Granet i silenzi di Roma perduta

All'Accademia Americana, il primo '800 nei paesaggi dell'allievo di David All'Accademia Americana, il primo '800 nei paesaggi dell'allievo di David Granet, i silenzi di Roma perduta // «Monaco» a caccia di impressioni fra le rovine aROMA NCHE David lo aveva ammesso, scendendo come un Imperatore della Rivoluzione, nel sacro Foro dell'antichità: «A Roma mi vergognai della mia ignoranza». Ma lo aveva proferito con un tono più ampolloso, retorico: una concessione da accademico. Invece il mite Granet, l'allievo del terribile David (che di lui aveva osservato, con un poco di affettuosa sufficienza: «Ha delle idee, costui e poi sente il colore») Granet, che a Roma era venuto a pensionare, praticamente fuggendo i fasti raggelati e rigorosi del Neoclassicismo, confessa umilmente nelle sue Memorie: «Quando si hanno sotto gli occhi gli esempi più rari nelle arti come nella natura e non si perde la testa, si vede facilmente che non si sa nulla e che non si è che dei poveri scolari». Di qui la certosina necessità «di lavorare ancora per tutta la vita e ancora e ancora...», quasi l'eco di un melanconico stornello. Ora il raccolto di questa devota dedizione, direttamente dal Museo di Aix a cui aveva donato questi preziosi taubletins, eccolo in mostra in una splendida rassegna di Paesaggi perduti, sino al 12 gennaio all'Accademia Americana. Il «Monaco», così vuole la leggenda che Granet fosse stato ribattezzato (anche per quegli interni scurì ed eremitici di solitudini claustrali, trascrizione alla Lamartine dei romitaggi nazareni, che avevano incontrato pure il favore di Luigi Filippo d'Orleans, colpito dalla «verità» di quei «monacelli» in preghiera) si dedica al genere degli «interni, che preferivo a quello delle rovine» anche per viva reazione all'occupazione napoleonica di Roma, che molto lo «affligge»: iì Papa costretto all'esilio, le soldataglie alla ventura. «Questa bella città aveva cambiato aspetto e il suo carattere religioso era cancellato, il tamburo aveva fatto tacere il suono dei cantici e delle preghiere. Ero rattristato, non ritrovavo più la mia Roma silenziosa». Il silenzio di Roma che è uno dei temi prediletti nei Mémoires: «E' così conveniente agli studi che io lo ricorderò con molto affetto per tutta la vita», quasi un amico da cui ci si stacca a malincuore. Ha più di 50 anni quand'è costretto a rientrare in Francia dopo essere vissuto oltre vent'anni a Roma (più di Ingres che pure ne rimase venti, o di David e Corot, che non si fermarono per più di cinque o sei stagioni): e pure vi sposò, dopo 42 anni di silente fedeltà, in attesa della morte del marito, un'italiana, Nena Di Pietro. Allontanarsi, è già una dissolvenza di lacrime: «Volgerò per sempre gli occhi indietro, sino al momento in cui non avrò più nulla da vedere». Scomparsa Roma s'è come accecato anche il vedere. Roma è un repertorio fiabesco, paradisiaco nella sua varietà di manuale infinito. «Dopo aver visitato tutta Roma, decisi di cominciare con qualche studio dalla natura. Scelsi il Colosseo. Questo monumento mi era apparso eccezionale per la sua forma straordinaria e per la vegetazione che avvolge le sue rovine e produce contro il cielo un effetto incantevole. Ci trovate la violaciocca gialla, l'acanto... Una tale quantità di fiori da poter comporre un manuale di botanica». E' una strana Roma enciclopedica, la sua, che avvolge insieme, inscindibilmente, monumenti e natura, la fantastica vegetazione dei cieli e delle atmosfere dei tramonti. E delle «gallerie buie con delle luci così ben combinate che qualsiasi pittore con un po' di gusto per effetti e colore non può resistere alla vogUa di dipingere». Come spiega Denis Coutagne, nel bel catalogo multilingue Electa, Granet, a differenza di Corot e di Michallon, ispirato dall'estetica delle rovine cara a Diderot, non canta la Roma ufficiale, di San Pietro e Castel Sant'Angelo, oppure quella visionaria di Panini e Piranesi: disprezza la troppo sfruttata scalinata di Trinità dei Monti e quando arriva in vista d'un monumento celebre vi si siede, con l'ufficialità disinvoltamente alle spalle, e magari privilegia un'inquadratura imprevedibile, nei suoi inconfondibili «approches parcellaires» Lo consiglia anche ad un allievo: inutile perder tempo con vedute fin troppo sfruttate. Non la Roma barocca e sussiegosa delle cupole: ma la campagna desolata e lirica di Chateaubriand c frammenti in ce rottati di Colosseo che corteggia sornione come un gatto, senza mai concedergli la scena totale. E il Granet che ci manda in visibilio è proprio quello dilavato e sommario, vuoto di folklore e di figurine, disinvolto e affettuoso antenato della scuola romana, dei cieli impastoiati di Stradone e Scialoja, che spatola brani di città come su deliziose tartine alla buona e ritaglia confidenziali dialoghetti meteorologici. «Poesia minimale», «fotogrammi di una pittura di sentimenti, che sostituisce un rapporto di tipo emotivo ed empatico all'ansia di conoscenza dell'età illuministica», «detonatori della visione piena di estri» e di sapori, in una struttura spoglia e laconica che viene da David ma si riempie di affetti: come suggerisce intelligentemente Anna Ottani Cavilla, che restituisce a Granet quel ruolo innovatore tra Valenciennes e Corot, che per esempio un Peter Calassi rilutta ad accordargli. «Sfruttando l'inchiostro per cogliere le vibrazioni atmosferiche e luministiche». Sopra la gabbia essenziale della razionalità, si agitano i folletti della meteoropatia e del sentire: ma il cammino magnifico di Granet è proprio quella di una progressiva spoghazione di dettagli, lui che sapeva, giovane, di aver profuso una quantità di particolari «che gli sarebbero bastati per almeno quattro quadri». Rapido, con i suoi olii su carta, per non far perdere tempo ai suoi compagni flaneura (come quei patiti della bella foto che obbligano a fermarsi le carovane di turisti) Granet riempie come un gour mand la sua bisaccia da cacciagione di scorci, per poterli poi smaltire nell'archivio della memoria e «cucinare» dei quadri da Sulon («Egli aveva tutta Roma nel suo portefeuille» scrive il Guerini. Ma poi il vizio della sommarietà prende il sopravvento ed egli s'aggira fra i fantasmi della romanità come un automa. «Io non mi credevo più di questo mondo. Sotto quest'influsso arrivai ai piedi del Colosseo, senza proferire una parola». «Errammo tra tutti questi monumenti come ombre scese dal cielo». Le rovine quali estreme amicizie. «Corsi al Foro e salutai questi monumenti con sacro rispetto». Marco Valloni «Quando si hanno sotto gli occhi gli esempi più rari nelle arti si è dei poveri studenti» «Il Colosseo, straordinario per la sua forma e per la vegetazione che lo avvolge» «Il Palazzo Imperiale sul Palatino» di Granet

Persone citate: Anna Ottani Cavilla, David Granet, Denis Coutagne, Di Pietro, Diderot, Guerini, Ingres, Luigi Filippo D'orleans, Panini, Scialoja