«Benvenuti al Grand Hotel dei picciotti»

«Benvenuti al Grand Hotel dei picciotti» RETROSCENA VITA ALLEGRA ii sbarre «Benvenuti al Grand Hotel dei picciotti» Storie dalla prigione dove comandavano i boss LPALERMO A sua lugubre fama risale alla mattina del 9 febbraio 1954. Quando Gaspare Pisciotta, luogotenente dei bandito Salvatore Giuliano, venne assassinato nella sua cella con un caffè alla stricnina. Aveva promesso rivelazioni di fuoco sulle complicità offerte all'avventura di Giuliano e sulla strage di Portella delle Ginestre. Qualcuno gli tappò la bocca appena in tempo. Da quel giorno, l'Ucciardone, ex edificio modello, si è trasformato nel sinistro testimone dei più grandi misteri di Palermo. E pensare clic quando lo costruirono, tra il 1830 ed il 1 Mìo, i Borboni pensavano ad un carcere all'avanguardia. «Una specie di luogo felice», annotava Frances Elliot, gentildonna inglese, nel diario del suo viaggio a Palermo, anno di grazia 1879, pubblicato dalla editrice La Luna, «con le sue finestre munite di sbarre di ferro, prospicienti la bellissima vista del porto». Cento anni dopo, è Tommaso Buacetta, il primo pentito di Cosa nostra, a svelare a sorpresa che i boss all'Ucciardone se la spassavano alla grande. «Li dentro i capi sono loro», giura don Masino. E non parla certo per sentito dire. Negli Anni Settanta, da detenuto eccellente, lui stesso aveva trascorso una detenzione con tutti i comfort. Si faceva servire pranzi sontuosi a base di aragosta e champagne. E, all'ora della pennichella, appendeva alla porta un cartello: «Sto dormendo». Per non essere disturbato. Ecco perché i picciotti lo chiamavano Grand Hotel Ucciardone. Il pentito Stefano Calzetta, nei suoi verbali, elenca privilegi e favoritismi riservati per anni ai padrini in carcere: «I reclusi appartenenti alle grosse famiglie di mafia non usufruiscono del vitto del governo, perché lo ritengono disdicevole. Beneficiano, invece, delle vettovaglie che portano loro i familiari, sempre in gran quan- tità, tanto da poter essere servite anche ad altri reclusi dello stesso rango. Quel carcere è una villeggiatura». Quel carcere registra fedelmente gli umori delle cosche palermitane. E la guerra di mafia, che infuria nelle strade di Palermo, si combatte anche dentro la fortezza borbonica. Pietro Mar¬ chese, considerato un traditore, viene ucciso nell'82 con 33 coltellate durante l'ora d'aria. E il boss Gerlando Alberti, nell'83, sfugge per un soffio ad un agguato mortale orchestrato da un gruppo di detenuti che, armati di una siringa, tentano di iniettargli del veleno per punirlo della sua amicizia con Buscetta. Per tutti gli Anni Ottanta, l'Ucciardone è il termometro che indica il costante «surriscaldamento» del clima interno a Cosa Nostra. Nei primi mesi de lì'81, addirittura, un detenuto tenta di assassinare Giovanni Falcone. «Mi trovavo all'Ucciardone per interrogare Ignazio Lo Presti», ha ricostruito in un verbale lo stesso magistrato. «Un detenuto del quartiere Borgo, tale Salvatore Sanfilippo, era riuscito a procurarsi una pistola. Lo Presti lo vide dalla finestra ed ebbe il tempo di dire: questo è per noi. Poi svenne. Per fortuna feci in tempo a chiudere la porta a chiave. Quel Sanfi¬ lippo imbasti un tentativo di evasione ed infine si arrese». Poche settimane dopo nel luglio 1981, il boss cori con esc Leoluca Bagareila tenta una clamorosa evasione. Ma viene bloccato da una sventagliata di mitra sparata in aria da una guardia mentre, in tuta da jogging e scarne da ginnastica, sta per avventatasi su ima corda di canapa lanciata lungo il muro di cinta. Con Bagareila, c'è anche Vincenzo Puccio, uno dei killer del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Quello stesso Puccio che all'Ucciardone, otto anni dopo, l'il maggio dell'89, finirà massacrato a colpi di bistecchiera. Giuseppe Marchese, suo compagno di cella, futuro pentito, si autoaccusa del delitto: «Sono stato io, litigavamo sempre. Lui voleva vedere la partita in tv, io lo spogliarello». Inconvenienti che capitano. Anche al grand hotel Ucciardone. Sandra Rizza Pranzi con aragoste e champagne E Buscetta durante la pennichella metteva il cartello «Sto dormendo»

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