«lo donna in cella conte Riina» di Fabio Albanese

Catania: da novembre vive in un penitenziario di massima sicurezza Catania: da novembre vive in un penitenziario di massima sicurezza «lo donno, in cella conte Rima» La prima mafiosa sottoposta al carcere duro CATANIA. Quando l'hanno arrestata è stata subito definita la «Bonnie di Calatabiano». I carabinieri ritengono che fosse diventata il nuovo capomafia della zona. E' in carcere da 22 mesi e dallo scorso novembre vive rinchiusa in un penitenziario di massima sicurezza sottoposta, come Riina, Bagarella, Santapaola al duro regime del 41 bis». Maria Fihppa Messina, 27 anni, moglie del boss del paese Antonino Cinturino, l'altro ieri ha scritto al quotidiano «La Sicilia» di Catania per lamentarsi di avere ricevuto, prima donna in Italia, il regime del carcere duro, «finalizzato a distruggermi moralmente e spiritualmente, con l'intento di fare di me una "pentita", pronta a dire anche false accuse e a parlare di cose che non so e non ho mai saputo». E' la stessa ipotesi che, implicitamente, avanza anche il legale della don¬ na, l'avvocato Ernesto Pino, secondo il quale «un soggetto malizioso potrebbe chiedersi: il 41 bis si dà per arginare pericolosità presunte o per spingere alla collaborazione?». Per dare ulteriore forza alle sue ragioni, Maria Fihppa Messina cita a modo suo un passo del provvedimento firmato dal ministro di Giustizia, nel quale si afferma che il 41 bis le è stato dato perché «non risulta avere dato segni di ravvedimento o manifestato volontà di collaborare con la giustizia». «In realtà - spiegano alla Procura antimafia di Catania - si tratta di una formula quasi burocratica per ribadire che il detenuto non vuole aderire al piano di recupero. E d'altronde, se l'intento fosse stato quello di indurla alla collaborazione, certo non sarebbe stato scritto sul provvedimento ministeriale». Nella sua lettera, la «Bonnie» dice di avere trascorso quasi tutta la sua detenzione nel carcere di massima sicurezza di Rebibbia, a Roma, «senza mai comportarmi male, ma anche senza chiedere pietà a nessuno». Per questo, Maria Filippa Messina si chiede come mai il «41 bis» le sia stato dato solo dopo quasi due anni di detenzione, quando «non ero più pericolosa». La donna si lamenta di non poter incontrare il marito, detenuto da 4 anni, e neanche il suo bambino di pochi mesi, se non molto di rado. Maria Fihppa Messina fu arrestata dai carabinieri il 4 febbraio del '95 con altre 7 persone. «Appena in tempo», dissero i carabinieri. Stando ad intercettazioni telefoniche e a microspie, infatti, gli investigatori scoprirono che la donna aveva organizzato un commando che stava per compiere una strage: sarebbero dovuti morire cinque uomini del clan avverso, un modo per riaffermare il primato del suo clan, vicino ai catanesi dei «Cappello» e che negli ultimi tempi per due volte aveva perso il capo; prima con l'arresto di Antonino Cinturino, suo marito, poi con l'uccisione del fratello, Giovanni Cinturino. La causa scatenante della rappresaglia era stato un agguato compiuto un mese prima dal clan avverso dei «Carrapipani», vicino al gruppo catanese dei Laudani; quella sera a Linguaglossa furono uccisi l'autista del boss Cinturino, Salvatore Scabra, e la madre. «Giovanni u tratturista è il primo che deve morire», detta al telefono la donna parlando con due uomini del clan. Era tutto pronto, armi sofisticate dalla ex Jugoslavia, le auto da usare, i killer spietati venuti apposta da Catania e ai quali era già stato dato l'«anticipo» del compenso, cinque dei dieci milioni pattuiti. La notte dell'agguato, però, i carabinieri strinsero d'assedio il paese di Calatabiano, la strage non ci fu e poche ore dopo gli uomini del clan, con in testa la donna-boss, finirono in carcere. Fabio Albanese «Stanno cercando di distruggermi moralmente e vogliono che mi penta» A sinistra Totò Riina