LA DOLCE BARBARIE DEI POETI CAROLINGI LA DOLCE BARBARIE DEI POETI CAROLINGI In uri antologia la «Rinascita» medioevale Dafni è subentrato David, incontriamo dichiarazioni di poetica, esecrazioni delle donne tentatrici, riscritture di episodi biblici, il monologo di una rondine, un elogio della calvizie tutto «in c»: «Canta, Camena colta, ai calvi un canto»... Si ricompone ai nostri occhi un intero mondo che non avremmo mai immaginato così accessibile e vivo. Un mondo da cui non sono certo estromesse le contese, e nemmeno le volgarità e i tratti più fecali dell'esistenza, benché tutto l'universo - rappresentabile all'occasione appunto come la testa di un calvo - sia interamente in assetto di verticalità, proiettato alla lettura teologica e morale. Prendiamo il grande Alcuino: ci lascia un epigramma da scrivere in una latrina. Metrica a parte, la cosa non ci stupisce ancora oggi; ma difficilmente un estensore odierno ricamerebbe, dai putrida stcrcora, un invito alla sobrietà della tavola e dell'intera vita. Da questi secoli sempre immaginati come barbari tralucono, pur fra le beghe, consuetudini umane e letterarie alte. Oggi ad esempio, se già è ristretto il numero di chi anziché telefonare scrive una lettera (senza parlare di chi addirittura risponde), rasenta l'impossibile riceverne una in versi. Non è cosi fra i dotti carolingi, presso i quali riprendere a distanza un dialogo interrotto spesso significa armarsi di pazienza, tecnica, fantasia e arricchire l'omaggio dell'attenzione col supplemento delle musiche e della poesia. Basti pensare allo stesso Valafrido; e constatare, già che ci siamo tornati, che è un poeta veramente notevole. Basta sfogliare il suo La coltivazione dei giardini, poemetto germogliato dal lavoro nel giardinetto della cella monastica. L'umile dedizione alle piante, la descrizione delle loro proprietà e delle cure loro necessarie lungo le fasi dell'anno... tutto ci scorre davanti con freschezza in un fiorire di immagini incantevoli: «Giungono infine a primavera piogge, / bagnano il campicello qualche volta .' ed accarezza alterna , dolcezza della luna esili steli»... Il curatore appunta che questa modesta esperienza contingente ci si presenta come «esistenziale e culturale insieme, rifugio reale e filtro poetico». I vegetali ne vengono umanizzati, e quando i primi colpi di rastrello del poeta-giardiniere ripristinano dal caos la prisca iuventus («giovinezza di un tempo»), il ge¬ sto «potrebbe assurgere a emblema di tutta l'operazione culturale della riforma carolingia». Ma prima di coltivare questo protrettico alle serene manovre delle innaffiature serali, Valafrido aveva «lanciato» un ben diverso genere poetico: quello della visione dell'aldilà, che mette capo al viaggio di Dante. In occasione di una malattia, l'anima del monaco Vettino si stacca dal corpo e guidata da un angelo visita i regni oltremondani. La accompagniamo nell'incontro con i sacerdoti che «mirano a rendite terrene», «strisciali nei palazzi del potere» e «sedotti dai piaceri / volteggiano in mezzo alle puttane». Naturalmente sono fra i dannati, e godono i benefici del futuro contrappasso dantesco, che non risparmia neppure lo stesso Carlo Magno: per la passata libidine, si ritrova fermo in piedi con un animale che gli strazia il sesso. Fortunatamente, passerà; e Carlo infine «occuperà felice quell'onore/ che Dio per lui dispose». Al contrario di Dante, sia qui come nel caso dell'abate Valdo, Valafrido non fa direttamente i nomi nel testo, ma li consegna con discrezione alla tecnica dell'acrostico, cioè alla lettura verticale delle singole lettere iniziali del gruppo di versi interessato. Come si vede anche da questi pochi assaggi, siamo di fronte a un libro pieno di sorprese, che si lascia leggere con grande gusto sia per il valore dei testi che per quello delle traduzioni - «moder ne» nel senso vero - che è quello di un rispetto raccomandato sia dalla venerazione sia dall'amore Quelle di Stella riassettano a colpi di genio i moduli spesso stereotipati dell'originale, in pose tali che i concetti possano sfolgorare in piena luce. Walter Lapini si muove con limpidezza adeguan do un gesto retorico morbido alla flessuosità dell'endecasillabo mentre Gianfranco Agosti sem bra prediligere le superfici ruvide, le voci aspre e i ritmi spezzati Si assiste a un festival della lin gua italiana anche nel commento, «musica di erudizione»: primo, per la chiarezza; secondo, per la lapidaria facoltà di sintesi; e terzo per la veste espressiva, oggetto di cura specifica e priva di vacue formule esibizionistiche. Fossimo ancora in tempo di vacanze potremmo considerare questo libro un'autentica parten za intelligente. Ma se nelle prossime sere avrete a noia gli ap prossimativi palinsesti tv ancora balneari, potrete opporre a Pippo Baudo e Amanda Lear la Vita Amandi di Baudemondo, o piut tosto l'estrosa resa poetica che ce ne offre Milone. Il santo Amando (cui una qualche attualità può derivare dall'esser stato vescovo di Maastricht) è qui alle prese con gli antenati dei cadetti di Guascogna e mena di suo pugno «vitali» stragi di infedeli; sempre che questi non gli si squarcino davanti spontaneamente per forza del demonio che albergano, come avviene a un attore invasato. Lo spettacolo, come si vede, e garantito. E anche in un giorno di pioggia, cinquantamila lire sottratte a sdraio ed ombrellone vi frutteranno in queste pagine un viaggio romantico in un lontano e bizzarro Medioevo, comodamente a casa o fra le arcate di un chiostro. Alessandro Fo

Persone citate: Alessandro Fo, Amanda Lear, Carlo Magno, Gianfranco Agosti, Milone, Pippo Baudo, Walter Lapini

Luoghi citati: Guascogna