CHE COS'È' UN PREMIO? Tra vita e letteratura: rispondono i finalisti del Campiello

CHE COS'È' UN PREMIO? CHE COS'È' UN PREMIO? Tra vita e letteratura: rispondono i finalisti del Campiello JVENEZIA L Campiello, il premio degli industriali veneti, raggiunge la casella 33 e fa un salto indietro. Non accade nei giochi da tavola? In fondo il trofeo lagunare riecheggia il ciacolare goldoniano, galleggia nell'atmosfera domestica, croccante, che lievitava attorno agli antichi pozzi. Come nel lontano '63 (quando s'impose Primo Levi con La tregua, il ritorno dai campi di sterminio), il gran gala si terrà nell'Isola di San Giorgio. L'alloro è conteso da Paolo Barbaro (La casa con le luci, Bollati Boringhieri), Enrico Brizzi {Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Baldini & Castoldi), Daniele Del Giudice (Staccando l'ombra da terra, Einaudi, premio Bagutta), Maurizio Maggiani (Il coraggio del pettirosso, Feltrinelli, premio Viareggio), Virgilio Scapin (Il bastone a calice, Neri Pozza). A ciascuno di loro abbiamo domandato «che cos'è un premio», nel senso più ampio, metaletterario. Trecento giurati popolari, anonimi fino all'ultima ora, una miscela di vip e gente comune, hanno trascorso l'estate soppesando i cinque romanzi. Dal¬ l'urna che ha raccolto i loro verdetti uscirà il Supercampiello. Gli arriderà la fortuna toccata in sorte al Pereira di Tabucchi (bestseller e film, Mastroianni protagonista), vincitore l'anno scorso? Le storie in lizza. Barbaro si muove in un ospizio, narra di un volontario che accudisce un'antica signora, mentre incalza il mistero chiamato Verdana. Brizzi schizza un fiotto di graffiti adolescenziali (rock, liceo, bicicletta, ma baci e sesso latitano), sullo sfondo la Bologna del Dams. Del Giudice «osa» con l'aviatore Bruno: prove di volo che sono prove di vita. Maggiani architetta una saga anarchica, fra l'Egitto e l'Apuania, come mentore Giuseppe Ungaretti. Scapin, libraio vicentino, estrae dal profondo Veneto una villa e la testimone di un tempo perduto, georgico e aristocratico. Il sipario si alza alle 22,15. Riprende la serata Raidue. Conducono Mara Venier e Vincenzo Mollica. Ospiti d'onore: Alberto Sordi (a cui andrà il premio alla carriera), il mimo Marcel Marceau, il soprano Lucia Valentini. Dove si poserà l'acuto? Servizio a cura di Bruno Quaranta Altri in gara ~ IETTEMBRE, tempo di t ' premi. Domani, a Pieve, la \ giuria sceglierà, fra i dieci il finalisti, il diario 1995. La *J I manifestazione, organizzata da Saverio Tutino, è riservata alle testimonianze in forma, appunto, di journal: storie di vita quotidiana, tanti specchi d'Italia. Questa sera, a Monterosso, serata montaliana, dedicata a «Satura» (premio alla carriera al professor Franco Croce, dell'Università di Genova, autore di Storia della poesia di Eugenio Montale, Costa & Nolani). Domani, verrà consegnato il premio «Ossi di Seppia 1995» ad Angiola Ferraris per il saggio Se il vento (Donzelli). Sabato 9 settembre, toccherà al premio «Procida, Isola di Arturo - Elsa Morante». Saranno proclamati i vincitori delle sezioni narrativa-poesia, opera prima, traduzione. Per la narrativa sono finalisti Edith Bruck (L'attrice, Marsilio), Fleur Jaeggy (La paura del cielo, Adelphi), Enzo Siciliano (Mia madre amava il mare, Rizzoli). Sempre sabato 9, ad Alba, nella tenuta la Bernardina, premio «Langhe Ceretto». Lo riceverà Aida Kanafani-Zahar per l'opera Mune: la conservation alimentane traditionelle au Liban, Maison des Sciences de l'homme di Parigi. Preferivo le turbine La prima volta che sono stato al Campiello, nel '76, non volevo assolutamente andarci. I premi - insistevo col mio editore -, servono solo a metterci in mostra, la letteratura è un'altra cosa. E tornavo in ufficio tra i miei disegnatori di turbine. Ma ecco che in ufficio piomba Domenico Porzio: «Sei matto, i tempi cambiano più svelti delle turbine...». L'ho ancora davanti agli occhi, lo sguardo azzurro, affettuoso: «La letteratura sarà anche un'altra cosa; ma tu sai che ■cosai». No, non sapevo. Al Campiello, lottando con me stesso, finii per andarci. Arrivai ultimo. I tempi stavano proprio cambiando. Oggi i nostri libri ci sono, ma forse non esistono finché qualcuno o qualcosa, magari un premio insperato, non arriva a salvarli nell'oceano della carta stampata, della televisione, dei C.D.R., delle videodiavolerie trionfanti. Amiamo sempre, disperatamente, la letteratura; ma abbiamo bisogno di esistere coi nostri libri, sempre più bisogno d'un minimo di conferma dell'esistenza. Durerà poco, un soffio; ma quel soffio sembra fermare l'attimo in fuga... D'altra parte, ogni premio ha anche l'altra faccia, è un gioco di dadi: non sempre i libri più belli risultano i primi. Ma se gli ultimi non saranno i primi, se questa volta sarà o non sarà quella buona... Intanto proviamo. Partecipiamo un po' tutti, lettori, critici, libri, pubblico, noi stessi, a quel soffio. Illudiamoci. Paolo Barbaro La mia generazione La nostra generazione e i premi. Confesserò, ai miei concreti occhi padani la questione suona un po' evanescente. Sarà perché il «premio» che vivo in questi giorni è poco estendibile, difficilmente vivibile da una generazione intera. Sono in difficoltà. Imposterò la cosa a mo' di glossarietto. Generazione. Mi ricordo... la scuola, la professoressa di italiano, i temi. Tra i tre titoli a scelta, sempre uno di attualità. E in questo sempre il parere dei giovani, i giovani, il ruolo dei giovani, questo quell'altro, generazione a destra, generazione a sinistra, sopra, sotto. Facevo molto spesso il tema d'attualità, ero solito introdurre l'argomento del caso con una breve e sempre uguale filippica contro chi parla di generazione, chi fa divisioni trasversali di questo tipo. Premio. 