« Vittoria? Non è ancora finita »

« « Vittoria? Non è ancora finita » La rabbia di Tonino: io ero un ministro... RETROSCENA NEL RITIRO DI CURNO QUESTI processi si vincono in tribunale, non nelle piazze. Dunque continuo a tacere». Nemmeno con gli amici più vicini vuole commentare Antonio Di Pietro la favorevole sentenza del tribunale di Brescia Mastica amaro il sapore di una vittoria che lo ha spossato e costretto più volte alle lacrime, che gli ha fatto lasciare una poltrona da ministro e l'ha obbligato a ingoiare accuse infamanti. I giudici di Brescia hanno dichiarato i sequestri e le perquisizioni che il 6 dicembre misero a soqquadro per tredici ore la sua casa di Curno, «privi di motivazione e quindi illegittimi». Cosi come illegittime sono da considerarsi le intercettazioni tele foniche che lo riguardavano e priva di consistenza l'accusa di concussione. Ognuna delle ventiquattro pagine che compongono la sentenza del tribunale della libertà è un colpo all'accusa e un punto per la difesa. Ma per Di Pietro è come un regalo di Natale arrivato in ritardo, forse troppo, «lo ero un ministro...», ricorda con voce roca e priva d'entusiasmo ad amici e parenti che telefonano per complimentarsi. Un modo per dire che l'ennesima inchiesta di Brescia è costata cara, e nessuna assoluzione lo risarcirà. Chi lo vede, racconta di averlo trovato «stanco», ancora memore della «fatica che ho dovuto fare per scrivere l'ultima memoria, dato che mi avevano sequestrato ogni carta». E di fronte a chi già canta vittoria Di Pietro non sembra farsi illusioni: «Chissà di cos'altro mi accuseranno. Non è finita, non ancora». L'ex simbolo di Mani pulite ha accolto la sentenza dei giudici del tribunale standosene rintanato nella sua casa di Curno, tentando d'ingannare con la festa di Natale un'attesa che man mano si faceva spasmodica. E quando a metà mattinata l'avvocato Massimo Dinoia gli ha telefonato, la tensione accumulata negli ultimi mesi lentamente si è sciolta, lasciando spazio a una grande tristezza. E infatti si limita a parlare di «primo risarcimento», anche il comunicato che a metà pomeriggio il legale di Di Pietro distribuisce alle agenzie. «Per noi - dice - è un primo parziale risarcimento dei danni subiti da Antonio Di Pietro dopo mesi d'indagini e sospetti. Alla luce delle approfondite e motivate argomentazioni del tribunbale del riesame di Brescia - aggiunge Dinoia - mi auguro che la procura della Repubblica di Brescia voglia ora chiedere l'archiviazione dell'inchiesta su Antonio Di Pietro». Poi il legale, rispondendo alla domanda su come valuta i risultati ottenuti dalla sua difesa in questo 1996, risponde: «La sintesi di quest'anno che sta terminando è che ogni volta che siamo stati portati davanti a dei giudici abbiamo ottenuto ragione. Perché Di Pietro aveva ragione». Soddisfatto ma con moderazione è anche l'avvocato Giuseppe Lucibello, l'amico di Antonio Di Pietro, al quale, nella sentenza i giudici del tribunale riconoscono di aver risposto, durante l'udienza camerale, con franchezza «e senza reticenze». «Mi hanno ridato un minimo di dignità professionale - dice - perché nella motivazione il tribunale del riesame di Brescia sottolinea che tra me e Francesco Pacini Battaglia e tra me e Antonio D'Adamo non ci sono indizi di cosi; diverse dal mero rapporto professionale». Anche Lucibello però mette in guardia da nuove controffensive: «Spero - aggiunge - che il Gico di Firenze non inventi qualcos'altro. Continuerò comunque a battermi perché sia fatta completa chiarezza su questa vicenda». Ben più