«Slobodan bandito ci vediamo domani

imi lm ore. Ieri i dimostranti, chiusi da due cordoni di agenti, hanno rinunciato a marciare «Slobodan, bandito, ci vediamo domani» Tra i manifestanti decisi a resistere: dureremo più di te VBELGRADO ENTIMILA poliziotti schierati con armi e scudi fanno paura ad ogni latitudine. Se brandiscono manganelli neri in stile collettivista, di quelli che con un colpo raggiungono tre teste, ne fanno ancora di più. Quando però da tre giorni Suesti poliziotti devono presiiare le strade di Belgrado, e per la strada ci sono undici gradi sottozero, beh, allora neanche il termine paura può spiegare i sentimenti che incutono. Date un bersaglio a queste mute furenti, un oppositore, uno studente, una qualsiasi figura umana e vedrete ondate di. tute azzurre'e metallici elmetti sollevarsi contro l'obiettivo, frangersi su di esso con cieca furia sommergitrìce. E' accaduto alla vigilia del nostro Natale, stava per accadere ieri, accadrà ancora. A Belgrado i giorni della repressione e del sangue si fanno sempre più vicini. Oggi non si sfila, p»»r la prima volta in 37 giorni. «Fa freddo, c'è neve, il clima è brutto...», dice ironico Vuk Draskovic davanti al cavallo di bronzo del principe Mihajlo. «Oggi resteremo fermi, e se domani le condizioni miglioreranno faremo la nostra passeggiata...». Clima davvero infame: quello che si può vivere con un cordone di polizia che ti controlla all'interno ed un altro, più ampio, che ti circonda pronto a muoversi al minimo segnale, a schiacciarti. Anche oggi sono quasi 100 mila, gli oppositori riuniti in piazza della Repubblica. Si sfogano girando in cerchio, all'interno dei due grandi ansili di poliziotti armati. Stamani, quando un gruppo aveva tentato l'attraversamento della «Terazija», i pretoriani del regime si sono mossi in falangi compatte e minacciose, con un rimbombare di scarponi che neanche il tappeto di neve riusciva ad attutire La gente è stata sospinta via, costretta a tornare indietro. Adesso batte le mani per far sapere di esser viva, i piedi per sopravvivere al gelo, batte sui tamburi per ricordare a Slobodan Milosevic che la notte del 24 ha segnato un punto di svolta, e l'ex «rivoluzione delle uova» si è trasformata in qualcos'altro. Guerra civile? No, Belgrado e la Serbia ne sono ancora lontani come remoto - anche se un po' meno di prima - appare l'accostamento fra lo scomposto furore di Milosevic e il delirio d'onnipotenza del'ultimo Ceausescu. Eppure appena quarantott'ore fa Belgrado ha vissuto una giornata in stile romeno: la calata dei fedelissimi, la sfilata dei puri e duri, comunisti sospinti da fabbriche e campagne per riprendersi la capitale. Come i mi- natori che nell'estate del '90 invasero Bucarest per dare il sostegno delle loro mazze ad un altro regime criptocomunista in difficoltà, quello di Iliescu. «Prima di rivelarsi furibondi erano stupiti», mi racconta un gruppetto di studenti che ai bordi del comizio sventola un cartello straordinario. Sapete, no, cosa si dice in giro delle bionde. Qui adesso tre splendide ragazze dai capelli d'oro prendono in giro se stesse e la tradizione popolare reggendo uno striscione che dice: «Milosevic, sei un bandito: anche le bionde l'hanno capito». Mobilitati dal regime, i primitivi certo non capivano. «Ancora uno scontro fra Serbia rurale e Serbia urbana, ancora la gente che Milosevic aveva messo in moto quando ha scatenato la guerra. Arrivati in città hanno cominciato a sorridere, a guardarsi attorno, quasi chiedendo approvazione. Erano di quelli che credono solo alla cellula ed alla tv, pensavano di venire a liberare Belgrado dai fascisti». Neanche l'immaginazione di Emir Kusturir.t. avrebbe potuto spingersi a tanto. I serbi che in «Underground» seguitavano a vivere, cinquantanni dopo, l'in¬ cubo dell'occupazione nazista, almeno erano nascosti sottoterra. Questi