UN AMORE CHE SAPEVA D'AGLIO di Giorgio Calcagno

UN AMORE CHE SAPEVA D'AGLIO UN AMORE CHE SAPEVA D'AGLIO Il N apostrofo rosa. Sara. Ma quella volta proprio non lo fu. Ut ragazza era bellissima, bruna, alta, capelli corvini, occhi di lontananza, labbra carnose. Andava baciata. Il corteggiamento era stato lungo, con appostamenti estenuanti che dovevano dare l'idea della casualità dell'incontro. Ero praticamente svoglio ventiquattrore al giorno su traiettorie che avrebbero dovuto incrociarle il passo. E cosi avvenne in quell'estate trionfale dell'85, Dieci anni orsono. Sull'angolo fra il pescivendolo e la gelateria, eravamo a Portofino, sotto un timido sguardo di una inor mora e un brevissimo mare di stracciatella, lei mi si paro davanti. Ormai stanco dalle innumerevoli notti e giorni trascorsi sulla strada, intontito dal sole e dalla brina, non la salutai ma le chiesi, subito maledicendomi, «posso baciarti?». Sorprendentemente mi rispose con un entusiastico «si». Ci appartammo in un carugio e li, ad occhi chiusi, la baciai. Sapeva d'aglio. Sembrava lo fosse caduto in bocca tutto Cap d'Ail, la raccolta di luglio, giovane e asprigno, capace di intimorire le ultime rose, le campanule, la buganvillea, i tromboncini. I,a sua bocca ora un forno rovente. Scatenò una vampata fra viscere e polmoni che pensai alla fine dolorosa della triglia sulla griglia. Mi impegnai, nelle setlùnane successive, a ridurre il rischio offrendole caramelle, gelali e sorbetti alla monta. Non servì a nulla, il suo consumo d'aglio avrebbe neutralizzato la menta più pura. Inoltro la menta, mi suggerì un amico farmacista, è dannosa assai sull'eros. Non mi restò altra via che seguirla, rifornendomi di fischio e teste d'aglio. No facevo scorte in tasca e un attimo prima dell'apostrofarsi in rosa, me le lanciavo fra i denti. Fu una intensa terapia. Ma poi lini. Intriso d'aglio dalla tosta ai piedi assaporai, finalmente, un bacio che sapeva di bacio: muschio, [ungo, violetta novembrina. Nico Orengo no e l'ufficio del registro di Campobasso, dove vive; ma per tutti i suoi compagni di carboneria è Magopide. Va letto per metà da sinistra a destra e per l'altra metà da destra a sinistra. Nella prima parte è Mago, nella seconda Edipo. Ha pubblicato pochissimo, nella vita - due soli testi, di alta combinatoria, nel Caffè di Vicari - ma è già entrato nel Dizionario delle lingue immaginarie edito da Zanichelli per la sua lingua «sostitutiva» o «migratizia» di cui circolano pochi esemplari manoscritti. Magopide isola le parole che si nascondono all'interno dei vocaboli più lunghi, e le sostituisce con altre dello stesso significato, ricavandone busillis per iniziati. L'esempio più tipico è una poesia intitolata «La diavola pooiuseca», dove la parola «tavola» ha sostituito «asse» e la parola «cause» sta per «liti». La clatavola pocàuseca - enigmisti all'erta - è quindi la classe poh'tica. Pericolosissimo. Giorgio Calcagno

Persone citate: Nico Orengo, Zanichelli

Luoghi citati: Campobasso, Portofino, Vicari