Italia alleato piccolo piccolo

Italia, alleato piccolo piccolo Italia, alleato piccolo piccolo Una potenza ricca ma culturalmente fragile Un secolo di amicizia, ma ancRomano ripercorre con originlitico-culturale tra Italia e Stati Lo scambio ineguale in uscita dsulla «fine della guerra fredda» «sbilanciato» nel mondo dopo EER lunghi periodi, tra un incidente e l'altro, i rapporti fra i due Paesi non ebbero storia. I presidenti del Consiglio e i ministri degli Esteri italiani facevano frequenti viaggi negli Stati Uniti dove le invariabili liturgie dell'amicizia italo-americana prevedevano generalmente due avvenimenti: una «photo opportunity» con il Presidente alla Casa Bianca e un banchetto delle associazioni italo-americane a New York. Alle visite italiane in America corrispondevano le visite in Italia, un po' meno frequenti ma altrettanto cordiali, del Presidente e del Segretario di Stato. L'unica visita che creò qualche problema d'ordine pubblico fu quella di Richard Nixon a Roma nel febbraio del 1969, perché cadde nel mezzo di tumultuose proteste contro la guerra del Vietnam e il governo di Mariano Rumor. Ma neppure il Vietnam, causa d'innumerevoli marce e dimostrazioni antiamericane, impedi che i brindisi e i comunicati congiunti, in occasione di ogni visita, facessero rituale omaggio alla vecchia e nuova amicizia, ai comuni ideali e al comune destino, alla gratitudine italiana per la Repubblica stellata, alla laboriosità degli italiani d'America, a Cristoforo Colombo, Giuseppe Garibaldi, Enrico Fermi e ad altri siffatti topoi della retorica italo-americana. La maggiore preoccupazione della diplomazia italiana in quegli anni fu d'impedire che il Segretario di Stato facesse un viaggio in Europa o nel Mediterraneo senza fermarsi a Roma per «consultare» l'Italia. (...) I migliori fra gli ambasciatori americani, dopo la fase «costitutiva» del primo dopoguerra, furono probabilmente Frederick G. Reinhardt e Maxwell M. Rabb. Il primo era nato in California nel 1911, si era laureato al Cesare Alfieri di Firenze nel 1937, era entrato al Di- Quanti sconti ai criminali nazisti Sono rimasto sconcertato nel seguire sui giornali le polemiche relative all'intervista all'ex capitano delle SS Erich Priebke, che il Tg3 avrebbe pagato 30.000 dollari. Mi ha stupito in particolare che ci si sia preoccupati (giustamente) solo del fatto che la Rai aveva pagato l'intervista e non del contenuto della dichiarazione rilasciata dall'ex ufficiale nazista nella stessa intervista. Mi riferisco in particolare al fatto che l'ex ufficiale delle SS, che ha sempre ammesso di aver collaborato con il colonnello Kappler nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine e di aver ucciso materialmente con un colpo di pistola uno dei martiri, ha candidamente dichiarato di essere vissuto fino al 1948 in Italia (Brunk i.1 e di esservi ritornato altre due volte con regolare passaporto, che riproduceva le sue esatte generalità. L'ultima volta, nel 1980, avrebbe addirittura partecipato a un raduno di ex nazisti. Queste rivelazioni sono di una gravità estrema e ci confermano che in Italia non c'è mai stata la volontà di perseguire i criminali nazisti come non c'è stata quella di perseguire quei fascisti che in seguito alle varie amnistie non scontarono le pesanti pene cui erano stati condannati. In proposito voglio ricordare che gli unici criminali nazisti condannati in Italia furono il colonnello Kappler e il maggiore Walter Reder, autore della strage di Marzabotto. Il primo riusci a ritornare nel suo Paese in seguito alla racambolesca evasione (si fa per dire) dall'Ospedale militare di Roma, al secondo fu concessa la libertà per motivi umanitari. Ritornando a Priebke, il nostro Paese ha fatto l'ennesima figuraccia a livello internazionale chiedendo l'estradizione di un criminale che ha avuto per anni sottomano. Rolando Balugani, Modena he di incomprensioni e guerra. Sergio alità, chiarezza e sintesi il rapporto po Uniti, da Wilson a Clinton, nel volume a Laterza. Anticipiamo qui alcuni brani e sulle prospettive di questo rapporto il Muro. partiniento di Stato nello stesso anno, aveva fatto una impeccabile carriera diplomatica ed era stato, prima di approdare a Roma, capo missione in due Paesi difficili: il Vietnam e l'Egitto. Fu in Italia dal 1961 al 1968, negli anni che vanno dalla preparazione del centro-sinistra al suo primo fallimento nelle elezioni del maggio del 1968. E' morto nel 1971 ed è sepolto nel cimitero protestante di Roma. Rabb invece veniva dalla politica e dalla professione legale, era stato assistente di senatori repubblicani e aveva prestato servizio in vari settori dell'amministrazione. Fu in Italia dal 1981 al 1989, fra la sconfitta del terrorismo e la caduta del governo De Mita. Reinhardt e Rabb non erano cattolici, non avevano ascendenze italiane, erano rappresentanti di un'America che non sentiva il bisogno di ricorrere, nei suoi rapporti con l'Italia, alla complicità degli affetti, agli artifici retorici dei legami etnici o religiosi. La «neutralità» li aiutò a non cadere nella trappola della retorica italo-americana. (...) Se il lettore pensasse che la sudditanza dell'Italia verso l'America è soltanto il risultato di scelte politiche, economiche e militari fatte da una parte della sua classe dirigente, commetterebbe probabilmente un errore. Il fenomeno è molto più esteso e profondo. Terminata la lunga stagione del ribellismo sessantottino, quando l'America recitò per la sinistra fondamentalista di quegli anni la parte di Satana, gli Stati Uniti sono diventati il maggior fornitore della società italiana. Dall'America l'Italia compra, a scatola chiusa, quasi tutto: i film, serial televisivi, lo stile della vita quotidiana, i giocatori di basket-ball, le top model, i temi eticosociali di cui discutere, la notte degli Oscar, i manuali di economia, i modelli informatici, l'organizza- LETTERE AL GIORN nanza internazionale al suo provincialismo. La vedova di Robert Kennedy contribuisce a rendere «democratica» la strategia politica di Walter Veltroni nel pds, e Robert De Niro, anche se non parla italiano, viene invitato ai varietà televisivi per regalare agli spettatori la sensazione che gli emigranti italiani hanno conquistato il mondo. Quando qualcuno in Italia vuole convincere i propri connazionali d'essere importante affitta uno spazio a New York o a San Francisco per promuovere la propria immagine di fronte a uno sparuto pubblica d'invitati. zione aziendale, i trattati di politologia, i graffiti, la musica popolare, i tic mentali e culturali. L'invadenza dell'America nella vita italiana ha cambiato il nostro linguaggio e le nostre abitudini. (...). L'America, dal canto suo, non importa quasi nulla dall'Italia. Ma questo non impedisce agli italiani di usarla come autorità per l'omologazione delle sue scelte e per conferire riso¬ Non è stato sempre così. Vi sono stati anni dopo la fine del- egno Moss aphis 81 ») Un disegno di Geoffrey Moss (da «Graphis Annual '80/'81 ») o e i: o o si Noi copiamo dalle parolacce ai graffiti: loro traducono quasi soltanto libri religiosi ALE