Pacini «scagiona» Di Pietro di Vincenzo Tessandori

Prima intervista dell'ex banchiere rimesso in libertà: non ho mai ricattato nessuno Prima intervista dell'ex banchiere rimesso in libertà: non ho mai ricattato nessuno Pacini «scagiona» Pi Pietro «Ho detto che mi ha sbiancato, non sbancato» BIENTINA (Pisa) DAL NOSTRO INVIATO «Francesco, la prego. Francesco e non "Chicchi", perché quello è un nome che mi dà noia. Facile da pubblicare, ma non mi piace. Io voglio essere chiamato Francesco». Il primo atto del cittadino Pacini Battaglia Pier Francesco è una protesta. Da ieri mattina è libero: libero di uscire di casa, di avventurarsi per il territorio comunale, vasto 29,26 chilometri quadrati, ma non gli è consentito sconfinare. Fino a metà marzo. Si è abbigliato come nei giorni importanti, il blazer blu, la cravatta in tinta, la camicia rigata. Del resto, deve ricevere giornali e televisioni. Si è mosso anche Enzo Biagi, che ha già intervistato il giudice Cardino, e questo contatto, fa sapere la sua collaboratrice, Ines Maggiolini, «è costato due mesi di lavoro». Un gran giorno, per il banchiere, che non è soltanto l'indagato più importante e corposo dell'inchiesta, accusato di aver corrotto mezza Italia, giudici compresi, associazione per delinquere, «e altro», ma è quello che ha messo nei guai un po' tutti. A cominciare da Antonio Di Pietro. Per via della frase registrata da quelli del Gico di Firenze, il gruppo investigativo per la criminalità organizzata: «Lucibello e Di Pietro mi hanno sbancato». Ma no, ma no. «Sbiancare, ecco com'era. E' stato un errore, così, di stampa». Eppure su quella frase anche il timido pm Alberto Cardino, di La Spezia, non aveva dubbi: «I nastri sono lì, e sono di ottima qualità, i migliori che si possano avere». Come si diventa Pacini Battaglia? «Si nasce, non si diventa. Che poi Pacini Battaglia sia stato trasformato, questo non posso nemmeno spiegarlo. Insomma, io sono nato Pacini Battaglia e il mondo mi ha trasformato». Ma lei una mano, per arrivare alla metamorfosi, l'ha data? «Non credo proprio. Credo di essere una persona normalissima. E credo anche un'altra cosa...». Sarebbe? «Le mie agende, che sono normali bloc notes, dove io scrivevo gli appunti, me le hanno stravolte nella maniera più assoluta. Sono diventate delle memorie, nomi legati. Io scrivo tre nomi in fila, che mi devo ricordare, parlando con delle persone, e questi tre nomi me li hanno legati insieme. Dico tre nomi, o altre cose, perché viaggiando, e avendo una memoria un po' leggera data l'età, a volte mi scrivevo degli appunti. Che so?, scrivevo un nome e, sotto, finanziamenti, che era tutta un'altra cosa. E il nome veniva legato ai finanziamenti». Già, la memoria, un po' sbiadita, «data l'età»: esattamente il contrario di quello che pensano gli inquirenti, perché loro, quelli che accusano, sono convinti che lui abbia «una memoria di ferro, per questo scriveva pochissimo». Il sorriso è pronto, l'uomo è esuberante, cordiale, straripante. Parla nel salone a piano terra, quello con le pareti tappezzate di stampe di cani e con i ritratti di Pamela e Vagabondo, che sono due cagnoni di casa, imitazione Terranova. Non le fotografie: un artista locale li ha ritratti in abiti cinquecenteschi, con grandi collari alla Velazquez. Pacini è seduto dietro a un tavolo da gioco, con il panno rosso. Dicono che l'azzardo gli sia sempre piaciuto. «E quando si perde ai cavalli, da noi si dice: "mi hanno sbancato", altro che storie» sorride Sirico