I marziani del telegiornale serbo

I marxiani del telegiornale serbo I marxiani del telegiornale serbo Come ignorare le immagini della protesta AL SERVÌZI® BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO Uno spettro si aggira per la Jugoslavia. Nell'intera federazione un problema rischia di farsi insolubile e popola d'incubi le notti della nomenklatura. E' la produzione del latte. Sarà il freddo, saranno state le sanzioni, sarà l'agitazione per il momento politico (oops, questo non si può dire) ma le vacche producono poco, gli agricoltori si preoccupano, il governo pensa di intervenire e sta studiando provvedimenti incisivi. Potete crederci o no, ma con quel che sta accadendo in questo Paese il servizio d'apertura di «Srbija Danas» (cioè «Serbia Oggi»), seguitissima rubrica di mezzogiorno, è questo. Ampio, professionale, spregiudicato il «reportage» affronta il tema da ogni angolatura (esterno stalla, interno stalla, parziale mucca, totale mucca, dettaglio sugli strumenti di produzione, intervista all'allevatore, piano americano), analizza, enfatizza, teorizza soluzioni. E le proteste, i feriti, la mobilitazione della polizia, le elezioni resuscitate dall'Osca? Nulla. Neanche una parola. E nel corso della giornata, nel succedersi di notiziari, rubriche, informazioni flash (anzi «fles», come si scrive qui) dei moti che stanno preoccupando il mondo non si parlerà mai, proprio mai. Se non in modo assolutamente indiretto, nell'edizione serale del «tg». Dopo undici minuti dedicati al freddo e ventitré alle attività governative, finalmente si scoprirà che Predrag Starcevic, la prima vittima dei moti di Belgrado, «non era un manifestante e soffriva di cuore». Notizia riportata da «Borba», quotidiano di regime, con tanto di immagine dell'articolo e senza commento. «Spegnete la tv, accendete il cervello», continuano a gridare gli studenti di Belgrado. Dei quarantamila trinarìciuti fatti calare in citta dai socialisti la sera del 24, ancora si dice che «avevano la tv al posto della testa». A Nis, giorni fa, c'è stata gente che ha gettato televisori dalla finestra. Erano apparecchi vecchiotti, va bene, eppure mai una protesta popolare si era cosi focalizzata contro un simbolo, mai una tv di regime era stata fatta segno di un disprezzo così diffuso e totale. Sentimenti meritatissimì, diciamolo subito. Perché, pure in una frequentazione piuttosto ampia d'impresentabili emittenti raramente era accaduto di as- sistere ad una così totale, sistematica, proterva distorsione degli avvenimenti. L'unico possibile parallelo è quello con la tv irachena: quella però almeno è di un monolitismo evidente, non si prova neanche a «fare informazione». La «Radio Televizija Srbje» invece sostiene di farlo. «Mi spiace ammetterlo, ma chi lavora nella tv di Stato ormai entra dall'ingresso posteriore», dice Teofil Pancia, uno dei responsabili del supporto tecnico. L'ingresso si apre su via Aberdareva, stradina che gira intomo al grande edificio della tv, costruito nello stile che qui si usa definire «Stalinbarok». «Fino ad un mese fa c'erano problemi di sicurezza, ogni giorno gli studenti arrivavano davanti all'ingresso principale e ci sommergevano con lanci di uova. Adesso però la polizia glielo impedisce. La verità è che molti di noi si vergognano. Ed anche se incontri un vecchio amico ti auguri che non ti domandi in pubblico: "Dimmi, come vanno le cose in televisione?"». Difficile è raccontare come vadano, almeno dall'interno. Un mese fa avevo chiesto un appuntamento al direttore, Dragoljub Milanovic, fino all'altro ieri noto soprattutto per essere stato corrispondente da Nis, città dove il potere socialista è monolitico. Ha chiesto di ufficializzare l'intenzione in un fax. Da allora, quasi ogni mattina un'addetta al cerimoniale che si chiama Natasa Tasic si è informata cordiale della mia salute, delle cose italiane, perfino del Milan di cui si è detta tifosa, ed ogni