Il CONSIGLIO di Oreste Del Buono

Il CONSIGLIO Il CONSIGLIO di Valerio Magrelli IL 1996 ha visto susseguirsi una fittissima serie di iniziative e pubblicazioni dedicate all'opera di Eugenio Montale. All'interno di una bibliografia ormai tanto ampia e ricca, vorrei però limitarmi a consigliare un volumetto uscito tre anni fa dalle edizioni Pratiche, nella bella collana «Lezioni di poesia». Mi riferisco al saggio L'iride nel fango, di Francesco Zambon. Studioso di bestiari medievali, Zambon ricostruisce in queste pagine la genesi e la struttura di un unico testo, L'anguilla. L'analisi è impeccabile, ma non basta. Infatti, alla fine di un itinerario che vede le figurazioni animali assumere un ruolo centrale nell'intera poetica montaliana, l'autore ci riserva una sorpresa. Si tratta di quell'anagramma che svela, dietro il titolo, la presenza di una parola sepolta: «La lingua». Ed è un sigillo critico veramente notevole. ILVIO Spaventa Filippi, primo e insuperato direttore del Corrierino (come presto si era cominciato a chiamare il Corriere dei Piccoli) ci sapeva veramente fare. Così per un certo numero d'anni si servì molto della straordinaria capacità creativa dell'attore Sergio Tofano. Sergio Tofano sfornava idee, progetti e trovate a getto continuo. Qualcuna di quelle storielle che inventava gli era concesso di scriverla lui stesso e, magari, provava anche a decorarla di disegnini. Ma il più delle volte i suoi suggerimenti venivano passati pari pari ad altri disegnatori a corto di idee. E, quanto ai disegnini, non se ne parlava granché. Per Silvio Spaventa Filippi Sergio Tofano era il collaboratore esemplare. Gli teneva su gran parte del Corrierino e andava bene così. Ma un giorno, sfogliando una rivista femminile, si trovò davanti a una meravigliosa interpretazione grafica dell'ultima moda firmata Sto, ovvero lo pseudonimo scelto da Sergio Tofano per le sue esibizioni fuori dal palcoscenico. Non si trattava di figurini, si trattava di qualcos'altro. La superiorità dello stile. Silvio Spaventa Filippi riconobbe di avere abusato della generosità di Sto, e lo invitò a farsi coraggio e ad assumere la responsabilità di un'intera pagina, idee, disegni e versetti in rima compresi. Era l'autunno del 1917. L'orribile autunno di Caporetto. La grande disfatta italiana. C'era poco da ridere e poco da sperare. Eppure Bonaventura apparve così fortunato nella prima storiellina a quadretti da suscitare un inconcepibile ottimismo. Allora il termine fumetti non era ancora stato coniato per definire il nostro genere preferito. Le nuvolette del parlato venivano estirpate anche dalle storie americane acquistate dal Corrierino. Bonaventura era stato concepito in polemica con il Fortunello (Happy Hooligan) dell'americano Frederick Burr Opper, l'omino con il barattolo in testa che dal 1899, suo anno di nascita, non ne azzeccava mai una giusta. Fortunello era tradito dal suo cuore. Era troppo buono e gli altri se ne approfittavano vergognosamente a cominciare dalla terribile malvagia mula Checca (Maud) pronta a sparar calcioni in tutte le direzioni e a mordere e a dileggiare chiunque; Fortunello era umiliato e offeso a ripetizione, eppure non riusciva a prendersela con i suoi persecutori. Era pronto a sottomettersi ancora con candore. Sto aveva pensato a contrapporgli non già un lestofante capace di maltrattarlo maggiormente dei suoi falsi amici, ma un altro sempliciotto puro di cuore che, tuttavia, non subiva mai troppi danni e, anzi, veniva spesso ricompensato di esistere in maniera addirittura esagerata, senza sapere assolutamente il perché. Bonaventura era fortunato, e basta. Non s'inquietava neppure quando la goffaggine di Omobono e Pinotto, parenti a perdere, storditi e confusionari, invece di procurargli il milione, lo costringevano a perderlo. Ha confessato Sto di aver più volte tentato di introdurre qualche risultato contrario nella carriera di milionario involontario di Bonaventura, per movimentare la monotonia della vittoria fissa. Sto però ha pur dovuto riferire che le sue mosse a scapito di Bonaventura non avevano mai ottenuto il consenso, la solidarietà del pubblico di piccoli e grandi. Lo volevano vincente. Lo volevano sempre vincitore. E per caso. Senza particolari meriti e diritti, il loro eroe popolare. Dalla prima apparizione nel Corrierino dell'ottobre 1917, mentre nella rotta italiana di Caporetto il futuro maresciallo Rommel inseguiva, anzi precedeva in bicicletta i nostri fanti in fuga, per farli prigionieri, sia come figura sia come carattere Bonaventura non avrebbe cambiato molto. Il suo coda, ma sì, eroe sarebmasto immCappelluccido e rosso, gote pure o i, il a na ni nanoto o ai à ao. il poalen me no. ectcnsnppacvmpr/mhBCvef/fdf/m gnor Bon0 palagiadagio. /di