Byatt cantastorie di vetro

A colloquio con la scrittrice di «Possessione» che nel nuovo libro abbandona il romanzo e passa alle fiabe A colloquio con la scrittrice di «Possessione» che nel nuovo libro abbandona il romanzo e passa alle fiabe Byatt, cantastorie di vetro «Dante e Shakespeare i miei spiriti guida» «Oggi il vero Kitsch è la forma narrativa senza trama, sperimentale» SLONDRA NTONIA S. Byatt, tessitrice di intricate ossessioni intellettuali, si mette il manto del cantastorie e lo indossa a meraviglia. Dopo la detective story accademica di Possessione, così martellante da legare due coppie, una viva e una morta, in un vincolo quasi sessuale, la scrittrice più raffinata d'Inghilterra si dà alle fiabe. La sua ultima raccolta, Il Ge nio nell'occhio d'usignolo, in uscita da Einaudi, è di una trasparenza e leggerezza prodigiose. Il racconto che la chiosa è anche un inno alla mezza età di una donna, Gillian, che ha finalmente trovato se stessa nella solitaria libertà del pensiero e della professione. Possessione è il romanzo che è valso alla Byatt, 58 anni, il prestigioso premio Booker e che ha consacrato la sua abilità di catturare un più vasto pubblico di lettori. I suoi libri precedenti, come Stili Life, erano considerati più criptici, densi come non mai di riferimenti letterari: coincidevano con il periodo in cui la scrittrice insegnava all'università. Angeli e Insetti, due novelle successive, prefigurano il respiro gioioso di queste fiabe. Nel Genio, la statua di Artemide, dea della femminilità primigenia, incanta Gillian a Efeso e risveglia in lei la ràbbia per le prigioni della storia, che fanno desiderare alle donne di non essere nate donne. Non e arrivata subito, la scrittrice, alla fonila della favola. L'ha trovata a poco a poco attraverso il dolore: non è mai riuscita a superare la morte del suo bambino undicenne, travolto da un'auto nel 1972. Tutte le estati la Byatt scappa da Londra, dove vive con il secondo marito e tre figlie, per ritirarsi a scrivere in Francia, nel silenzio perfetto. Il suo bisogno di solitudine: lei ha sempre detto che è le essenziale. Piace star sola anche alla sua protagonista Gillian, un'intellettuale che trova un genio in un flacone e finisce per desiderarne l'amore: vuole la creatura perché le permette di restare sola in un mondo tutto suo? «Sì. C'è un mondo in cui le creature delle storie ci sopravvivono: ho passione sensuale per i ritmi altrui, e il bisogno di ricrearli». Quindi per lei la letteratura è un caleidoscopio: i pensieri altrui che si rifrangono nei suoi? «Esatto. Oppure è come avere dipinti bellissimi appesi .il muro o una sfera di cristallo: sono tanto pili luminosi di altre cose». Perché stavolta ha esplorato la forma della fiaba? «Quand'ero piccola avevo la sensazione chi? le fiabe fossero molto più entusiasmanti della vita; oggi ho fame di narrativa perché è parte della vita. Non come gli scrittori del nouveau ronian francese, che sembrano voler distruggere la narrativa per dare un'immagine del mondo in cui non c'è ordine o forma. Narriamo a noi stessi la nostra vita, tutti i giorni E poi mi interessa perche alla gente piace il lieto fine: è un bisogno umano, serve a sopravvivere». La fiaba è quindi la sua risposta a quelli che credono che avere una trama sia Kitsch. «Esatto. Anzi, oggi è la forma non narrativa, sperimentale, che è Kitsch. Raccontare storie è un'arte antica e meravigliosa: Omero, Virgilio, le Mille e una notte». Un paio delle storie di questa antologia erano contenute in «Possessione», un libro per il quale lei ha composto molte poesie, che, ha ammesso poi, «si sono scritte da sole». La magia si è ripetuta anche per queste favole? «Oh, si. Si è scritta da sola la seconda, la storia di Gode, che è venuta fuori come un archetipo ottocentesco che risale a Faust». Coinè la scrittura automatica che lei aveva descritto in una sua novella sullo spiritismo in «Angeli e insetti»? «Victor Hugo andava sulle isole della Manica e chiamava gli spiriti, e Shakespeare gli dettava delle cose. E' così anche per me, benché io creda che Hugo non abbia parlato proprio con nessuno, e che la sua mente fosse piena di Shakespeare, come la mia. Ma e diverso quando, come per esempio adesso, mi siedo a scrivere un romanzo di realismo sociale sugli Anni 60. Eppure anche questo libro contiene una favola, «Soltanto dopo la morte di mio figlio ho imparato a scrivere cose comiche» che viene poi processata per oscenità perché avrebbe potuto essere scritta dal marchese de Sade Quindi c'è una storia nella storia, di oppressione e liberta. Ma per scrivere lio un bisogno feroce della struttura della fiaba riesco a lare del realismo solo se posso fare favole allo stesso tempo». Lei una volta ha detto: conosco George Eliot (la grande autrice di «Middlemarch», ndrl meglio di mio marito. «E' vero. Ho letto quasi lutto quello che ha scritto e le sue lettere, e ciò che leggeva. Un marito ha la sua vita, e si ha un'intuizione di come sia coi suoi colleghi, ma sospetto che la mia intuizione di come era George Eliot sia più profonda e complicata. E lei non ha alcun rapporto con me, cosa che mi aiuta a vederla chiaramente con piii dislacco». Nell'ultimo racconto di quest'antologia c'è la descrizione divertita di una partita di Boris Becker in diretta televisiva. La tecnologia non sembra darlo per niente fastidio, anzi. «Mi piacciono i computer, la realtà virtuale e la televisione. E credo che Iris Murdoch sbagli a rifiutare la televisione in casa: credo che sia una binila cosa, come non leggere Platone l'arte della televisione è orribile, parte e incredibilmente bella A me piacciono anche gli sport competitivi in tv: il tennis, l'atletica. Tornando alla tecnologia: certa uccide, cert'altra salva». Come ha cambiato la sua scrittura un trauma come la morte di suo figlio? «Curiosamente, ha reso possibile scrivere cose comiche. Quando ti capita una cosa terribile come questa e non muori, cominci a fare attenzione alle cose ohe ti possono fare l'elice: è una delle ragioni per cui scrivo le fiabe. In un certo senso, ne hai diritto E chi scrive buoni romanzi comici è più resistente di chi scrive terribili romanzi sul mondo distrutto dalla bomba atomica. Quando sui in una vera situazione di necessità, hai bisogno di una sopportabile fiaba o storia, per tenere a inente che essere umani è importante: come il vetro, che è brillante e persiste oltre la vita». Maria Chiara Bonazzi

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