Purosangue elegante, antichissimo

Purosangue elegante, antichissimo Purosangue elegante, antichissimo IL cavallo arabo è un dono di Dio». Ismaele, figlio di Abramo, si impadronì di una splendida giumenta che egli chiamò Khol, perché era nera come la pasta di antimonio con la quale la sua gente usava sottolineare gli occhi. La cavalla gravida partorì un puledro che da adulto ringravidò la madre. Da Ismaele discesero tutti gli Arabi e dalla sua giumenta i loro splendidi cavalli... Storia e leggenda, realtà e fantasia si fondono intimamente nel modo di pensare di questo popolo. La dura vita del deserto ha selezionato uomini e cavalli sia biologicamente che caratterialmente fino a portarli al concetto di «asil», cioè puri di sangue. Concetto essenziale per i Beduini, così fedeli alla nobiltà delle loro origini e a quella dei loro animali. Ritenuto un dono di Dio, il cavallo era trattato come un membro della famiglia, ma anche sfruttato al massimo nel momento delle battaglie al punto che alcune fattrici partorivano durante il combattimento. Le prime tracce dell'arrivo del cavallo nell'area geografica fra il Tigri e l'Eufrate risalgono al periodo 1800-1700 a.C. e si trovano su tavolette di pietra sugli scritti detti cuneiformi. Le più antiche raffigurazioni equestri egiziane si trovano nelle tombe dei faraoni della XVIII dinastia (1570-1314 a.C.) vicino a Tebe. Gli antichi Egiziani avevano una cultura sedentaria, mantenendo però un esercito vittorioso, basato sull'uso dei cavalli, per oltre quattro secoli. Nei templi di Luxor, Karnak, Abu Simbel le effigi equestri presentavano questi animali in atteggiamenti focosi; erano eleganti, di bassa sta¬ tura, con ossatura sottile, portamento a coda alta, colli superbamente arcuati e musi a profilo concavo. Descrivendo cavalli e bighe, gli Egizi definivano l'animale «il bello» e tutto il resto come «l'equipaggiamento». Nelle parate più sontuose venivano ornati con bardature ricche e fantasiose fino a coprirne anche tutto il corpo e con piume di struzzo sulla cima della testiera. Testimonianza di tutto ciò, dalla Sacra Bibbia, l'immortale canto di Salomone recita: «Ti ho paragonata, o amor mio, a una quadriglia di cavalli tra le bighe del faraone». Non è ancora chiaro come e in che epoca precisa il cavallo sia arrivato nelle steppe e nei deserti della penisola araba, ma si pensa sia passato attraverso Mesopotamia, Siria e Palestina ed è molto probabile che risalga ai Tarpan, animali Uberi che vi¬ vevano nelle zone ad Occidente del Volga. Vennero importati dall'Egitto all'inizio come regali ai sovrani arabi e iniziarono pian piano poi a sostituire i cammelli neghi usi abituali. Maometto fu un grande estimatore di cavalli e ne diede un grande impulso all'allevamento. Si rese conto della loro utilità per fini militari, ne fece quindi aumentare il numero e la qualità impedendone incroci eccessivi nel timore di perdere la purezza della razza. Racconta la leggenda di come il Profeta fece una scelta fra un centinaio di giumente fatte assetare per alcuni giorni; poi, al momento dell'abbeverata, suonò il richiamo di adunata. Solo cinque di queste fattrici risposero al richiamo, Maometto le benedì, le battezzò ciascuna con un nome e queste cavalle furono considerate le capostipiti dalle quali ebbero origine tutti i cavalli arabi puri. In Italia le prime testimonianze della presenza di cavalli arabi si ebbero intorno al 500 a.C. sugli affreschi delle tombe etnische. Ma ovviamente la Sicilia, terra occupata dagli Arabi, fu la porta d'ingresso alla nostra penisola. Nella Roma antica furono animali molto apprezzati soprattutto per gli aspetti sportivo-militari. Durante il Rinascimento i Gonzaga si distinsero