duri i commenti dei politici vicini a Di Pietro: «Piange la banda dei veleni di Ferrara e la Parenti, vince la verità», afferma convinto l'onorevole di An Mirko Tremaglia a proposito della sentenza. Secondo Tremaglia, l'ordinanza del tribunale della libertà «ò un documento impressionante e di esaltazione, ancora una volta, della trasparenza e della pulizia delle azioni compiuti! dal dottor Di Pietro». E quindi l'esponente di An ricorda, a questo proposito «le quattro archiviazioni ottenute da Di Pietro» per le inchieste della procura di Brescia, cui fa seguito oggi la decisione sull'ordinanza di perquisizione Paolo Colonnello scaturite dal rapporto dei Gico: «Le famose perquisizioni operate da quattro magistrati e 300 uomini - sottolinea Tremaglia non hanno avuto alcun valore. Il tribunale della libertà le ha revocate perché illegittime, non sussistendo alcuna indicazioni' di colpevolezza». A Tremaglia si accoda l'onorevole Maurizio Gasparri, coordinatore di An: «Di Pietro deve continuare ad avere fiducia nella giustizia, cosi comi; noi l'abbiamo avuta in lui». E conclude Klio Veltri, deputato di Sd, uno dei maggiori sostenitori dell'ex pm in Parlamento: «La decisione del tribunale della liberta di Brescia rendi' giustizia ad Antonio Di Pietro, oggetto di una persecuzione assurda e gratuita che dura dal 1992. A questo punto si può concludere che ogni volta che la procura di Brescia, da Salamoile a Bonfigli a Tarquini, si è confrontata con un giudice terzo, gip o tribunale della libertà, e stata clamorosamente smentita». Dinoia: dopo veleni e sospetti vogliamo l'archiviazione Lucibello: mi hanno ridato un minimo di dignità professionale q pg ppm dell'inchiesta «Di Pietro 2» che da oltre un mese indagano sull'ex magistrato e i suoi amici: «Non sussistono gli indizi di rilievo, le perquisizioni rimangono prive di motivazioni e quindi illegittime». Il giudice Pallini va anche oltre. Nella sua lunga ordinanza entra pure nel merito delle accuse rivolte a Di Pietro, al suo amico Giuseppe Limbello e all'imprenditore Antonio D'Adamo. Tutti accusati di concussione ai danni di «Chicchi» Pacini Battaglia, lo «sbancato» che smentisce tutto e giura di essere stato al massimo «sbiancato». Scrive Pallini nella sua ordinanza: «Delle due l'una: o il Paci¬ q q pre a D'Adamo, a Lucibello, a Enrico Manicardi della Interponi e agli altri amici dell'ex magistrato, l'ex sindaco di Curno Roberto Amoldi e il maresciallo delle fiamme gialle Salvatore Scaletta - il giudice Pallini se la prende ancora con i pm bresciani dell'inchiesta «Di Pietro 2». Nell'udienza davanti p gindagati Di Pietro, Lucibello e D'Adamo a fronte di un ipotizzalo reato di concussione ai danni del Pacini Battaglia». Carenti le prove depositate, per il giudice Pallini. Ancor più carente l'origine di tutto, il rapporto 470 del Gico, quello firmato dal colonnello Giuseppe Autuori prima di essere trasferito. Quello passato di mano da La Spezia a Brescia, procura competente ad indagare su Antonio Di Pietro. Secondo il giudice Pallini quella relazione è «anomala»: «Esordisce con l'accenno alquanto generico di "una attività criminosa struttore Antonio Dneficiato di 15 inspliardi da «Chicchi». Di Pietro non indaper la vicenda «Coopgiudice Pallini lo «Non si è in grado diDi Pietro abbia defiescluso di procedereni, già peraltro indagteplici fatti». Di Pietro disse «sstesso dell'arresto, alla scarcerazione di l'acini? Scrive, Pallini: «Il fatto che si sia costituito (Pacini, n.d.r.) e che abbia collaboralo, costituiscono ele¬ RETROSCENA NEL RITIRO DI CURNO