MANDEL'STAM: GRIDA DI MORTE DALL'ESILIO

tuttolibri LA STAMPA Sabato 9 Settembre 1995 RICERCARE il senso del discorso poetico è come attraversare da una riva all'altra un fiume ingombro di instabili giunche cinesi variamente orientate: non si può ricostruire l'itinerario interrogando i battellieri, i quali non sapranno dirci come e perché siamo saltati da una giunca all'altra». Così, col suo stile quasi aforistico, scriveva il poeta russo Osip Mandel'stam (18911938) nel suo celebre Discorso su Dante. E questo stesso «camminare per giunche variamente orientate» è il senso del discorso poetico racchiuso nei tre Quaderni di Voronez, l'ultima raccolta del poeta che Mondadori presenta ora nei «Classici dello Specchio» (traduzione e note di M. Calusio, presentazione di E. Krumm, 246 p., 29.000 lire). Dopo un esordio legato, pur dialetticamente, al mondo del Simbolismo («matrice di tutta la nuova poesia russa»), Mandel'stam se ne distanziò rapidamente rifuggendo in particolare l'opposizione platonica apparenza-essenza su cui la poetica simbolista si fondava. Fu così, insieme a N. Gumilev e ad Anna Achmatova, tra i fondatori nel 1912 dell'acmeismo, un gusto V'IENE scemando la stagione in cui il «forte sole / traccia l'etere ardente passo a passo», si rientra alle case e ai nuovi libri. Fra questi, una ricca antologia dell'editrice fiorentina Le Lettere riduce la distanza che ci separa dalle voci dei principali poeti latini di più di un millennio fa: dell'età cioè che, da Carlo Magno, prende il nome di «carolingia» (VIII/IX secolo). Potreste anche essere tra i pochi fortunati che ancora leggono questo giornale sotto un ombrellone fra le grida dei bimbi che giocano in riva al mare. Nemmeno in questo caso però sarete troppo lontani da Grimaldo, antico maestro di uno dei più valenti fra questi poeti e da lui ritratto «mentre legge all'ombra di un pesco, fra le grida dei ragazzi che scherzano» (p. 492). Nell'era del quiz, è doveroso proporre di indovinarlo, questo poeta, magari tracciando sulla sabbia con uno stecchino qualche lettera (vinta via via con altri quiz) e tanti puntini quanti ne occorrano: VLF STRB..., e dopo vari codici fiscali l'intero nome, che oggi è poi Valafrido Strabone. Si giocava così sul litorale ligure negli Anni Sessanta, sebbene in verità con i nomi di calciatori o ciclisti; vigeva infatti anche allora l'interrogativo proposto da un medievista come Claudio Leonardi all'inizio della prefazione: «Quali nomi di poeti di questa grande stagione della civiltà europea, tra il secolo VI e XIV, è in grado di formulare un uomo di buona cultura? Forse nessuno». In questo suo libro, La poesia carolingia (testo latino a fronte, pp. 528, L. 55.000), Francesco Stella ritaglia un preciso periodo, di breve estensione ma grande importanza, e vi sovrappone una splendida lente d'ingrandimento. Affiorano così i brani più significativi di una «Rinascita» da Stella fermamente rivendicata per tale, che trova radice nell'«aspirazione di Carlo a una sapienza superiore e totalizzante» (p. 139) e dunque fulcro nella corte palatina del Sacro Romano Imperatore. I testi (con traduzione, dovizioso commento e un'esauriente introduzione generale) si presentano organizzati per sezioni omogenee, che corrono dalle riflessioni letterarie a Dio, dall'amicizia agli enigmi, alle parodie, alle preghiere. Prevale una «Poesia di consumo» nata da una concreta occasione contingente, ma temi e toni sono i più vari. Accanto a carmi pastorali in cui al mitico Diecianni/a inorimi Elsa Muniate. Amici, critici, scrittori Ir rendono omaggio nei ( 'oliierx Elsa Morante, a cimi ili .Meo Onagri e Tjiiaa NotutixirUilti (Edizioni Soltotmccia). l'uhblicliiaino in anteprima /xissi di alcune testimonianze (oltre a una leltent della Montate). Oggi stimano proclamali i