per il loro grande allevamento di purosangue arabi. Leonardo da Vinci li utilizzò spesso come modelli per la loro bellezza plastica. Il modello del cavallo arabo segue standard molto precisi. La testa è, di regola, l'elemento più caratteristico di questa razza; i Beduini ne ricercavano tre punti per definirne meglio la bellezza: la fronte, le orecchie e il passaggio testa-collo. La fronte vista di profilo dà alla testa quel caratteristico aspetto affusolato e concavo. Forma e comportamento delle orecchie devono essere molto eleganti, incurvate al punto che le estremità devono quasi toccarsi. La folta peluria, all'interno, serviva come protezione dalla fine sabbia del deserto. La testa deve inserirsi sul collo con un'armoniosa curvatura. La lunghezza del collo stesso è pura bellezza, al punto che un emiro disse che se un cavallo arabo riesce a bere da una pozzanghera rimanendo con gli arti in posizione normale, si può essere certi che le varie parti del suo corpo sono tutte armoniche fra loro. Altro segno distintivo caratteristico sono le narici poste leggermente più in alto sul muso delle altre razze. Molto mo¬ bili, lunghe e un po' squadrate, anche queste sono ricoperte da sottile ma abbondante peluria come riparo dalla sabbia. Gli occhi sono grandi, vivaci ed espressivi, leggermente sporgenti, posizione che assicura un ottimo campo visivo ad un animale ancestralmente oggetto di preda. Il mantello è caratterizzato da un pelo setoso e da pelle sottile ed elastica. Possiamo distinguere il baio, il sauro, il grigio, il morello e il roano ma mai pomellato, palomino o pezzato. Il più comune e apprezzato è il sauro bruciato che si mimetizza meglio sullo sfondo desertico. Dice un antico adagio arabo: «Se ti raccontano di aver visto un cavallo volare, tu chiedi di che colore era. Se ti diranno che era sauro puoi ritenere il racconto veritiero». Marco Buri Poesia e rigore scientifico sulla misconosciuta fauna nostrana ORMAI sappiamo tutto su elefanti, leoni, ghepardi, zebre: la tv continua a riproporre immagini, indubbiamente belle e interessanti, registrate per lo più nelle riserve e nei parchi africani. Sembra che i grandi mammiferi esotici facciano alzare l'audience, ma essi non sono che una rappresentanza minima del regno animale. E allora perché non guidare gli spettatori a conoscere anche la microfauna nostrana, varia e numerosa, reperibile in un prato a pochi passi da casa? La domanda se la sono posta due biologi francesi, Claude Nuridsany e Marie Perennou, che dopo 15 anni di esperienze scientifiche e divulgative hanno cominciato a puntare l'obiettivo della cinepresa su insetti, ragni e chiocciole di un ambiente ancora intatto nell'Aveyron: un posto normale, vicino alla loro abitazione. E' nato così «Microcosmos», un film naturalistico per il grande schermo, di eccezionale valore estetico, voluto da un produttore intelligente, l'attore Jacques Perrin, e balzato subito in testa alle classifiche come campione d'incassi in Francia e in Svizzera. Ora quest'opera, che ha meritato il «Grand Prix Technique» per gli effetti speciali (Cannes 1996), approda nei cinema italiani (dal 20 dicembre). La sua presentazione alla stampa è stata un'autentica rivelazione. L'impresa ha richiesto un biennio, solo per progettare l'equipaggiamento necessario (speciali macchine da presa telecomandate, sistemi di illuminazione efficaci, ma tali da non disturbare e scaldare troppo i protagonisti), tre anni di riprese (80 chilometri di pellicola, cioè

Persone citate: Claude Nuridsany, Gonzaga, Jacques Perrin, Khol, Leonardo Da Vinci, Marie Perennou, Palestina, Profeta

Luoghi citati: Cannes, Egitto, Francia, Italia, Mesopotamia, Sicilia, Siria, Svizzera