La riscossa cinese di De Michelis

La riscossa cinese di De Michelis Superato il trauma di Tangentopoli, è diventato il portavoce delle nostre aziende nel Paese La riscossa cinese di De Michelis Viaggio con l'ex ministro nel mercato del futuro INCHIESTA L'ITALIA E IL MODELLO ASIATICO LPECHINO UPIS, è Finita, addio per sempre, sto morendo di freddo». Avvolta fino alle caviglie in una pelliccia di visone selvaggio completa di ampio cappuccio di visone sotto il quale - per maggiore sicurezza - ha indossato un colbacco di visone, Stefania Tucci sospira nel fazzoletto che le protegge la bocca proprio li al centro della Città Proibita, sui gradini del Palazzo Imperiale dove impetuoso e gelido il vento pechinese si abbatte su di lei e su centinaia di turisti cinesi capaci inusitatamente di resistere in giacchetta, stupefatti forse più dell'occidentale assiderata che non delle antiche meraviglie. Un uomo alto e massiccio - colui che con forte accento partenopeo è stato invocato in veste di «Lupis» - teneramente la bacia sul collo del visone e ne massaggia la schiena pelosa. Non c è dubbio, quel premuroso cavaliere dal soprannome silvestre altri non è che Gianni De Michelis alle prese con la donna che può vantarsi di avergli fatto tagliare i capelli e perdere venticinque chili di peso. Una donna riuscita a far perdutamente innamorare di sé il più noto sciupafemmine da discoteca della Prima Repubblica, e perfino a conglobare in un appartamento borghese dei Parioli il single che sapeva vivere solo in camera d'albergo. Adesso lo avvolge nei suoi morbidi ma tormentosi sfottò ricevendone in cambio solo estasiati sorrisi. Cosi mutato nei modi e nei costumi privati, Gianni De Michelis, colui che per tre anni guidò da ministro la politica estera italiana stabilendo il record dei chilometri di viaggio in giro per il pianeta (800 mila), oltrepassato il trauma di Tangentopoli ha ripreso a viaggiare indossando panni completamente nuovi. Ormai possiamo infatti considerarlo il più esperto e abile mediatore d'affari portavoce delle aziende italiane interessate a misurarsi con il vero grande business del futuro: la Cina, prossima superpotenza economica dov'è accolto senza più gU onori di Stato ma pur sempre con la memoria grata del gesto da lui compiuto nel '91, quando fu il primo ministro dell'Occidente a venire in visita e riallacciare un dialogo, ponendo fine all'embargo intemazionale decretato per la strage di piazza Tienanmen. Chi ha ignorato, nella prima metà di dicembre, uno degli eventi di politica internazionale più rilevanti del '96, cioè l'assemblea della Wto (Organizzazione mondiale del commercio) riunita a Singapore sotto la presidenza di Renato Ruggiero (a suo tempo il miglior ministro del Commercio Estero che l'Italia abbia mai avuto), potrà forse in parte recuperare seguendo le gesta della coppia Gianni-Stefania in viaggio proprio negli stessi giorni tra Pechino, Shanghai e Chengdu. A Singapore si abbattevano dazi doganali soprattutto nel campo delle telecomunicazioni; si esaminavano le procedure necessarie ad ammettere la stessa Cina e la Russia dentro il consesso Wto di un'economia ormai pienamente globalizzata; si disputava invano attorno alla cosiddetta «clausola sociale» con cui i Paesi occidentali - ad alto costo del lavoro e forte disoccupazione intema • propongono di bloccare l'export delle merci prodotte soprattutto in Asia col lavoro dei bambini e dei detenuti. Poco più a Nord, ma sempre nel medesimo Estremo Oriente divenuto ormai nuovo centro del mondo, l'ex ministro De Michelis consumava uno dopo l'altro i suoi appuntamenti d'affari mentre Stefania Tucci si cimentava nel più imponente degli shopping natalizi. Parrà forse sproporzionato addentrarsi in un tema cruciale quale rincontro-scontro fra il nuovo modello asiatico e la nostra matura economia occidentale, così, spiando dal buco della serratura un ex leader socialista indotto a trovarsi un lavoro dall'innata sua esuberanza nonché dalla stringente necessità di saldare settanta milioni di parcella l'anno agli esosi avvocati difensori di Tangentopoli. Ma il nostro non sarà solo un viaggio d'affari. Perché l'ex politico per nulla pentito, oggi appassionato stu- dioso di demografia storica, cercherà ad ogni passo conferma alla sua idea di una