Il colonnello non ci sta di Giuseppe Zaccaria

Il colonnello non ci sta REPORTAGE Il colonnello non ci sta L'esercito flirta con l'opposizione L'ARMATA DELUSA BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO «Viva la Serbia, viva il popolo serbo, noi sianv.i col popolo»: su piazza deli'-. K«.:pubblica, la voce che sta 1 ,,-;(jendo enfatica questa dichiarazione poco alla volta viene sommersa da un coro. E' l'antico inno serbo, quello dei Kai ageorgevic, che si sparge epico mentre centinaia di persone salutano con le tre dita tese, nell'antico simbolo dell'unità fra ortodossi, ed altre ne tendono due nella «V» di vittoria. Sta accadendo qualcosa di molto serio, in questa gelida eppure caldissima fine d'anno belgradese. L'esercito ( 130 mila effettivi) comincia a far sentire la sua voce. Una parte dell'esercito, almeno. Quella a cui qualche giorno fa Vuk Draskovic si riferiva annunciando che «a Nis ci sono reparti che stanno con noi». Non solo a Nis, stando al messaggio che stanno leggendo in piazza. Un numero imprecisato di ufficiali (ma dovrebbe trattarsi di almeno trecento persone) manda una «lettera aperta» al presidente Milosevic, al capo di Stato maggiore, agli studenti da numerose città della Serbia. Fanno sapere che anche a Vranje, Pirot, Zajecar, Urosevac, Pristina ci sono militari pronti alla scelta. A Momcilo Pcrisic, capo di Stato maggiore, scrivono: «Dimostrate oggi lo stesso coraggio degli anni scorsi: dite apertamente e con chiarezza qual è il posto dell'esercito, ed il posto dell'esercito è accanto al popolo». A Slobodan Milosevic: «A voi, che più volte avete disprezzato l'esercito tentando di convertirlo ad un ruolo secondario, diciamo: non permetteremo che la Serbia sia distrutta. Schiereremo cannoni e carri annati solo contro il nemico. Noi siamo solo con una politica, quella per la Serbia, e se occorre ci metteremo alla guida della protesta popolare». Al gruppo delle opposizioni: «Fate attenzione alle promesse che fate oggi, poiché se non le manterrete molto presto, assieme con gli studenti, potremmo espellervi dal potere». Non siamo a un annuncio di «golpe», però molto prossimi all'inizio di una frana. Nella «Jugoslovenska Vojiska» i segnali di malcontento erano diffusi da tempo, ed evidentemente le misure adottate nelle ultime settimane dal governo non sono riuscite ad acquetare la protesta. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti d'Europa oggi non hanno proclami di vittoria con cui consolarsi. Ridimensionata, malpagata, sospinta ai margini della vita nazionale l'ex «Jna», armata del popolo jugoslavo, oggi ha cambiato sigla e comandanti, caserme e ruolo. Un arretramento che, paradossalmente, s'iniziò proprio con la guerra del '90-'91 quando la «Jna» (in quel momento quarta armata europea a livello conven¬ zionale) si scoprì dilaniata all'interno daile stesse contraddizioni che stavano frantumando la Jugoslavia. Da un lato l'esercito era chiamato ad intervenire per tenere unita la Federazione, dall'altro viveva rifiuti e diserzioni di interi reparti, che rifiutavano di sparare contro i «fratelli» o abbandonavano le caserme per riunirsi alle nascenti forze croate e bosniache. Altri, moltissimi altri (300 mila solo in Serbia), fuggivano all'estero per evitare il servizio militare e dunque la guerra. Non era, quello, l'esercito su cui un dittatore avrebbe potuto contare. Di qui l'inizio di un ridimensionamento che poco alla volta ha spinto Milosevic a creare una sorta di armata personale, attraverso gli 80 mila uomini della nuova ed efficiente polizia. Pagati sempre meglio, riforniti di mezzi moderni, quei reparti hanno finito col tramutarsi in un'eli¬ te politico-militare che guarda l'esercito dall'alto Oggi il salario di un poliziotto normale è superiore a quello di un maggiore dell'armata. Se impiegato in reparti speciali (come quelli che oggi invadono Belgrado) riceve più di un colonnello. Nel frattempo la bruciante sconfitta dei serbi nelle Krajine e l'ondata di profughi rovesciatasi in Serbia ha inserito nell'esercito una nuova leva di ufficiali. Serbi anch'essi, ma tutti convinti che Milosevic li abbia traditi, tutti impregnati dell'epopea del sacrifìcio, tutti pronti alla vendetta. Ecco le ragioni per cui della ex «Jna» (oggi tramutata in «JV», Jugoslovenska Vojiska) il regime ha deciso di non fidarsi. L'armata vive l'ulteriore incubo degli accordi di Dayton, dai quali scaturirà prima o poi una riduzione degli effettivi in tutta la regione. Tutti i tecnici l'hanno già abbandonata. Agli inizi della protesta, le op¬ posizioni gridavano: «Che dignità possono avere ufficiali che per sopravvivere sono costretti ad arrangiarsi col contrabbando?». Per tenere sotto controllo l'amarezza degli ufficiali, negli ultimi mesi il regime aveva inventato una sorta di disperala «roulette». Tre rotazioni negli alti comandi in meno di sei mesi, l'ultima a pochi giorni dal nostro Natale. Il 19 dicembre, in una seduta del Consiglio supremo di difesa, il generale Perisic aveva avvertito dei rischi che si cominciavano a correre in numerose guarnigioni (aveva citato in particolare Belgrado, Nis, Kraguljevac, Cacak e Uzice). •Ci sono ufficiali e soldati - diceva - che neanche in caserma nascondono simpatie per le opposizioni, che partecipano alle sfilate. Ad alcuni meetings di "Zajedno'' sono stati notati perfino comandanti di livello medio-alto». In quanto capo di Stato mag¬ giore, Perisic si era sentito di ga rantire solo l'affidabilità dei reparti sclùerati a protezione degli aeroporti. Per evitare rischi, il Consiglio aveva deciso di far ruotare ancora i comandanti della Terza e della Quarta Armata, oltre ad una serie di comandanti di livello inferiore. A partire dalla sera del 24 dicembre, il massimo organo militare di Serbia è in «seduta permanente». Non è bastato, evidentemente. Al contrario, sembra di capire che la protesta si stia diffondendo proprio a livello di maggiori e tenenti colonnelli, quelli risparmiati dalle ultime epurazioni. Momcilo Perisic - alto, magro, capelli tirati all'indietro, una fama da «duro» - è persona cui i vertici militari riconoscono grossa competenza. Proprio in questi giorni, viene processato da un tribunale croato per aver ordinato nel '90 il bombardamento di Zara. Giuseppe Zaccaria Draskovic annuncia: a Nis molti reparti sono schierati con noi Lettera aperta di 300 ufficiali al governo: mai contro il popolo A sinistra il mensile bosniaco «I giorni» con Izetbegovic vestito da Babbo Natale Qui accanto una donna litiga con la polizia a Belgrado

Persone citate: Draskovic, Izetbegovic, Milosevic, Momcilo Perisic, Perisic, Slobodan Milosevic, Vuk Draskovic