Ambrosiano il perché degli «sconti»
Ambrosiano, il perché degli «sconti» Le motivazioni della sentenza d'appello raccolte in quasi duemila pagine Ambrosiano, il perché degli «sconti» «Una pena troppo severa istiga alla ribellione» IL CASO IL «CRACK» DI CALVI MILANO DALLA REDAZIONE Gli imputati sono colpevoli, a detta della corte d'appello, ma le pene comminate in primo grado sono eccessive. Perciò, gli imputati per l'insolvenza del vecchio Banco Ambrosiano vanno puniti, dicono i giudici nelle motivazioni della sentenza (1902 pagine in tutto) aggiungendo però che: «La misura della pena, qualunque sia il reato commesso, dev'essere avvertita dal suo autore come giusta e proporzionata, questo per evitare il pericolo di effetti desocializzanti e di ribellione». E' lecito dubitare che i 19 imputati ritengano che la pena comminata dalla sentenza sia «giusta e proporzionata». I difensori di Carlo De Benedetti, condannato a 4 anni e sei mesi (contro i 6 anni e 4 mesi della sentenza di primo grado) hanno già ribadito la loro «radicale insoddisfazione per tale pronuncia, che sembra aver totalmente disatteso gli argomenti e i dati probatori favorevoli all'imputato emersi nel corso del giudizio di secondo grado». E la difesa annuncia battaglia in Cassazione «che saprà valutare con animo indipendente». Va rilevato che anche altri imputati eccellenti hanno avuto, in sede d'appello, rilevanti sconti di pena motivati, secondo il dispositivo della sentenza redatto dal giudice relatore Luigi Domenico Cerqua, da spirito di «rieducazione»: Licio Gelli (da 18 anni e sei mesi a 12 anni); Umberto Ortolani (da 19 a 12 anni); Francesco Pazienza (da 14 anni e 8 mesi a 8 anni); Giuseppe Prisco (da 8 anni e 8 mesi a 5 anni e 4 mesi); Giuseppe Ciarrapico (da 5 anni e 6 mesi a 4 anni e 6 mesi); Mario Valeri Manera (da 8 anni e 8 mesi a 5 anni e 7 mesi); Flavio Carboni (da 15 anni a 8 anni e sei mesi); Orazio Bagnasco (da 7 anni e sei mesi a 4 anni e due mesi) e Maurizio Mazzotta (da 14 anni e 4 mesi a 8 anni). Perche la condanna degli amministratori del vecchio Banco? La corte ha ammesso nella sentenza che i vecchi consiglieri, tra cui De Benedetti, non avevano intenzione di compiere operazioni di distrazione di fondi dalla banca. Ma, ha aggiunto il tribunale d'appello, essi non si sono opposti, accettando il rischio che le risorse dell'azienda di credito venissero distolte dagli scopi previsti dallo statuto. «Eppure - scrive il giudice - i segnali d'allarme furono parecchi. Tra questi l'arresto di Calvi, la sua condanna a 4 anni di reclusione e 15 miliardi di multa per reati valutari». Nella sentenza si citano altri «indizi» che gli amministratori avrebbero dovuto tener in debito conto: l'appartenenza alla loggia P2, i rapporti di Calvi con Gelli, «lo strapotere di Calvi» e la sua volontà di opporsi alle richieste della vigilanza di Banca d'Italia, la zona d'ombra rappresentata dalle attività estere, in Paesi a rischio come il Nicaragua. Certo, ci fu chi si oppose come De Benedetti ma «le sue richieste economiche» per dar le dimissioni vennero accettate. Di qui la condanna, per i soli suoi due mesi di vicepresidenza dei Banco, per concorso in bancarotta. A tutti gli imputati, con l'eccezione di Gelli, sono state concesse le attenuanti generiche. Tutti gli imputati, comunque, hanno già preannunciatn ricorso in Cassazione. E' scontata, insomma, una terza battaglia giudiziaria, anche perché il reato di bancarotta fraudolenta si prescrive solo dopo 22 anni e mezzo. La prescrizione, quindi, arriverà solo nel 2004. De Benedetti, la difesa annuncia battaglia in Cassazione L'ingegner Carlo De Benedetti
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