I giudici restituiscono le carte a Di Pietro
Brescia: il tribunale del riesame decide il 29, e la Procura «libera» 25 casse di materiale Brescia: il tribunale del riesame decide il 29, e la Procura «libera» 25 casse di materiale I giudici restituiscono le carte a Di Pietro «Non si indaga sul lavoro da ministro» BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO «Si, v.iiibi', ma quelle carte che c'azzeccano?», dice - più o meno cosi - l'ex magistrato Antonio Di Pietro, por la seconda volta in una settimana davanti a un giudice. Allora aveva fatto scena muta, questa volta a porte chiuse parla, un fiume in piena di due ore in cui l'ex ministro spiega che quella perquisizione a casa sua a Curno ora illegittima, che gli uomini del Gico non avevano diritto di sequestrargli carte e floppy disk denunce ed esposti. Il giudice del Tribunale del riesame Roberto Pallini ascolta, chiede, prende appunti. Vuole conoscere pun; la verità della procura, che il 6 dicembre scorso, due anni dopo l'addio alla toga, ha firmato il decreto di perquisizione. Per Di Pietro, per l'amico Giuseppe Lucibello, per gli amici degli amici che giravano - forse - attorno a «Chicchi» Pacali Battaglia, lo «sbiancato». In aula per la procura c'è Francesco Piantoni, mente giuridica del pool «Di Pietro 2». Deposita 5 pagine di spiegazioni tecniche per conformare che tutto era in regola. Più il rapporto 470 del Gico, quello in cui Pacini dice di essere stato «sbancato» Più tutti gli allegati, tabulati delle telefonate compresi, coperti da omissis su omissis. Poi il pm Piantoni fa sapere che un po' delle cose sequestrate a Di Pietro - ma non tutte - possono essere rese: dagli esposti alle denunce, dalla requisitoria Enimont ai computer e floppy disk. Tra quelle 25 casse di documenti sequestrati a Curno rimangono nelle mani della procura le tre pagine del Tribunale della liberta di Genova, quello su Pacini Battaglia. «Si, ma ci siamo tenuti anche altro*, dice un altro magistrato del pool bresciano. Senza entrare nei dottagli «Uè, Massimo, dobbiamo trovare un furgone per portare vie le carte», se la ride l'ex magistrato, mezzo sigaro in bocca, giaccone verde, giacca grigia, pantaloni blu. «Sì, possiamo prendere quello», sogghigna Massimo Dinoia, il suo avvocato. E indica un furgone blu dei carabinieri, solitamente usato per trasportare i detenuti. «Ma io le carte non le voglio, il giudice deve ridarmele dicendo che la perquisizione non è stata regolare», sibila Giuseppe Lucibello, anche lui in aula a far valere le sue ragioni. A partire dal fatto che i suoi rapporti con Pacini, per un bel po' suo assistito, sono sempre stati trasparenti. E anche lui deposita un memoriale Di 40 pagine, tre in ine- no di quello di Antonio Di Pietro. Contro il decreto si sono appellati al Tribunale del riesame altre 5 persone. Sono l'imprenditore Antonio D'Adamo, sua figlia Patrizia, il maresciallo della Finanza Salvatore Scaletta, il dirigente dell'Interporto di Milano Enrico Manicardi. Più l'ex sindaco di Cumo Roberto Arnaldi. Tutti perquisiti il 6 dicembre, tutti amici di Di Pietro, tutti chi più o chi meno - in qualche modo legali a Pacini. 0 ai suoi affari. L'udienza va avanti 7 ore. Il pm Piantoni fa mettere a verbale che l'indagine su Di Pietro, e sui suoi amici, si ferma al '94. Quando l'ex simbolo di Mani puliti: era ancora in toga, quando nessuno ancora sapeva del suo futuro al governo. Giusto perché se l'indagine riguardasse pure questo periodo, sarebbe competente il Tribunale dei ministri a Roma e non Brescia. Alle 15 è tutto finito. Il presidente Pallini si riserva di decidere - entro il 29 dicembre - chi abbia ragione, se l'ex magistrato o la procura. Di Pietro lascia il palazzo di via Cavour senza dire una parola. Il suo avvocato, Massimo Dinoia, fa gli auguri di Natale. E a quel punto può smobilitare anche la maestra elementare, arrivata da Alessandria per sventolare il suo tricolore a sostegno del pool Mani pulite, solitaria sentinella dalle 7 e 45 del mattino. Fabio Potetti L'ex ministro dei Lavori Pubblici Antonio Di Pietro
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