giorno ha concluso con un soave: «Chiederò nuove informa¬ zioni al servizio contatti con il pubblico». Parlare di «pubblico» in una televisione simile è come chiedere a un marinaio notizie su una carovana di cammelli. Il «pubblico» di Serbia fino ad oggi non ha visto una, una sola delle immagi- ni che stanno facendo il giro del mondo. Avete presente l'oceano di persone in marcia nel centro di Belgrado? Chi non l'avesse visto di persona, in Serbia può ancora essere convinto che nella capitale qualche centinaio di sconsiderati continua a rompere le scatole e a bloccare il traffico sotto l'occhio benevolo della polizia. Una volta soltanto la «Rts» ha fatto eccezione: la sera del 24 dicembre. Quella volta, i notiziari si sono aperti su una «diretta» che mostrava Belgrado invasa da manifestanti. Erano i supporter di Milosevic. Quarantanni., persone che nei «reportages» della tv di Stato erano diventate 500 mila. «C'è una tecnica precisa per mostrare tutto questo, vale sia in un caso che nell'altro», spiega un giornalista che preferisce non essere citato per ragioni intuibili. Racconta di aver partecipato alle sfilate di «Zajedno» con una parrucca e un paio d'occhiali scuri, per non correre il rischio di essere riconosciuto. «Se si tratta di riprendere un corteo dell'opposizione ci si muove tre o quattro ore prima, s'inquadra un gruppo di ragazzoni che cammina in direzione del centro e se qualcuno per caso urta un passante, ecco un diluvio d'interviste a pensionati o donne con la sporta in mano, pronti a dire che a loro dei disordini non interessa affatto. E anzi, che sarebbe il caso di smetterla». Mirjana Bobic fino a cinque anni fa era una «star» della televisione. Poi si è dimessa e adesso scrive articoli sui giornali d'opposizione. Ha il dente avvelenato, com'è ovvio, ma quelle che racconta sono verità sotto gli occhi di tutti. «Accendere la tv serba è come essere investiti ogni sera da una cascata di falsità, è sentirsi avvolti da incitamenti all'odio. Ha visto i notiziari dell'altro ieri? Citavano Vuk Draskovic sole per dire che secondo informazioni confidenziali è ammalato", malato di mente. I veri pazzi pero sono loro, pazzi di paura. Man mano che il terreno gli frana sotto i piedi, la loro manipolazione dei fatti si fa più primitiva» Un esempio? Ecco il modo in cui ieri la «Rts» ha parlato delle pressioni internazionali. «Da Parigi informano che il ministro degli Esteri jugoslavo ha giudicato "equilibrato" il rapporto dell'Osce. In Germania, il governo ha definito costruttiva la posizione jugoslava. La Svizzera sottolinea che il rapporto di Felipe Gonza lez non costituisce arbitrato. A Mosca, si ribadisce che quello delle elezioni di novembre è un problema interno jugoslavo. Draskovic viene definito filoamericano e Dijndijc un nazionalista». Tutto qui. Non una parola, è chiaro, sui contenuti di quel rapporto e nemmeno sulla condanna internazionale al regime di Milosevic. Cinque anni fa. quando la Jugoslavia cominciava a disfarsi, la tv serba fu al centro di una gigantesca epurazione. Allora, serviva gente che fosse pronta a far risuonare prima i tamburi del nazionalismo, subito dopo le trombe che glorificavano «il grande costruttore di pace». Su quasi tremila giornalisti e tecnici, oltre millecinquecento furono sbattuti fuori, e oggi popolano i rari organi d'opposizioni. «Sono rimasti i servi e gli analfabeti», commenta Mirjana Bobic. «Ma in fondo ci stanno facendo un piacere: un giorno, quando tutto questo sarò finito, bisognerà erigere un monumento alla loro stupidità». Ieri il primo servizio sviscerava per lunghi minuti il problema della produzione del latte; silenzio sulle dimostrazioni «Spegnete la tv e accendete il cervello» è uno degli slogan degli studenti. E c'è chi ha gettato dalla finestra il televisore Un parente ai funerali di Predrag Starcevic con un ritratto dell'ucciso. A destra i preti ortodossi che hanno celebrato le esequie