rinatoli del premio l'incida. Isola di Arturo-Elsa Morante. AVEVO solo quindici anni quando ho letto Menzogna e sortilegio e ne sono rimasta conquistata. L'ho letto d'un fiato, ascoltando la sonata a Kreuzer; non so perché questo accoppiamento, ma la sonata era la musica che in quel momento mi stava più a cuore. A ancora oggi, se prendo in mano il bellissimo romanzo di Elsa, non posso fare a meno di risentire nelle orecchie le note della struggente sonata di Beethoven. Quando l'ho incontrata di persona, Elsa indossava un bellissimo vestito a fiori rossi e invitava gli ospiti a pescare nella cesta dei regali. Era un gioco natalizio che lei ripeteva ogni anno con gusto infantile e felice. In quel periodo era innamorata di un giovane americano che si chiamava Bill Moitow. Ne parlava a tutti, non era certo un segreto, come di «un angelo barbaro e tenero». Ma di lì a poco l'angelo, in preda all'euforia dell'eroina, si è gettato da un altissimo palazzo e anziché volteggiare nel cielo come si aspettava, è precipitato a terra sfracellandosi sul selciato. Da quel momento Elsa è rimasta chiusa in casa, al buio, per mesi, senza volere parlare con nessuno. Le uniche persone che accettava di vedere nella sua reclusione erano: Alberto suo marito e Giuseppe Cupane, un mio carissimo amico siciliano, diventato poi anche suo amico. Mesi dopo però, quando ha ricominciato a uscire e a rivedere gli amici, non ha voluto più incontrare il dolce e paziente Giuseppe che le era rimasto al fianco in quei mesi di lutto. Giuseppe ci è rimasto molto male, ma Elsa era fatta così; non era capace di mezze misure e diplomazie: quando le ragioni profonde, immediate, anche le più irrazionali, di un'amicizia venivano meno, te lo diceva in faccia e buonanotte. Aveva il culto della verità, anche quella più assurda e capricciosa, e qualche volta diventava perfino crudele. Ma di questa crudeltà non si compiaceva certo, anzi la prendeva come una necessità fatale, più forte di lei e dell'amicizia. Amavo ascoltarla parlare: era sempre eccessiva come nei suoi scritti, prediligeva le iperboli e le metafore. Ma la sua conversazione non era mai prevedibile: con lei ci si alzava negli spazi sublimi delle favole celesti. Nonostante fosse innamorata di Bill Morrow considerava il matrimonio come un sacramento da rispettare; perciò era contraria a divorziare da Alberto Moravia, anche se facevano vite separate. E non ha mai acconsentito al divorzio, nemmeno quando ormai lui ed io vivevamo insieme. Ma io non me la sono presa. Il matrimonio in quanto tale non mi interessava e se bastava quella fedeltà puramente formale ad accontentarla, perché no? Non a caso aveva voluto sposarsi in chiesa e aveva preteso che anche Alberto, sebbene laico, prendesse la comunione, per entrare a fare parte, con tutti i crismi, della grande cerimonia sacra che li avrebbe legati per la vita. Queste contraddizioni facevano parte del suo carattere, ma anche del suo modo di stare al mondo: la coerenza razionale non le sembrava uno scopo degno di essere perseguito. Il suo era un perpetuo accanito e straordinario tentativo di tenersi vicina al sacro. E i suoi libri ne danno testimonianza. Con me è sempre stata gentilissima e generosa: mi invitava alle sue feste pur sapendo che ero innamorata di suo marito, mi telefonava per dirmi che le era piaciuto un mio libro di poesie o un mio romanzo, mi coinvolgeva nei suoi giochi che erano sempre condotti con passione e festosità. Persino quando sono andata a trovarla all'ospedale dove era prigioniera di un letto e delle medicine, mi ha detto «giochiamo?». Allora si trattava di indovinare chi si nascondeva dietro le immagini. «Se fosse un frutto, che frutto sarebbe?», «E se fosse un aeroplano?». Io tuttolibri

Luoghi citati: Kreuzer, Sacro Romano Imperatore, Voronez