Schuster beato a Milano

l'annuncio del Cardinal Martini l'annuncio del Cardinal Martini Schuster, beato a Milano -fi MILANO I L piccolo, magro, pallido I Alfredo Ildefonso Schu1 ster, figlio di una guar* mia svizzera in terze nozze con un'altoatesina, abate benedettino a Roma in San Paolo fuori le Mura, vescovo di Milano dal '29 al '54, sarà proclamato beato il 12 maggio di quest'altr'anno. L'ha annunciato ieri il cardinale Martini. Fu Montini, successore di Schuster, a introdurre la causa di beatificazione nel '57. «La salvezza di Milano durante la guerra si deve a lui», dice monsignor Luigi Crivelli, direttore del bimestrale Terra ambrosiana e storico della chiesa milanese. Schuster scrisse fra l'altro al cardinale Spellman e ai vescovi americani perché intervenissero sul loro governo: che si risparmiasse le sue bombe. Si adoperò per strappare alla morte molti condannati. Indro Montanelli è forse il nome più noto. Una vicenda che lo stesso giornalista ha rievocato ieri. In prigione a Gallarate, Montanelli è condannato a morte. Si fa dare dal carceriere Hans un foglio di quaderno e una matita copiativa e scrive a Schuster per pregarlo di far sapere ai suoi familiari la sorte che gli è capitata. Consegna il biglietto a Hans insieme con la medaglietta che il cardinale gli aveva regalato per il matrimonio. Indro attende la fine. Passa no i cinque giorni fatidici dopo la sentenza, entro i quali di so lito avveniva l'esecuzione. Pas sano i mesi: di fucilazione nessuno parla più. Montanelli è trasferito a San Vittore, evade, e dopo la Liberazione va a tro vare il cardinale. «Mi considero vivo per miracolo», gli dice. «Fi gliolo, i miracoli ci sono», ri sponde Schuster. Non accenna per niente alla lettera che aveva scritto ad «un'alta persona lità tedesca» di Milano per rir viare di volta in volta l'esecu zione. Lettera scovata pochi mesi fa negli archivi della Curia proprio da Luigi Crivelli. Il cardinale Schuster fu protagonista nelle drammaticissime giornate del '45. Il pomeriggio del 25 aprile Mussolini è da lui. «Si arrenda», lo esorta il cardinale. Ha già pronta una stanza in arcivescovado per ospitarlo e salvargli la vita. «I tedeschi sono pronti per la resa», gli dice per convincerlo. «Traditori!» grida Mussolini, e chiede un'ora di tempo. Va in questura. Schuster telefona: «Mussolini è partito per Como», si sente rispondere. Cose raccontate da Schuster nel '46 - ricorda Crivelli - in Gli ultimi tempi di un regime. Sguardi sospettosi si posarono su di lui nel dopoguerra: «Troppa armonia col fascismo», fu l'accusa. Gli si rimproverò anche di aver infilato un crocefisso nel taschino della divisa di Mussolini. Monsignor Crivelli insorge. Fa notare: primo, Schuster fu il primo vescovo italiano a giurare fedeltà al Concordato, siglato proprio in quel '29 in cui egli assunse la guida della diocesi milanese, «e per lui un giuramento era un giuramento»; secondo, Schuster fu il primo vescovo a pronunciare un durissimo discorso contro il regime: lo fece nel novembre del '38, all'indomani delle leggi razziali, che bollò come «eresia antiromana», anticristiana. «Schuster non capisce nulla di politica», disse un gerarca fascista. «E fu proprio lui, il meno politico di tutti - nota lo storico Giorgio Rumi -, a diventare simbolo, bandiera di umanità prima ancora che di cristianità». Lottava perché Milano non diventasse la Stalingrado d'Italia. Difendeva «la cittadella assediata», respingeva «il gelido vento di tramontana»: il vento del Nord, del nazismo germanico e del comunismo sovietico. Anche quando il Duomo ebbe le vetrate infrante, egli era lì. «Dopo la Liberazione apparve quasi un viceré», conclude Rumi. fc. a.]