Messina, il domatore della materia

Messina, il domatore della materia Messina, il domatore della materia / tormenti di un classicista nel deserto Francesco Messina, uno dei maggiori scultori del Novecento italiano, è morto ieri mattina nella sua casa di Milano. Era nato a Linguaglossa, in provincia di Catania, nel 1900 L'artista era assistito dalla figlia adottiva, Paola, che gli e rimasta accanto dopo la morte della mogiie Bianca nel 1983.1 funerali si terranno oggi a Milano. CI ON Francesco Messina I scompare non solo uno scultore di grande perizia ! tecnica e dignità professio I naie, almeno finché le forze lo sorressero per intervenire direttamente sulle superfici sensuali e sensuose delle sue statue (De Chirico diceva addirittura che mandavano «un buon odore»!, ma tutta una linea di scultura, non solo italiana, che possiamo definire di classicismo moderno. Che egli rivendicava con orgoglio, ai tempi delle prime grandi affermazioni ufficiali fra le due guerre - in anticipo sui coetanei o poco più giovani, Marini e Manzù -. Così presentava se stesso alla Quadriennale del 1935: «In un'epoca che la storia chiamerà fascista, con fede nella dignità dell'artista italiano, io cerco di non disperdere in me le voci del nostro grande passato, più che mai vive oggi, che forze ereditarie virilmente disciplinate intendono, nel governo degli uomini, riportare la nazione italiana all'avanguardia, perché riprenda il suo glorioso posto nel mondo». Maestro di scultura a Brera già nel 1934 - grande strada per il pic¬ •Ingresso a pagamento: Smau '95 è l'appuntamento internazionale con il panorama completo delle tecnologie per la comunicazione, è l'offerta mirata di prodotti e soluzioni. E' l'incontro con la cultura del tuo tempo, il luogo in cui scopri come può cambiare il tuo modo di lavorare e anche di vivere il tempo libero. 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E ancora, nelle sue memorie Po verì giorni, pubblicate da Rusconi nel '74: «Anni penosi e di grave disorientamento quelli che seguirono immediatamente la guerra... Il mio isolamento era quasi completo. Con la casa, il prestigio, i mezzi di sussistenza, avevo perduto anche le amicizie». Un prezzo pesante, tanto più per chi poteva con qualche ragione - almeno riferendosi alle fortune ufficiali - ricordare: «Intorno agli Anni 40 si diceva che la giovane scultura annoverasse quattro M: Martini, Marini, Manzù e l'ultimo da lasciar nella penna». Il rapporto con Marini e Manzù fu milanese - Messina approdò a uo nri in al Secolo; il fttgilatore, di cui una fusione è a Torino alla Galleria Civica, per cui posò il ragazzo Sandro Cherchi: trionfo al limite del brutale (un capolavoro, a suo modo) di un classicismo alessandrino in chiave sportiva e naturistica ariana. Il brutalismo dei higilatori in varietà di situazioni, poi ripreso al di là dei bronzi originari in varie materie per decenni e decenni, e i Ragazzi al mare costituiscono il meglio degli Anni 30, in esplicita polemica alternativa con gli arcaismi e gli stilismi delle altre coetanee M. «Divenni cosi l'antimodemista, il realista, il vieto accademico bollato e respinto da tanta critica». Fu il suo gran cruccio del dopoguerra, confortato però dal recupero di fortune ufficiali soprattutto come scultore sacro: Santa Cateti na Patrona d'Italia sugli spalti di Castel Sant'Angelo; la Via Cmcis e la Madonna per Padre Pio a San Giovanni Rotondo; Pio XII in San Pietro, geniale nel suo atteggiarsi a Grande Inquisitore. Ne consegue anche se un poco malaugurante - il Cavallo morente davanti alla nuova sede della Rai di Bernabei. Assai più felici, parlando di scultura, sono le fortune private dello scultore elegantissimo delle ballerine, la Fracci, la Cosi; e soprattutto è affascinante l'autore di bellezze femminili in terracotta colorata, tutte un poco Nefertiti. Quasi un contrappasso per il classicista nella terra bruciata dai «modernisti». verrà l'amicizia con Bacchelli, che ritrarrà nel '35, con Cardarelli, con Ungaretti, con Quasimodo. Per lo scultore era stato decisivo l'incontro con Arturo Martini nel '26: «Devo a Martini un periodo della mia arte in cui l'incanto e la ricerca di nuove forme mi portarono a esperienze esaltanti ma, tutto sommato, negative. Le opere di quegli anni, tutte, o quasi tutte distrussi. Esaurite tutte le esperienze che ritenevo più congeniali, mi rituffai nello studio della natura... innestandomi nella stabile pianta della tradizione». E' il punto chiave. E' lo scultore stesso a ricordare le statue della svolta nel 1930: il Pescatorello, Gemito piti Verrocchio più i bronzi romani del Primo Milano nel 1932, e fu la città della vita, culminando nel 1976 con l'istituzione del Civico Studio-Museo Francesco Messina nell'ex chiesa di San Sisto al Carrobbio - ma quelli originari e decisivi erano precedentemente stati genovesi. Su due distinti binari. «Conobbi Montale nel 1919. Ansioso e in assiduo ascolto delle voci che potevano arricchire il mio spirito, accolsi la conoscenza di Montale come luce penetrante e purificatrice». Bianca e Francesco Messina furono destinatari di lettere di Montale negli anni decisivi di Ossi di seppia, accompagnate da poesie manoscritte che ne costituiranno il nucleo essenziale (le ha testé pubblicate Scheiwiller). Poi a Milano Marco Rosei