Due mesi da assassino

RETROSCENA RETROSCENA L'OMICIDA DELIA PORTA ACCANTO Due mesi da assassina / vicini: così ha vissuto con quel segreto ASTI UE mesi con un segreto terribile. E' la storia di Mario Petrini, l'ex maresciallo accusato di avere adescato e ucciso Lorena. «Era un tipo solitario, che non dava troppa confidenza» tagliano corto quelli che hanno visto l'ex militare (radiato dall'Arma dopo una condanna per il tentato omicidio di un drogato nel gennaio '83 a Moretta) percorrere tante volte quel vicolo dove abita con la famiglia. Via Poliedro, a due passi dalla Maternità e dalla questura, dove «il maresciallo» era stato portato subito dopo l'arresto, venerdì mattina. Due file ordinate di villette, con il giardino o il pezzo d'orto, la recinzione, i garage. Tra queste anche quella verde, con l'albero di Natale all'ingresso, dei Petrini. Una zona residenziale di artigiani, impiegati, professionisti. Silenzio, incredulità nella strada dove tutti si conoscono por nome. Lo stupore, lo sgomento, si colgono tra imprecazioni in dialetto e commenti scarni. Non ci credono, che quell'uomo sia un «mostro». Una parola cne nessuno pronuncia, indicando la casa verde, dove Petrini trascorreva parte delle sue giornate. Con la moglie e i tre figli. Già, come ha vissuto quei 70 giorni dopo il delitto (8 ottobre) un uomo che può aver ucciso una ragazza? «Non c'era niente di nuovo, niente di strano in lui. Era come sempre» dice un insegnante. Petrini si alzava presto al mattino: andava all'edicola vicino alla Maternità, salutava i vicini, poi rincasava. Gentile, educato, con quel portamento rigido da ex militare. Ogni tanto qualche discussione, con i figli. Le cose «normali» di ogni famiglia. Divideva il suo tempo tra l'abitazione e la casa nei boschi, dove faceva il custode-giardiniere, a San Grato e dove Lore- na sarebbe stata uccisa. Qualcuno sapeva di questa sua occupazione «part-time», ma molti immaginavano che Petrini lavorasse solo in casa, in via Poliedro. «Chissà perchè ho sempre creduto che lui fosse un disoccupato. A volte passavo davanti alla sua casa e vedevo pezzi di moto smontate, ar¬ nesi di tutti i tipi, sembrava un magazzino o un'officina» dice un impiegato comunale che abita poco distante nel quartiere. Come può un uomo che ha ucciso una ragazza come una belva, comportarsi così, come se niente fosse? Se lo chiedono tutti, in quella via percorsa adesso da fotografi e cameraman. Il «terribile segreto» di un uomo che aveva già avuto la vita sconvolta da quel fatto di 13 anni fa. «Non gli passava dalla testa: era il suo tormento, il suo chiodo fisso anche quando veniva a fare volontariato da noi, durante il periodo di semi-libertà» di¬ ce don Giuseppe Gallo, direttore della Caritas astigiana. Petrini non si era mai rassegnato alla condanna a 10 anni che gli era stata ni ti it tu dopo la sparatoria a Polonghera, durante un servizio antidroga: 42 colpi di mitraglietta che avevano perforato l'auto di un giovane. Paolo Patroncini, rimasto colpito da tre pallottole. Patroncini si salvò e accusò il maresciallo, allora comandante della Stazione di Moretta: «Sparò per uccidermi». Petrini sostenne invece che l'altro aveva cercato di investirlo ad un posto di blocco. Una versione che non fu creduta dai giudici. «Quando venne da noi si comportò sempre in modo ineccepibile: seguiva le pratiche per i permessi agli extracomunitari - ricorda don Gallo - mai una sbavatura, mai un comportamento fuori posto. Preciso e puntuale come fosse stato ancora in servizio, in caserma». Ma negli ultimi tempi, si dice che qualcosa fosse cambiato in Petrini. Piccoli particolari, apparentemente insignificanti: una bolletta della luce non pagata, una multa dei vigili «dimenticata» in un cassetto. Strano, per un tipo come l'ex maresciallo, preciso fino alla pignoleria. C'è chi dice che qualche volta, forse, «non ci fosse più con la testa». Continuava a rimuginare quella vecchia storia, che gli aveva cambiato la vita, costringendolo a lasciare gli «alamari»: la divisa che aveva vestito con orgoglio e onore (ha una croce d'argento e una medaglia di bronzo al valor militare, conquistate negli «anni di piombo» del terrorismo) infangata per sempre. Nessuno si è accorto che forse quell'uomo aveva adesso una sorta di «doppia identità». E nessuno sa ancora perchè avrebbe fatto quelle telefonate, a Lorena, invitandola all'appuntamento con la morte. Là, nella cascina tra i boschi, dove Petrini coltivava un altro orto e le sue rose predilette. Franco Binello «Era un uomo preciso, ma ultimamente non sembrava più lui: aveva dimenticato di pagare le bollette e una multa dei vigili» «Si alzava presto al mattino Era gentile, qualche volta aveva una discussione con i figli L'unica passeggiata era verso l'edicola» A sinistra: Mario Petrini, l'ex carabiniere presunto assassino di Lorena Veronese. A) centro: la fermata dell'autobus di Valbella dove il patrigno ha lasciato la ragazza. A destra: la vittima

Luoghi citati: Delia, Lorena, Moretta, Polonghera