Monica e Maria Letizia unite dalla traiettoria della follia

Monica e Maria Letizia, unite dalla traiettoria della follia Monica e Maria Letizia, unite dalla traiettoria della follia 'PAULA PRIMA PAGINA EL succedersi dei fatti il ripetersi di uno stesso evento, nelle identiche circostanze, non può essere liquidato come una «coincidenza». Una coincidenza non è un capriccio del destino, ma un segnale acceso nel buio della storia, perché ci si fermi a capire un errore, correggere un percorso, riparare un torto. Le «coincidenze» nella traiettoria del sasso dal cavalcavia sono impressionanti. Come tre anni fa (allora la sera del 28 dicembre, stavolta quella del 27), un sasso lanciato sull'autostrada (allora la A22, stavolta la Torino-Piacenza), nei pressi di una cittadina di provincia (allora Bussolengo, stavolta Tortona), uccide una giovane donna (allora Monica Zanotti, stavolta Maria Letizia Berdini) che viaggiava in auto accanto all'uomo della sua vita. Allora a tirare il sasso fu un gruppo di ragazzi, stavolta, probabilmente, pure. Analizzate una a una queste «coincidenze» lungo la traiettoria del sasso rivelano il valore emblematico della tragedia. L'autostrada. La scelta del teatro dell'azione è, oggi come allora, simbolica: l'autostrada è il teatro del transito, il non-luogo dove passano quelli che hanno una meta, un viaggio da fare, qualcuno da abbracciare, una vacanza da concedersi o un affare da concludere. Al contrario, quelli che stanno sul cavalcavia, guardano e poi tornano a casa. Erano figure oleografiche della memoria. Enrico Deaglio in «Besame mucho» le ricorda così: «Là, in controluce, ti aspettava sempre - immancabile - un uomo con la bicicletta. Se chiudete gli occhi e riandate indietro nel tempo, la rivedrete anche voi: la bicicletta è parallela al cavalcavia, vicino all'uomo c'è un bambino. Ha le mani appoggiate alla rete». Guardavano u passaggio delle auto con curiosità e ammirazione che il tempo ha mutato in minaccia e crudeltà. Il viaggio che loro non compiono lo precludono ad altri. Fermano la vita di chi vorrebbe andare da Milano a Parigi 11, a Tortona, con loro e come loro, per sempre. La vittima. Di nuovo una donna giovane, accompagnata dal fidanzato promesso sposo o dal marito appena sposato. Non è solo casualità determinata dal fatto che il sasso uccide più facilmente il passeggero del guidatore. E' simbolo. Il sasso cade sulla vita programmata. Sulla donna, che è quella che pianifica l'esistenza, mentre l'uomo sfoglia il futuro insieme con il calendario, un giorno alla volta, una settimana se ha l'agenda. Su donne come Maria Letizia Berdini che si era organizzata tutta da sola la cerimonia e la festa nuziale (cantando nell'occasione e per «coincidenza» la canzone «Strano il mio destino»), si ristrutturava la casa, progettava quando andare in vacanza, avere figli e tutte quelle cose che possono interessare o no, ma riempiono il tempo e generano, soprattutto nell'attesa e nella preparazione, entusiasmo. Contro queste sensazioni la caduta del sasso celebra la rivincita del vuoto, il castigo inflitto da quelli che lo scrittore argentino Marco Denevi chiama «assassini dei giorni di festa», spiegando che «i cuori privi d'amore diventano crudeli, avidi e feroci come soldati stranieri in una città vinta. Si abbandonano al saccheggio e al massacro degli altri cuori e trasformano i giorni di festa in notti di lutto». Questi individui, in genere, non sanno bene che farsene non dico della loro esistenza, ma addirittura di una semplice serata che la compone. «Ci vediamo in piazzetta, col gruppo» e poi? Il gruppo. Poi, il gruppo fa quel che può. La dinamica del lancio sulla Torino-Piacenza suggerisce che fossero almeno in quattro, nel gruppo, dato il getto ravvicinato di quattro pietre da tre chili. Quattro tiratori o due tiratori e due addetti al passaggio delle «munizioni». Quattro amici scappati subito dopo aver prodotto il rumore che, per quanto assurdo possa sembrare, è il loro scopo. Non la morte, ma il rumore, come ammisero gli assassini di Monica Zanotti. Crash, in senso onomatopeico Un rumore da videogioco (con successivi punti guadagnati) o di guerra, come quello che fa la televisione all'ora di 7 i cena da un luogo (sempre meno) lontano. Il rumore, comunque, come fine ultimo. Nel disinteresse (ammettere nell'ignoranza, sarebbe concedere troppo) della vita che, sotto quel rumore, si spegne. Un gioco criminale da fare in gruppo, anche se «fuori moda», non più praticato da tre anni, dimostrando quanto fosse inutile il suggerimento del silenzio stampa per evitare atti di emulazione. Tre anni di silenzio ed eccoci a Maria Letizia Berdini. Dimostrando, anche, l'inutilità sociale del pentimento e della successiva lettera «a tutti i giovani perché non facciano cose inutili» di uno dei tre lanciatori di Bussolengo. Il paese. Ieri Bussolengo (Verona), oggi Tortona o qualche altra cittadina dell'Alessandrino. Paesi di provincia del Nord, luogo di nascita e residenza dei protagonisti dei più efferati delitti giovanili degli Anni Novanta. Poi dicono: violenza metropolitana. In lealtà, molto più spesso, è fuori dalle metropoli che si accendono queste micce. A Chivasso, non a Torino. A Lo- Un'altra immagine del cavalcavia della morte sull'autostrada Torino-Piacenza

Persone citate: Enrico Deaglio, Marco Denevi, Maria Letizia, Maria Letizia Berdini, Monica Zanotti