no: «All'inizio erano contenti, come alle manifestazioni per il compleanno di Tito. Qualcuno lo gridava anche: "Mismo Titovi, Tito je nas", noi siamo di Tito, Tito è nostro. Poi hanno cominciato a gridare "viva Slobodan", la gente li ha fischiati. E' stato allora che hanno cominciato a perdere la testa». Il bilancio della «contromanifestazione» è stato di un morto e 98 feriti, cinque dei quali gravissimi. Ma ce n'è un altro deci- o ri o a e i a i e ] smente più grave, ed è quello che Vesna Pasic, una dei leaders di «Zajedno», traccia con un sorriso di trionfo al piedi del cavallo di bronzo. «Quello dell'altra notte è stato un altro dei nostri trionfi, forse il maggiore. Il "grande costruttore" è uscito come il grande sconfitto dalla giornata che avrebbe dovuto rafforzarlo. Se neanche quarantamila operai pagati per essere qui sono riusciti a riprendersi la piazza non ci riuscirà più nessuno. Milosevic si sente scornato, è in piena crisi di panico, ormai comincia a capire che noi dureremo almeno un giorno più di lui...». Poco più in là Zoran Djindjic, un altro dei capi dell'opposizione, sta gridando al microfono: «Se Milosevic ha organizzato tutto questo per cancellare un'elezione comunale, cosa farà mai per le Presidenziali? Pensa di scatenare un'altra guerra mondiale?». Intanto, sta facendo sì che l'opposizione trovi sostegni sempre più convinti. Se l'altro ieri, entrando a Belgrado, i suoi sostenitori hanno scoperto una città che dalle finestre li bombardava di latte in tetrapak e palle di carta imbevute d'acqua, oggi sui giornali affiorano anche le perplessità di chi non vuole immischiarsi. Scusate, scrive a «Nasa Borba» un ingenuo lettore: ma che sono venuti a fare, a Belgrado, questi tipi? Si parlava dell'elezione di un sindaco, quelli sono arrivati per gridare «viva Slobo» e «viva la Serbia». Cosa c'entrava? Già: cosa c'entrava? «Al posto della testa avevano un televisore», commenta un giornale satirico. Ma anche un potere in grado di organizzare questo clamoroso autogol, al posto della testa doveva avere qualcos'altro. Doveva essere un «problema di traffico» (così almeno ha detto il ministro degli Interni, annunciando rappresaglie) e si è trasformato in un problema di movimento. Una reazione che è riuscita solo a sottolineare il contrasto - la guerra, quasi - fra la statica, immutabile Serbia dell'arretratezza contadina e la Serbia delle città che si sta muovendo, e non solo in corteo, a Belgrado come a Nis, a Valjevo, Cacak, Uzice. Oggi, polizia o no, si ricomincia. Secondo Vuk Draskovic, il tribuno, a Nis c'è già un reparto speciale della polizia che parteggia apertamente per i dimostranti. Gli studenti, che continuano a muoversi da soli, ieri mattina sono riusciti ad attraversare il centro senza incidenti. Ai poliziotti che li guardavano furenti hanno gridato in coro: «Ci vediamo domani». «calata dei fedelissimi» ricorda Testate del 1990 a Bucarest, quando Iliescu chiamò orde di minatori dalla provincia profonda per puntellare il suo regime criptocomunista in crisi E' uno scontro tra Serbia rurale e urbana il ritorno di quella gente delle campagne che il leader aveva messo in moto per scatenare la guerra Pare un frutto della fantasia di Kusturica Ma i protagonisti di «Underground» che continuavano a vivere l'incubo nazista stavano sottoterra Hill «Se 40 mila operai prezzolati non «Quando perderà le presidenziali ci hanno vinti non lo farà nessuno» scatenerà la guerra mondiale?» Il leader dell'opposizione serba. Vuk Draskovic, parla al sostenitori radunatisi anche ieri in piazza della Repubblica, a Belgrado, per un corteo al quale si è rinunciato dopo l'arrivo di migliaia di agenti in tenuta anti-sommossa In basso- studenti, il giorno di Natale, hanno versato simbolicamente sapone nel centro della città per ripulirla dopo gli scontri della vigilia [foto ansa)