Cina ormai prossima non solo a contrastare gli Stati Uniti ma a sopravanzarli, ripristinando quel molo di potenza dominatrice che nei millenni le è sempre appartenuto fino a due secoli fa. Ma se questo è vero, allora sarà difficile ignorarne le ripercussioni in casa nostra. Ben venga anche De Michelis, se ci aiuta a prevederle in tempo. Perché in un mondo divenuto interdipendente, con le merci cinesi ?;ià adesso in grado di invaderci renate a stento da ondivaghi decreti unti-dumping - da Est rischiamo di importare anche stili di vita e un'organizzazione sociale terribilmente distanti dalla nostra. Oltre che un ulteriore boom della disoccupazione. Sembra paradossale ma è sul quotidiano dei rifondatori comunisti «Liberazione» che leggiamo i titoli più allarmati contro i comunisti cinesi con quel loro «modello asiatico» che rischiano d'imporci sulle ceneri dello Stato sociale e della concertazione sindacale. Mentre Bertinotti s'indigna, il businessman se <■ .dista non esprime alcun moto d'inquietudine ma solo entusiasmo di fronte all'exploit del dragone cinese; questo è il futuro, l'importante è starci dentro. In ciò almeno ritroviamo il vecchio De Michelis, divenuto altrimenti fin timido e dimesso quasi che in un trapasso di personalità l'intera sua esuberanza se la fosse presa Stefania: un dissipatore di presente che se- pravvive riempiendosi i polmoni di futuro. A Pechino, a Shanghai, a Chengdu, per la verità, si respira soprattutto polvere. Polvere eternamente sospesa a mezz'aria di queste città-cantiere dove ogni strada freneticamente viene demolita e rifatta, dove interi quartieri di hutovig - case basse a un piano - nel giro di pochi mesi vengono rimpiazzate da una selva di grattacieli. Il fatto è che De Michelis assa- Gra nell'aria fuligginosa di carne e impregnata di polvere edilizia lo spirito animale del capitalismo. Prova solo ammirazione di fronte a quell'umano formicolio diurno e notturno, al lavoro 24 ore su 24 sabati e domeniche compresi, grappoli di operai illuminati dalle cellule fotoelettriche sulle impalcature di bambù dei palazzi da cento piani in costruzione mentre dondolano i lavavetri appesi solo a una fune per lustrare quelli già ultimati nel giro di sei mesi. mo di a e aliena L'ostentazione delle merci fino a ieri sconosciute, le pubblicità al neon accese dappertutto, perfino Babbo Natale e Merry Christmas esibiti a profusione in mezzo a gente che di certo non festeggia il Natale: tutto ci rivela come questo Paese gigantesco in cui uno Stato forte sperimenta con pugno di ferro l'ossimoro del «socialismo di mercato», non consentirà alle aziende occidentali (comprese quelle di cui De Michelis è portavoce) alcun comportamento «mordi e fuggi» del genere sperimentato negli altri Paesi in via di sviluppo a basso costo di manodopera. Qui, come vedremo, chi vuole intraprendere affari deve fare i conti prima con l'autorità pubblica e poi con la logica privatistica dei nuovi manager. E il coltello dalla parte del manico, quanto a profitti e proprietà, lo terranno sempre loro. Ma nello stesso tempo in Cina chi vuole fare impresa deve per forza venirci, pena restar tagliato fuori dal futuro. Sapendo che chi ci arriva in ritardo, come l'Italia, pagherà per questo dei prezzi sali fatto è che la Cina non è semplicemente una Corea, una Taiwan, una Singapore centinaia di volte più grande, con la manodopera a prezzi ancor più stracciati. Non è solo un ingrandimento del Giappone quanto a capacità di apprendimento rapido e dispiegamento produttivo dell'high tedi. Non basta neppure inquadrarla come il mercato più vasto e attraente della Terra per qualsiasi genere di prodotto altrove saturo e per le infrastrutture di cui è ancora in larga misura priva. No. La Cina è tutto questo ma è insieme pure la più grande comunità umana compatta al proprio inter¬ no per lingua e tradizioni culturali, una potenza che non rinuncia a investire sugli armamenti e assegna al proprio esercito una funzione guida: in piazza Tienanmen un grande schermo fa il conto alla rovescia dei secondi che mancano al 30 giugno 1997, giorno in cui Hong Kong ritornerà sotto la giurisdizione chiese. Un evento simbolico della potenza riconquistata. Dentro questo universo iperdinamico che chiude il '96 con un tasso di sviluppo del 10 