1) Esplicito riconoscimento del valore o del merito di qc. 2) Vincita di lotteria, estrazioni a sorte è sim. 3) Indennità speciale concessa da un ente pubblico ai propri dipendenti. Allora. Il giovane d'oggi è senza dubbio un appassionato delle indennità speciali concesse da enti pubblici (1). Solo che, nonostante gli sforzi, raramente egli è dipendente di questi. Per attenuare lo sconforto di non essere tale, si dà a lotterie, estrazioni a sorte e simili (2). Ma così facendo scopre che la sorte è balzana, ingiusta, e che il premio che egli preferisce, è quello che ottiene come esplicito riconoscimento del proprio valore o merito (3). Buon autunno a tutti. Enrico Brizzi Giudicati dalle parole Come si fa a parlare di un premio letterario alla vigilia di un premio letterario? Per quanto i premi siano un gioco, e come tali vadano vissuti, c'è sempre un filo d'ansia e un desiderio di sottrarsi. Nei momenti di maggiore sconforto possono essere d'aiuto alcune considerazioni: 1 ) Il riconoscimento (e il riconoscersi) si vive di per sé giorno dopo giorno mentre si scrive il libro: lì incontriamo gli altri attraverso le parole, lì stanno le nostre vittorie e le sconfitte. Nessuno scrittore dotato di un minimo di autoironia e consapevolezza affiderebbe le proprie certezze, per poco importanti che siano, al risultato di un concorso letterario. 2) Un premio premia un libro e non una persona; il libro stampato non ci appartiene più, il nostro accompagnarlo è un po' ridicolo, come se uno pretendesse di spingere avanti ciò che è stato prima. 3) L'esempio dei grandi: a Montale piacevano i premi, a Quasimodo più ancora che a Montale. Piacevano a Gadda, per quei pochi che ebbe, piacevano anche a Pirandello, a Pasolini, a Calvino. Ma nessun premio sancisce nulla in modo definitivo. Forse gli stessi lettori, la medesima giuria, sei mesi dopo leggerebbero e giudicherebbero gli stessi libri in modo diverso. 4) In un angolo di noi sopravvive la persona che davvero siamo, che cammina sola e controvento, ed è curiosa di seguire la propria strada fino in fondo. E' la persona che ci accompagna anche durante un premio e quando un premio è passato, comunque sia passato. Daniele Del Giudice La forza del Castigo Ogni volta che patisco il Castigo mi soffermo a considerare la natura del Premio, per non trovarmi impreparato casomai riuscissi a congegnare un capovolgimento di fronte. Nella mia vita sono incorso in ogni sorta di castigo e dunque è stato spesso da una prospettiva rasoterra che ho tentato di farmi un'idea dei premi ancora in palio lassù. Non è per vantarmi, ma più è cocente la frustrazione per un nuovo e inaspettato castigo, più mi sforzo di allungare la vista. Ci giurerei di averlo visto passare più di una volta il Premio, prima che il castigatore provvedesse a riportarmi alla ragione. La ragione è che il Castigo corrobora e purifica, il Premio rammolla e sconcia quelli, come me, troppo inclini al peccato e all'errore. Per questo il Castigo con il perfezionarsi dell'esercizio diviene preventivo della colpa e il Premio posticipato sine die. Ma io non ci credo e sempre più spesso dò morsi e calci nei glutei del castigatore. Così lui si distrae un attimo e io ho un po' di tempo per vedere passare da vicino il Premio. E i premiati. Così da vicino che ultimamente ho scorto tra questi anche il sottoscritto. Strano, no? Mah, a meno che la natura del Premio, in definitiva, non vada colta nel didietro del CastigoMaurizio Maggiani Quel castagnaccio Posava la grande teglia di rame sul cavalletto di legno davanti all'ingresso delle scuole, il profumo del castagnaccio si spandeva intorno, ci tormentava. Cisco, il venditore dagli occhi miopi appena spronati da lenti profonde, premiava il nostro acquisto aggiungendo alla fetta pattuita, resecata con meccanica abilità dalla forma ambrata, una ulteriore cediglia della dolce polenta che si staccava dalla massa, esile come uno spicchio di luna. I preti che avevano in appalto le scuole ci pungolavano, su delega divina, a conquistarci il premio della vita eterna predicando patimenti e sacrifici nella grande chiesa gelata, rischiarata appena dalle candele. Ci proponevano anche strane formule di preghiere, complicati abbinamenti sacri, formule rituali per immagazzinare indulgenze-premio in favore delle anime purganti, anche se a noi rimaneva un fatto misterioso la purga nell'aldilà. Non avevamo le idee chiare su tali premi sacri, la ricompensa eterna ci sembrava fuori della nostra portata, le anime purganti esigevano funambolismi al di sopra delle nostre possibilità e noi rimanevamo fedeli alla cediglia di castagnaccio, che era sempre più abbondante, perché le lenti profonde spronavano sempre meno gli occhi di Cisco al guadagno. Virgilio Scapin

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