POLEMICA. Lo storico francese in un dialogo-scontro con Procacci su «Reset»

POLEMICA. Lo storico francese in un dialogo-scontro con Procacci su «Reset» POLEMICA. Lo storico francese in un dialogo-scontro con Procacci su «Reset» Stalin, Roosevelt e Churchill alla conferenza di Yalta: secondo Procacci fu proprio allora che si posero le basi per i mutamenti politici di oggi, e per il crollo del socialismo reale I «il ROMA li / la storia di «una credenza w\ collettiva potentissima e Il al tempo stesso assai effiI 1 mera, e tanto più straordinaria in quanto resiste alle smentite dell'esperienza su cui si fonda»: insomma non una storia di eventi tutti realmente accaduti quanto piuttosto «l'investimento psicologico tanto frequente nell'illusione del comunismo sovietico». Lo storico Francois Furet non risparmia espressioni attinenti alla sfera immaginativa della politica - «credenza», «investimento psicologico», «illusione» per spiegare il senso del suo Passato di un'illusione, la ricognizione sull'«idea comunista nel XX secolo» (pubblicata in Italia da Mondadori). Uno storico di sinistra, Giuliano Procacci, oppone a Furet una storia di fatti, di circostanze, di concatenazioni empiriche. Furet parla della «fascinazione» esercitata da un'idea. Potrà mai esserci accordo in un dialogo tra storici cosi distanti nel loro approccio storiografico? L'accordo non c'è. Ma c'è il dialogo, serrato, non diplomati co, vivace, tra Furet e Procacci. Dialogano, i due storici, nel supplemento offerto dalla rivista Reset (il cui fascicolo va in edicola in questi giorni) con il titolo Controverso Novecento. Un'analisi del «secolo breve» che contrappone uno storico come Furet, poco amato dalla sinistra malgrado la presentazione del suo libro alla Festa dell'Unità presente Massimo D'Alema, e uno storico come Giuliano Procacci, uno degli intellettuali più prestigiosi dell'area culturale gravitante attorno al pei. Certo, i tempi sono cambiati a tal punto che spetta proprio a Procacci usare formule che prima del crollo del muro di Berlino sarebbero apparse impronunciabili per un intellettuale del pei: «Sono d'accordo con Furet quando dice che lo stalinismo fu più totalitario del fascismo e dello stesso nazismo». Ma tra I maschi guidano le donne cattoliche Non ho mai avuto un rapporto sereno con le suore, specialmente se madri-superiore che, fin da giovane prete mi trattavano sempre come un chierichetto ingenuo ed immaturo. Forse per un conflitto di autorità e privilegi tra le donne e gli uomini della chiesa, ma soprattutto per la deformazione pedagogica ad una convivenza errata tra i due sessi sempre in guardia, la misoginia della casta sacerdotale maschile e la forzata sottomissione per i voti di castità e obbedienza delle suore «senza voce in capitolo» nella chiesa. Recentemente il Papa si è ulteriormente profuso in lodi e stime sperticate verso il mondo femminile, dichiarando che le Donne devono partecipare «a tutti i livelli sociali e politici della società». Molte donne, da secoli, chiedono di partecipare al sacerdozio cattolico, ma inutilmente. Si vede che la chiesa non fa parte della società. Comunque, a rappresentare le donne cattoliche a Pechino, il Pontefice, non potendo farlo di persona, ha mandato otto uomini e 14 donne: si vede che le donne cattoliche, senza la guida dei maschi, non sono capaci di cavarsela da sole. Una suora, alcune ovviamente polacche, nessuna italiana: la paura del comunismo e femminismo italiano fa sempre novanta. Ricordo quand'ero viceparroco di un eminente monsignore della diocesi di Torino, dovizioso responsabile dell'amministrazione finanziaria curiale. Una mattina di caldo luglio, al primo chiaror dell'alba, uscii dalla mia afosa stanzetta madido di sudore, alla ricerca di un po' di refrigerio nel corridoio della casa parrocchiale. Passando davanti alla camera del parroco, erano le 5,30 circa, la sua porta si apri in quel preciso momento. Ne usciva la giovane superiora dell'asilo parrocchiale con il vassoio del caffè in una mano, mentre con l'altra cercava di ricomporre alla bell'e meglio il velo monacale che cadeva posticcio tutto da una parte. lo non fiatai, fingendo di non Procacci e Furet corre una linea divisoria che colloca i due dialoganti in campi assolutamente distanti tra loro su ogni tema cruciale e controverso della storia novecentesca: dal ruolo e la natura della rivoluzione d'Ottobre alle caratteristiche del fascismo, dagli effetti di scardinamento degli assetti politici ma anche psicologici e culturali in senso lato scatenati dalla Prima guerra mondiale ai tratti distintivi del totalitarismo. Fino al tema su cui il contrasto appare più drammaticamente netto: l'eredità dell'antifascismo. «Una forzatura e una semplificazione» appare, per Procacci, la tesi di Furet sull'uso «strumentale» che della categoria «antifascismo» avrebbero fatto i comunisti. «La sua insistita denuncia della strumentalità dell'antifascismo», spiega Procacci, «finisce per indurlo a considerare ogni forma di antifascismo come subalterna ai disegni dell'Urss e di Stalin. Da qui, tra l'altro, la sottovalutazione di un fe¬ In alcuni casi è servita per nascondere la natudel regime sovietico *tNML ra reale Qui accanto Francois Furet: con lo storico di sinistra Giuliano Procacci è protagonista del dialogo «Controverso Novecento» stimolato da «Reset» Sotto, Mussolini erluigi Batt

Luoghi citati: Berlino, Italia, Pechino, Torino, Urss, Yalta