per cento contro il nostro misero 0,8, ci faremo dunque guidare dalla tenerissima coppia che abbiamo lasciato in via di congelamento, la mattina stessa dell'arrivo da Roma, sui gradini del Palazzo Imperiale. «Quest'anno Lupetto e Lupetta hanno viaggiato troppo poco fuori Europa, vero Lupis?», si lamenta Stefania battendo i piedi di fronte a un trono intarsiato. «Solo due volte in Cina contro le sei dell'anno scorso, e poi Nuova Guinea, Australia, Egitto, Birmania, due volte New York, non un granché». Mica che stia ferma, Stefania, uno scricciolo napoletano furibondo di 32 anni dall'ironia e dalla vitalità incontenibili, quando non viaggia col suo cinquantaseienne Gianni: il lavoro la porta ogni settimana tra la Svizzera, Londra, Bmxelles, Parigi, Milano, per poi magari fare una scappata sotto il Vesuvio a trovare mamma e papà. Di che cosa si occupa? «Finanza». In che senso? «Soldi». Senza ulteriori specificazioni, se non quelle necessarie a illustrare una straordinaria precocità. Com'è possibile che Stefania Tucci a 32 anni sia tra i pochi finanzieri italiani operanti a Wall Street? Tradizione di famiglia? «Macché, mio padre è ingegnere. Semplicemente io a scuola ero più brava dei miei fratelli, e allora mamma per equità mi versava ogni anno una somma corrispondente ai soldi investiti nelle loro ripetizioni private. Così a 13 anni avevo il mio giardinetto di azioni. A 21 anni ho fondato la mia prima società». Con De Michelis si è fidanzata nell'aprile del '94, «esattamente quando ha perso l'immunità parlamentare», e attraverso di lui ha conosciuto alcuni di quei politici napoletani che prima disprezzava tanto e adesso protegge con giovanile baldanza, come Cirino Pomicino e Di Donato. Ma nessuno vale il suo Lupis, un genio di cui è pronta a farsi carico supplendo all'assoluto disinteresse di lui per qualsivoglia faccenda materiale, dal denaro alla cura per gli abiti, con l'unica eccezione dei libri. La dedizione di Stefania viene da Gianni De Michelis ricambiata non solo con l'affetto ma con sincera devozione intellettuale, come testimonia l'impegnativa confidenza registrata in un coffeeshop di Shanghai: «Da quando ho conosciuto Stefania e il suo lavoro, la finanza, ho finalmente capito cos'è stata Tangentopoli. Prima ero come un uomo assassinato senza conoscere il colpevole. Grazie a lei adesso so che Tangentopoli è un'operazione montata dai ladri per far fuori gli onesti». Cosa dice mai. De Michelis? «Vede, noialtri ci facevamo scrupolo di accettare cento o quattrocento milioni di contributo per mantenere l'attività politica, mentre gU uomini della finanza non muovono un'operazione che sia una per meno di un miliardo. Ma Cuccia e gli altri come lui hanno sbagliato i calcoli allean- mati i leggono zione dosi a quest'iniziativa scatenata dai magistrali comunisti, perché nessuno sa più fermarla e il Paese va in malora. Hanno gridato allo scandalo per le somme versate ai partiti, ma si rende conto cosa ha significato comunicare a Borsa aperta la fusione tra Stet e Telecom?». Sarà, questa, l'unica digressione che il nostro uomo d'affari si concederà su di un passato per il quale giura di non provare alcuna nostalgia. Nessun rimpianto, neppure quando lo accompagneremo in taxi (anziché in limousine) agli incontri commerciali fissati nella hall dei soliti albergoni oppure nella sala riunioni delle nuove companies cinesi (anziché nelle sedi diplomatiche); e lui dovrà estrarre dalla bustina di plastica trasparente i fax di oscure ditte di Cesena, Varese o Isernia, magnificandone la gamma di prodotti e le offerte di joint-venture, dopo aver presentato il biglietto da visita stampato in caratteri cinesi: Onorevole Professor Gianni De Michelis. «E' un piccolo trucco ma lo apprezzano sempre», confida. Sul biglietto non c'è scritto ex Ministro degli Esteri della Repubblica Italiana, ma i manager cinesi lo sanno benissimo che quell'enorme «Mistel Gianni» - cosi lo chiamano - seduto di fronte a loro è persona gradita ai vertici dello Stato, ciò che faciliterà il superamento degli immancabili ostacoli burocratico-procedurali. Le credenziali però non bastano a con eludere affari con questi nuovi capitalisti rappresentanti aziende statali o in via di privatizzazione, tutti col telefonino e il contaminuti appoggiato