Nardi, che era amico dell'ex gnomo di Ginevra ai tempi che furono, quando frequentavano gli ippodromi di mezza Toscana e anche ora, che Pacini è diventato un «giovanotto invecchiato». Sia come sia il banchiere di Ginevra in questo paese fra Pisa e Lucca è, come si dice, seguito, amato e stimato. E qui, garantiscono di avere le idee sempre chiare: al plebiscito per l'unione al Regno, nel 1860, votarono in 469, con 433 «sì», 32 «no» e 4 nulle; al referendum del '46, i votanti furono 2527, scelsero la Repubblica in 1670, la monarchia in 603, 254 schede nulle e 288 bianche. Assicurano che per Pacini la percentuale di «sì» sarebbe travolgente. Lei ha detto che andrà in pensione: che cosa vuol dire? «La pensione è per ragioni di salute, che non va molto, e con la galera è anche peggiorata. A questo punto uno si occupa della famiglia, degli affetti e del lavoro non se ne parla più». E gli amici? «Beh!, le amicizie, che cosa sono? Quando ero nell'inchiesta Mani pulite le ho perse quasi tutte, le grandi amicizie». Ma lei che cos'è: un indagato che non collabora, uno che collabora, o un pentito? «Mi si deve ritenere uno che è indagato e che risponde direttamente ai giudici». Il suo nome è stato collegato più volte ad Antonio Di Pie¬ tro, che giudizio dà su di lui? «Come persona non lo conosco, non l'ho visto diciamo fuori dall'inchiesta. Come giudice, lo trovo capace e corretto». E come politico? «Io non l'ho più visto, da allora, da "Mani pulite". Eppoi, la politica non mi interessa, non ne voglio sapere». Mani pulite: secondo lei ha inciso, ha provocato davvero un cambiamento nel Paese, o tutto è rimasto come prima? «Sul Paese non so rispondere. Per quanto riguarda me, ci ho fatto cento ore di interrogatorio, per cui, meglio lasciar stare». Ma da cittadino, come l'ha vista? «Non l'ho vista. Ero una persona interrogata e rispondevo a loro, ai giudici. Eppoi, ecco: io non ho mai ricattato nessuno e questo voglio comunicarlo. E un'altra cosa...». Dica, dica. «I magistrati che mi hanno conosciuto mi hanno definito un per- fetto gentiluomo». Sorride, finalmente disteso, e si capisce che vorrebbe veder sorridere anche chi gli sta attorno. L'altra sera, l'ultima sera da detenuto, sia pure casalingo, l'aveva trascorsa a guardare la tivù in compagnia di Giovanni Volpi, che poi è il cameriere. «Vedrai, Francesco, che passerai un bel Natale», gli aveva detto il Giovanni. E lui: «No, no». Ma ieri lo ha chiamato: «Avevi ragione, Giovanni». E gli occhi gli brillavano. La libertà era arrivata ufficialmente intorno alle 10 della mattina, una telefonata per anticipare che Giancarlo Maffei, giudice per le indagini preliminari di Perugia, aveva firmato la scarcerazione. Poi, alle 13,45, erano arrivati i finanzieri su un'Alfa 155 blu e avevano depositato, in villa, il plico prezioso. «Era contento come un bimbo che ha visto per Natale l'arrivo di Gesù bambino», assicura l'avvocato Rosario Minniti. Un'ora più tardi è arrivato il cardiologo, Mario Marzilli. «Sta meglio, d'umore sicuramente sollevato». Ancora un paio di cose, le Ferrovie? «Mai state mie clienti. L'Eni, beh!, ci ho lavorato con l'Eni, e sono nei processi». E la politica? «Non mi ha dato e non mi ha tolto nulla». Parola di Pacini Battaglia, quello che chiamavano la linguaccia. Vincenzo Tessandori Un tecnico informatico dei Gico sta tentando di decrittare le annotazioni e le sigle scritte dal faccendiere L'avvocato Giuseppe Lucibello Il sostituto procuratore della Spezia Alberto Cardino