fiori sscliiena Del terribacuto sereggia / lconsultoscienziatsuggerislei lo salmalva / addolcismente, oper maril'unione La moscompar Il suo costume da, ma sì, supereroe sarebbe rimasto immutato. Cappelluccio tondo e rosso, redingote pure rossa, pantaloni bianchi e abbastanza ampi e scarpette ancora e sempre rosse. Un rosso caldo tendente all'arancione. Quanto al contenuto di quell'involucro: ingenuità, franchezza, lealtà e fortuna sfacciata, ma come semplici e irrinunciabili doti fisiche, non morali. Il milione di ricompensa non appare immediatamente agli inizi, prima vennero encomi, medaglie e addirittura fighe di re. Qui comincia la sciagura / del Signor Bonaventura / che, cogliendo un gelsomino / dalla loggia del vicino, / troppo sportosi di fuore / per raggiungere quel fiore, / capitombola di sotto / lui, col fido suo bassotto. / In quel mentre un malandrino / svaligiato ha il magazzino / di Pandolfo e della Biagia / negozianti di bambagia. / Con guardinga aria furtiva / porta via la refurtiva / quando un uomo ed un bassotto / piombar sente sul fagotto. / Or la guardia fuori scappa / che pel collo il ladro acchiappa, / festa all'altro viene fatta / dai padroni dell'ovatta. / E un bel dì, per fare onore /all'aereo suo intervento / lo decoran salvatore / tra l'unanime contento! Qui comincia la sciagura / del Signor Bonaventura / che del re sotto 0 palagio / va a passeggio adagio adagio. / Ma la bella reginetta / che di fiori si diletta, /gli rovescia sulla scliiena / un vasetto di verbena! / Del terribile accidente / tal rimorso acuto sente, / che condur fa nella reggia / l'infelice che vaneggia. / A consulto son chiamati / i più celebri scienziati / che con clinica bravura / suggeriscono la cura. / Con decotti lei lo salva / di genziana e tiglio e malva / poi la sua convalescenza / addolcisce con sapienza. / Finalmente, or ch'è guarito / se lo prende per marito: / dà il monarca a quell'unione / la real benedizione. La moglie figlia di re apparve e scomparve varie volte. A ogni modo, Bonaventura non perse definitivamente il contatto con altre case regnanti. Nella sua vita i re delle favole hanno libera circolazione. Qui comincia la sciagura / del Signor Bonaventura / da tarantola rincorso / è d'un piede in punta mor¬ so. / Quel veleno ha certe strambe / conseguenze... dà alle gambe! / Ed il misero saltella / una pazza tarantella. / Passa il re del Montegallo / che, fanatico pel ballo, / sta a guardare e poi si prova / a imparar la danza nuova. / E del primo ogni movenza / copia in ritmica cadenza: / come quel questi sgambetta, / saltabecca e piroetta. / Quella vista allettatrice / della coppia danzatrice, dopo un po' pur la regina / in quel vortice trascina. / Anche il seguito è attirato / in quel turbine sfrenato, / ne consegue sulla via / una gran coreografia. / Finché, stanchi, estenuati, / cadon tutti ammonticchiati / e gli effetti del contagio / se ne vanno adagio adagio. / Pria di prendere commiato / da chi il ballo gli ha insegnato, / dice il re: Ti prego, accetta / questa piccola cosetta!... La piccola cosetta era, naturalmente, il fatidico 1 milione. I quadretti di Sto sono disegnati e colorati con una grazia raffinata e insieme bambinesca. Bonaventura si muove sempre come se ballasse o addirittura spiccasse il volo. E, intorno, gli cresce una corte di comprimari indimenticabih: dal torvo Barbariccia dalla maschera verdiccia, nemico istituzionale dotato della facoltà di cambiare colore secondo gli stati d'animo al Bellissimo Cecè snobissimo e, in fondo, buono e generoso, ma quasi sempre bisognoso d'aiuto, dal losco baron Partecipazio, tutto intento a contare le ricchezze accumulate con azioni indelicate, al commissario Sperassai, genialissimo segugio per frugare ogni pertugio, dall'arciduca Fattinlà e la sua vaga metà al marchese Sangueblù sulla sua centocavalli per il piano e per le valli eccetera. Per non parlare di Pizzirì il caro figlioletto un po' debole di petto e dell'inseparabile bassotto che il Signor Bonaventura, ricco ormai da far paura, a un certo punto avrebbe voluto scaricare come inadeguato al suo censo. «Trova che troppo al di sotto / del suo grado è il suo bassotto / lo regala al robivecchi / senza far salamelecchi / e comprare si propone / in sua vece un bel barbone...». E' l'unica cattiva azione che possiamo imputare a Bonaventura, e comunque, gli andrà male. Anche se Sto diceva che la nascita del bassotto era stata assolutamente casuale. Ma non era vero: il bassotto era nato perché Sergio Tofano aveva bisogno di una rima in «otto» per il capitombolo di sotto, prescritto dalla prima puntata. - Oreste del Buono PiI tima ruaffollarsibile diclusivoper chi ve da aper il pno. Cam B

Luoghi citati: Caporetto, Montegallo