sul tavolo a inizio riunione, abili nella trattativa e intransigenti nel calcolo dei propri margini di profitto, Ad ogni seduta, poi, rilanciano confidando all'interlocutore occidentale il proprio interesse per un prodotto diverso da quello che lui offre, ma che in Cina godrebbe di un mercato immenso. Il giovane manager Lu Jun viene a prenderci in albergo a Pechino e sull'auto coi vetri fumé ci conduce al cospetto di Wang Yanmou, un biglietto da visita fitto di cariche onorifiche tra il ministero delle Costruzioni e l'Hoi Tak, megasocietà cementiera fondata dai cinesi della California. Mostrano interesse per i prefabbricati di un industriale bolognese amico di Andreatta con cui si possono tirare su fino a dodici piani («Bologna? La sua squadra è seconda in serie A vero?», s'illumina il filooccidentale Lu Jun). Sorridono impenetrabili. Concordano una visita in Italia previo invito ufficiale della Farnesina. Ma poi Wang Yanmou butta li: «Mistel Gianni, non troverebbe qualcuno a Carrara disposto a insegnarci la lavorazione del marmo?». A Chengdu la stessa storia con quelli della Noe. De Michelis gli propone una joint-venture con un cesenate produttore di generatori, loro studiano benevoli l'altare finché il direttore Jiang Xingsheng, dopo aver centrato di precisione con uno sputo la bustina vuota dello zucchero e dopo averla ordinatamente ripiegata, chiede: «Mistel Gianni, avrebbe mica da proporci dei piccoli scaldabagni per famiglia singola? Qui c'è il boom dell'individualismo, nessuno vuole più dipendere dal riscaldamento centralizzato, lo sa quanti pezzi potremmo produrne?». Meglio non chiederlo, saranno certamente milioni. Ormai De Michelis ne ha una lunga serie di queste idee ancora da realizzare per star dentro la crescita del reddito di 1 miliardo e 250 milioni di cinesi. Forse quella che gli è più cara riguarda la scoperta del tempo libero: «In questo Paese fino a poco tempo fa l'alternativa era tra morire di fame e sopravvivere. Adesso e diventata tra sopravvivere e far fortuna. Ma a tutti si propone per la prima volta l'esistenza di mezze giornate o addirittura di intere giornate libere. Chi riuscisse a realizzare dei parchi di divertimento organizzati sul modello Disney, farebbe un affare che si ripaga in pochi anni. Ma quando l'esercito mi chiese di organizzare qualcosa del genere a Chengdu, mettendo a disposizione carri armati e missili come attrazioni, non sono riuscito a trovare un imprenditore italiano disposto a scommetterci». 11 nostro inviato in (Una è però capace di centrare bersagli di ben più alto livello. I,a prima sera a Pechino, cena al mitico China Club inaugurato nel giugno scorso in un palazzo settecentesco dalla sobria eleganza prerivoluzionaria, le corti ornate di lanterne rosse che s'inseguono luna nell'altra. Siedono al tavolo rotondo il famoso architetto Usa con assistente coreana, la banchiere riconvertila promoter culturale e una specie di Federico Zeri americano con l'anello di Harvard al dito: insomma il vertice del Guggenheim Museum di New York, del cui border De Michelis è stato a suo tempo membro, e che ora ha introdotto presso il ministero della Cultura cinese per organizzare nel gennaio '98 una fondamentale esposizione su 4 mila anni di storia. Quando aiTiva il vassoio del pesce Stefania, abito di Valentino e orologio Bulgari al polso, molla le bacchette d'argento e con le mani ne afferra la testa per succhiarla con gusto. Gli occhi scintillano nel sorriso che si scambia con Gianni: una regina può permettersi di fare la gatta. GadLemer (1. continua) Con lui Stefania, la donna che gli ha fatto tagliare i capelli e perdere 25 chili A Pechino ricordano che fu il primo ministro occidentale ad arrivare dopo la Tienanmen E' convinto che presto la Cina sopravanzerà gli Stati Uniti con ripercussioni per noi «Tangentopoli? Adesso ho capito che è un'operazione montata dai ladri per fare fuori gli onesti. Il guaio è che nessuno riesce più a fermarla» Non a caso i titoli più allarmati contro i comunisti cinesi si leggono sul quotidiano di Rifondazione Dalia Città Proibita rischiamo di importare anche stili di vita e un'organizzazione sociale aliena Una fabbrica in Cina, superpotenza economica di un prossimo futuro Nella foto piccola, Gianni De Michelis con Stefania Tucci