L'«effetto Marcos» valica le Ande di Foto Reuter

L'«effefto Marcos» valica le Ande L'«effefto Marcos» valica le Ande Dal Chiapas al Perù, dilaga la guerriglia-spettacolo LA NUOVA LACANDONA GNEW YORK UARDA chi si rivede: il richiamo della foresta. Edizione fine millennio, con guerriglia aggiornata. I guerriglieri (o miliziani, o terroristi) Tupac Amara che hanno attaccato l'ambasciata giapponese prendendo il più alto numero di ostaggi qualificati della storia del nostro secolo, chiedono infatti non soltanto la liberazione dei loro compagni detenuti nelle carceri di Lima, ma che questa avvenga nella foresta. C'è un'aria da grande sceneggiatura cinematografica in questa storia, oggi a Lima. Lo stesso genere di sceneggiatura evoluta e prodotta per ottenere il massimo impatto televisivo: quel genere di impatto che avevamo già intravisto in Messico nello stato semiguerrigliero del Chiapas dove il miracoloso «subcomandante» Marcos promuove seminari forestali per sociologi a cavallo con telefonino satellitare nel kit. Nella foresta, là dove la meglio gioventù post-castrista europea va a stilare umidi documenti contro il neoliberalismo, creatura anch'essa boschiva. Questi Tupac Amaru di Lima sono molto evoluti e hanno visto anche molto James Bond e anche molto Schwarzenegger, mettendo poi a frutto le tecniche tarate per avere il massimo impatto sul grande pubblico. L'idea di usare per l'attacco squadre di falsi camerieri in marsina carichi di ostriche e champagne, è stata certamente geniale. Quella di scavare un lungo tunnel partendo da una casa affittata con mesi d'anticipo, evoca una catena di racconti sulla grande fuga e rivisita la leggenda vietcong, tutta sotterranea e clandestina. C'è di mezzo del guevarismo, ma non esente da effetti speciali. Il gruppo guerrigliero che ha compiuto il colpo di mano si dichiara marxista ortodosso, ma non nasconde il suo debito con Arsenio Lupin e Fantomas. E c'è l'idea di un grande balzo all'indietro nel tempo, un tuffo nella nostalgia degli Anni Settanta con rivisitazione di miti polverosi e già consegnati più alla cronaca che alla storia, ma con la manifesta intenzione di riportarli in vita come fantasmi di una antica saga, un genere cinematografico. Anche in questo senso la lezione messicana di Marcos (un Conquistador dell'audience) sembra aver fatto proseliti: Marcos ha rivisitato Che Guevara con lo stile di Armani e le finiture sportive alla Ralph Laureen (Benetton lo corteggia per le sue campagne, avvertendone lo spirito pubblicità rio). Questi peruviani partono attingendo da varie radici: da quella dei tupamaros del tempi che furono, dall'Olp palestinese, dall'organizzazione di massa delle grandi produzioni. E come gli apparenti guerriglieri di Marcos (apparenti perché appaiono e ricompaiono) anche quelli peruviani si occupano di economia e di beffe. Di economia, perché chiedono una revisione marxista dei programmi economici di Fujimori. Di beffe perché la loro azione è una risposta sferzante alla frettolosa dichiarazione del presidente peruviano-giapponese secondo cui ogni conato guerrigliero era represso, ogni terrorista arrestato o ridotto al silenzio. La risposta l'abbiamo sotto gli occhi: un colpo che richiede mesi di preparazione e di organizzazione, investimenti considerevoli, una organizzazione compartimentata e impermeabile, approvvigionamenti per un esercito di prigionieri, molta fantasia e fredda spregiudicatezza. Un colpo che richiede mo¬ dernità tattica al servizio di una strategia del secolo scorso: cioè del Novecento da cui possiamo considerarci storicamente usciti. Nella prima fase di questa fantastica operazione di guerriglia-spettacolo, i Tupac Amaru hanno evitato spargimenti di sangue, limitandosi a minacciarli. Hanno fatto di più: pur avendo fra gli ostaggi la madre e la sorella dell'odiato presidente, le hanno rilasciate insieme ad altri 168 ostaggi, tutte persone anziane e donne. In questo modo sanno di poter avere dalla loro l'opinione pubblica che tende sempre a solidarizzare con i bravi fuggiaschi, i fratelli della costa, gli imprendibili companeros della foresta. Si trovano cioè fra le mani un capitale di istintiva simpatia simile a quello che incassarono le prime Brigate rosse in Italia quando sequestrarono il magistrato Sossi e lo rilasciarono indenne dopo avere umiliato lo Stato senza versare sangue. Si tratta tuttavia di un capitale volatile e delicato che per ora rende: tutto il mondo preme sul governo peruviano affinché tratti con gli autori del colpo di mano. E Fujimori, costretto dalla sua stessa identità a rispondere fermamente di no, si trova esposto a una pressione diplomatica, giornalistica e umanitaria fortissima e quasi insostenibile. Ed è proprio su questo che puntano i guerriglieri: usare la forza, ma evitare la violenza sanguinaria (e anche questa è una lezione che viene dallo zapatismo del Chiapas) per costringere il governo nemico a uno dei due passi, entrambi politicamente rischiosi se non suicidi: trattare, o scatenare un'offensiva che può avere successo soltanto a prezzo di un bagno di sangue. Esattamente ciò che non vuole la comunità internazionale. Se Fujimori tratta, perde la faccia. Se usa le armi, perde la solidarietà internazionale: tutta la comunità diplomatica mondiale rivuole gli ostaggi a casa per Natale, infischiandosene del Perù. In particolare chiede la trattativa il Giappone, che è parte in causa: l'ambasciata sequestrata è la sua, un suo figlio il presidente peruviano, ma più che altro è giapponese la rete del miglior business, e il più redditizio, appena decollato in Perù. Quindi, fra gli effetti paradossali di questa azione futuristica e retro al tempo stesso, c'è da registrare anche questo: il bieco neoliberismo dei mercanti e del mercato sta cautamente dalla parte dei guerriglieri e incrocia le dita. I guerriglieri rispondono evocando il richiamo della foresta, affascinante sia per gli ecologisti che per i discendenti di Peter Pan. Così in Chiapas, così in Perù. Il mito continua, anzi è appena iniziato. Paolo frizzanti Un tunnel e fìnti camerieri per una regia destinata a entusiasmare i mass-media Impresa ispirata a tupamaros e palestinesi ma anche a James Bond e Schwarzenegger Il «richiamo della foresta»: i guerriglieri chiedono che i compagni prigionieri siano liberati nella giungla Sopra, 2 ostaggi dietro le grate dell'ambasciata sotto sequesto e qui accanto 4 diplomatici rilasciati dai guerriglieri [FOTO REUTER]

Luoghi citati: Giappone, Italia, Lima, Messico, Perù